INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Corrado Panzeri
Novembre 2025
L’automazione non è più soltanto regole rigide e attività ripetitive. Con l’Agentic Automation, l’intelligenza artificiale entra nei processi aziendali come attore autonomo, capace di prendere decisioni e adattarsi in tempo reale. È un cambio di paradigma che non riguarda solo la tecnologia, ma ridefinisce competenze, modelli organizzativi e strategie di business.
Nel 2024 i finanziamenti equity nel settore hanno raggiunto 3,8 miliardi di dollari, quasi triplicando in un solo anno. Le menzioni del termine “AI agent” nelle earning call delle imprese quotate sono cresciute del 331% tra 2023 e 2024. E le previsioni di mercato stimano un giro d’affari che dai 1,5 miliardi di dollari del 2024 arriverà a quasi 48 miliardi nel 2034, con un tasso di crescita medio annuo del 42%. Non si tratta di hype passeggero: a trainare questa crescita è la capacità degli AI agent di affrontare la complessità. Il dato più interessante riguarda i sistemi multi-agente (in cui più agenti IA collaborano per raggiungere un obiettivo comune): oggi marginali (5% del mercato), ma attesi al 45% nel 2034. È la conferma che il futuro non sarà centralizzato e monolitico, ma distribuito, cooperativo e capace di orchestrare interazioni complesse.
Le applicazioni attuali coprono funzioni trasversali come amministrazione, finanza e sistemi informativi, ma le potenzialità si estendono a quasi ogni settore. ICT e servizi finanziari appaiono i comparti più maturi, con progetti già avviati su compliance, gestione del rischio e customer engagement. Altri ambiti stanno accelerando: nella logistica gli agenti supportano la pianificazione dinamica della domanda e la gestione delle supply chain globali; nella manifattura orchestrano sistemi produttivi complessi; nell’energia ottimizzano consumi e reti; in sanità cominciano ad affiancare i clinici nel supporto decisionale. Non mancano i casi concreti: in un’azienda energetica, gli audit di sicurezza e ambiente sono passati da due settimane a un’ora grazie a un agente IA, con un taglio dei costi del 99%. In un grande ospedale, agenti conversazionali hanno automatizzato la raccolta di dati clinici preliminari, liberando i medici da attività burocratiche e migliorando la qualità del tempo con i pazienti.
Secondo una survey internazionale, il 73% delle imprese globali ha avviato progetti di Agentic Automation. In Italia la penetrazione resta limitata: il 14,5% tra le grandi aziende, meno del 5% tra le PMI. A pesare sono infrastrutture tecnologiche limitate, frammentazione dei dati, carenza di competenze e difficoltà a misurare il ritorno degli investimenti.
In questo scenario si inseriscono le esperienze analizzate da TEHA Group all’interno dell’iniziativa di ricerca Agentic Automation 4 Business, promossa da Mauden in collaborazione con IBM con il contributo di aziende rappresentanti di diversi settori. Lo studio ha permesso di raccogliere casi d’uso e di definire linee guida operative per rendere più efficienti e innovativi i processi di business.
Se l’automazione “classica” tendeva a sostituire l’uomo in attività ripetitive, l’Agentic Automation spinge verso un diverso equilibrio: il ruolo delle persone evolve da esecutori a supervisori e orchestratori. I lavoratori non “fanno”, ma controllano, interpretano e migliorano ciò che la macchina propone.
Questo implica una trasformazione radicale dei modelli di competenze. Non bastano skill tecniche: servono capacità di problem solving, comunicazione e gestione del cambiamento. Le organizzazioni che riusciranno a integrare competenze digitali e soft skill, favorendo la convivenza uomo-macchina, saranno quelle in grado di sfruttare davvero il potenziale della nuova automazione.
L’Italia, come spesso accade quando si parla di digitale, parte in svantaggio: secondo Eurostat, siamo al 19° posto in Europa per diffusione di skill digitali avanzate nella popolazione attiva. Senza un investimento massiccio in upskilling e reskilling, la distanza rischia di ampliarsi. Il tema non riguarda solo gli specialisti IT.
Tutti i livelli organizzativi – dal top management agli addetti operativi – devono acquisire nuove competenze. Per i manager: capacità di orchestrare ecosistemi complessi, visione strategica, leadership trasformativa. Per i quadri: abilità di coordinamento interfunzionale e decisione rapida in ambienti incerti. Per gli operativi: familiarità con strumenti digitali e capacità di interazione con sistemi intelligenti. Accanto alle competenze tecniche, diventano cruciali le competenze trasversali: creatività, pensiero critico e adattabilità. Sono qualità che consentono alle persone di governare l’imprevisto, là dove l’algoritmo non basta. In questo senso, il capitale umano resta il vero differenziale competitivo.
Se la sfida delle competenze riguarda le persone, quella della governance riguarda l’organizzazione. L’introduzione di agenti intelligenti non è neutrale: cambia la distribuzione delle responsabilità, il controllo dei processi, la gestione dei rischi.
Le aziende più evolute stanno sperimentando modelli centralizzati o semi-centralizzati, che permettono di allineare risorse, evitare duplicazioni e garantire coerenza strategica. Altre preferiscono modelli distribuiti, lasciando più autonomia alle business unit. La scelta dipende dal settore, dalle dimensioni e dalla cultura aziendale, ma un principio resta comune: senza regia centrale, il rischio è la frammentazione.
La governance riguarda anche la qualità dei dati: senza dataset puliti, interoperabili e sicuri, l’Agentic Automation perde affidabilità. Non sorprende che molti executive italiani abbiano citato data governance e sicurezza come ostacoli principali.
Infine, resta il nodo etico. L’autonomia degli agenti rende indispensabile definire principi di trasparenza, tracciabilità e responsabilità. Chi risponde se una decisione autonoma produce effetti negativi? È un terreno che richiede policy chiare, codici di condotta e la supervisione costante dell’uomo.
Dall’analisi dei casi concreti emergono cinque priorità operative. Non semplici linee guida, ma cantieri strategici che ogni organizzazione deve affrontare.
L’Agentic Automation non è più una prospettiva futuribile: è già realtà in molte multinazionali e sta entrando nelle medie imprese. Per l’Italia rappresenta una doppia occasione: recuperare produttività e competitività e accelerare la transizione verso modelli più digitali e resilienti.
Esperienze di player globali come IBM e realtà italiane come Mauden dimostrano che la collaborazione tra ecosistemi diversi – accademico, imprenditoriale e tecnologico – è la chiave per trasformare l’hype in valore concreto. Non si tratta solo di tecnologia: è un nuovo modo di concepire l’impresa come ecosistema ibrido di risorse umane e digitali.
Chi saprà cogliere questa opportunità oggi, avrà già scritto una parte del proprio vantaggio competitivo di domani.
Corrado Panzeri è Partner e Responsabile InnoTech Hub, TEHA Group.