LE INTERVISTE DI HBR ITALIA

Una trasformazione basata su tecnologia e valori

La multinazionale giapponese Olympus ha realizzato in pochi anni un cambiamento radicale di prodotto e organizzazione per far fronte alla rivoluzione digitale

Intervista a Vittorio Martinelli, CEO di Olympus Italia

Novembre 2025

Una trasformazione basata su tecnologia e valori

 

Per molti, ancora oggi, il nome Olympus è associato all’eccellenza nel campo delle macchine fotografiche e delle videocamere e non tutti sanno che, ormai da diversi anni, l’ultracentenaria società giapponese è divenuta uno dei giganti mondiali dell’elettromedicale. Il salto, determinato dall’evoluzione tecnologica digitale, è avvenuto formalmente nel 2021 ma, come spiega il CEO di Olympus Italia, Vittorio Martinelli, è stato lungamente preparato per assicurare un’operazione di successo su scala mondiale, e naturalmente anche in Italia (si veda il box). Nell’intervista che segue, Martinelli ricostruisce i passaggi salienti di questa paradigmatica operazione di evoluzione e trasformazione.

Dal 2021 Olympus, in precedenza e per oltre 100 anni leader mondiale nell’imaging, è diventata un’azienda protagonista nel mondo, e in Italia, nel settore elettromedicale. Quali i motivi di fondo di questo storico passaggio e quali gli step più rilevanti nella strategia del gruppo?

Guardare a un’azienda con 100 anni di storia è sempre un’avventura affascinante e, certamente, il passaggio che si è realizzato qualche anno fa lo dimostra. Il management di Olympus è, infatti, riuscito a intercettare quelli che all’epoca erano segnali deboli per trarne delle decisioni strategiche fondamentali. Il dato di fondo era che il mercato delle macchine fotografiche e delle videocamere sarebbe andato a scemare piutosto rapidamente. Ciò che si è verificato nel 2021 è, quindi, l’esito conclusivo di decisioni prese con largo anticipo, addirittura nel 1993. Allora l’azienda era totalmente focalizzata sul business delle macchine fotografiche, ma è da lì che, pian piano, ha iniziato a spostarsi sul business del medicale. Prima di tutto testandolo e poi, quando si è visto che le cose andavano bene, fissando un traguardo, appunto il 2021, per diventare al 100% un’azienda dell’elettromedicale. Sulla base di un’idea di fondo: realizzare un salto di cultura avendo sempre come missione di aiutare i consumatori, ma passando da B2C a B2B. La sfida era, naturalmente, operare questo passaggio allo scopo di rimanere vivi e profittevoli, un challenge che tante aziende, anche oggi, non riescono a fare. È attualmente il caso di un unicorno come Yoox, oggi in grande difficoltà. Ma anche di Apple, che insiste a lavorare sulla tecnologia, appiattendo i margini senza fare innovazione. Olympus ha fatto una scommessa e l’ha vinta.

 

Cambiare pelle, nel caso di Olympus entrare in un settore nuovo connotato da una forte concorrenza, non è mai un’operazione semplice. Non solo per motivi di strategia, ma anche perché occorre che le scelte del vertice siano comprese e condivise dai dipendenti. Come è stato gestito questo fondamentale aspetto?

I cambi di cultura in un’azienda sono processi complessi e di grande valore. Se penso alla mia esperienza, la mia carriera si è svolta interamente nel settore medicale, ma anche per me è stata una scommessa. Quando sono entrato in Olympus la struttura era già al 70% sul medicale, ma il 30% era ancora consumer. Sul mercato italiano la sfida, per quanto complessa, è stata abbastanza facile perché il medicale prevaleva già sul consumer, per cui il passaggio è stato abbastanza graduale: sono state inserite nuove persone sia a livello di management sia di collaboratori e questo ci ha dato la possibilità di metabolizzare il cambiamento e di consentire, a chi non era in grado di farlo, di prendere altre strade. In un mondo veloce, fatto a trimestri, sono poche le aziende che si prendono 10 anni per cambiare. Un altro buon esempio, in questo senso, è dato da Philip Morris, una trasformazione di successo da tabacco standard a elettrico. Noi siamo riusciti a cambiare dandoci tempo e obiettivi chiari.

 

I dipendenti hanno dovuto capire e accompagnare la trasformazione, cosa mai semplice. Come avete trasmesso i nuovi obiettivi e come le persone hanno reagito, o resistito?

In una multinazionale i valori sono di norma molto forti, e questo è vero soprattutto in un’azienda giapponese con 100 anni di vita. Nella trasformazione sono stati modificati alcuni valori, specialmente legati a velocità e people: oggi, in quanto azienda medicale, ogni prodotto che vendiamo impatta sulla vita di un paziente o di un clinico, migliorando la vita media del paziente e la performance del clinico. Per superare la più che naturale resistenza al cambiamento in azienda, c’è voluto tempo e tanti investimenti dedicati al people: un cambio di passo e di settore che ha portato alcune persone a rimanere e altre ad andare via. A questo si è aggiunta un’altra complessità: integrare le tante generazioni che oggi entrano in azienda. Oggi ci sono almeno quattro generazioni con obiettivi e valori completamente diversi e questo fattore va a sommarsi ai processi di trasformazione. Decisamente, a lavorare oggi in una multinazionale non c’è il rischio di annoiarsi.

 

La trasformazione dell’azienda è avvenuta in coincidenza con la pandemia di Covid-19. Cosa ha comportato per Olympus in giro per il mondo, e in Italia?

Il Covid è stato una tragedia che ha impattato dolorosamente su tantissime persone. Paradossalmente, sulle aziende ha avuto un effetto di stimolo perché ha fortemente accelerato la digitalizzazione in un contesto che necessitava di un’efficace trasformazione tecnologica, di nuovi tool mirati a sperimentare nuove possibilità. Nel periodo della pandemia Olympus non ha chiuso neanche un giorno, abbiamo realizzato uno sforzo per essere sempre nelle condizioni di poter rifornire qualsiasi ospedale con gli standard più elevati. È stato, dunque, almeno per noi, uno stress test alquanto utile che ci ha fatto fare un salto in avanti di 10 anni. Senza quella situazione così difficile nel mondo intero non avremmo  probabilmente raggiunto il grado di trasformazione che verifichiamo oggi, soprattutto sul digitale. Credo realmente che si possa dire che ogni sfida ha dei lati positivi. Personalmente, sono diventato amministratore delegato, mestiere che non avevo mai fatto prima, proprio durante la pandemia. Si sono dovute superare tante prove e tanti errori, ma da quegli errori siamo usciti più forti.

 

Crisi e opportunità sono spesso collegate. Ma altri gruppi di caratura mondiale anche sotto il profilo tecnologico, come Nokia e Kodak, non hanno saputo affrontare la rivoluzione digitale e sono scomparsi dalla scena. Cosa ha caratterizzato Olympus e come è stata interpretata e gestita la digitalizzazione in termini di prodotti, ma anche nell’organizzazione del gruppo?

Il pericolo maggiore per un’azienda, così come, peraltro, per un manager o per un atleta, è il successo. Il successo può diventare un incubo perché ti porta o a stare sulla difensiva o a vivere nel terrore di scendere dal podio. Ti rende generalmente più lento e va detto che le aziende giapponesi non sono famose per la velocità. Però c’è stata lungimiranza e Olympus ha investito molto in R&S. Per esempio,  oggi l’Intelligenza Artificiale sta diventando mainstream, e soltanto in Italia la nostra azienda fattura già 30 milioni, e questo da 5 anni, in device basati sull’IA. Abbiamo il primo sistema IA in cloud approvato dalla Food and Drug Administration (FDA), un milestone importante nel settore della sanità. A livello interno, operiamo il massimo sforzo per attrarre i talenti migliori e questo richiede di posizionarsi ai massimi standard per attirare e mantenere in azienda le nuove generazioni. Questo vuol dire la digitalizzazione più avanzata in un quadro di purpose reale, altrimenti i giovani in un mese se ne vanno. Sono differenze reali. Usiamo tutti gli asset e i tool possibili, come Canva, la ben nota piattaforma Apple, uno smartworking intelligente, una gestione avanzata degli uffici. L’obiettivo è di integrare tutta la popolazione aziendale perché per vendere alta tecnologia bisogna avere sia persone con ottima seniority sia persone nuove che ci facciano comprendere chi sono i medici del futuro.

 

Oggi si opera in un contesto mondiale che non è solo altamente competitivo, ma anche fortemente condizionato da crisi multiple, spesso coincidenti. Ciò che si definisce talvolta “policrisi”, con forti componenti di tipo geopolitico. Quale la strategia di Olympus per fare fronte a queste sfide?

Guidare un’azienda globale in una situazione geopolitica come quella che viviamo è un cambio di paradigma. Ci sono varie guerre coincidenti, embarghi complessi, nuove tecnologie. Noi abbiamo deciso di aprire due fabbriche negli Stati Uniti e una in Cina perché è l’unico modo di avere impatto in quei mercati, una situazione del tutto nuova che solo due anni fa non esisteva. Abbiamo dovuto cambiare il packaging di alcuni device approvati dalla FDA perché ci è stato detto che un determinato bullone in Russia poteva essere usato per costruire una bomba: non è uno scherzo, si tratta di cargo da milioni di euro che tornano indietro. Per stare in un mercato così complesso e instabile ci vogliono skill, flessibilità, visione sia di breve che di lungo termine e tanta energia. È un mestiere completamente diverso rispetto a 10 anni fa. In media, l’attività di un manager di multinazionale è diventata molto più dinamica. È un periodo che considero molto bello, ma è molto complesso. Si impara tantissimo ogni giorno, ma non c’è mai stabilità.

 

Quali gli obiettivi per i prossimi anni, globali e sul mercato italiano?

Gli obiettivi globali sono legati alla mappa dei valori e ad avere dati finanziari positivi: siamo un’azienda quotata e quindi il polso della situazione viene dato anche da quello. Per quanto riguarda gli obiettivi italiani, sono mutuati da quelli globali, ma con le specifiche caratteristiche del nostro Paese. Siamo un’azienda giapponese che deve rapportarsi alla pubblica amministrazione e dobbiamo affrontare peculiarità non facili da spiegare all’estero, come il payback, che è una tassa sullo sforamento di budget ospedalieri che noi non gestiamo. Il Sistema sanitario italiano prima o poi dovrà prendere una decisione: oggi siamo un sistema pubblico per tutti, ma sta diventando un’utopia. Prima o poi dovremmo andare incontro a una riforma sanitaria che consenta sia ai pazienti sia a chi fornisce la sanità un percorso chiaro che affronti i tanti problemi sul tappeto, a partire da una sanità totalmente gratuita.

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