EDITORIALE
Enrico Sassoon
Marzo 2025
Non è più tempo di eroi. Ma è certamente tempo di leader. Le due figure possono in certi casi coincidere. Chi mai potrebbe escludere che, almeno di tanto in tanto, un leader possa mostrare la tempra e la lucida determinazione dell’eroe solitario capace dei compiti più ardui? Ma, di norma, non solo non è così, ma nemmeno sarebbe bene che lo sia. Il leader del XXI secolo è innanzitutto un primus inter pares, capace di ascoltare i propri collaboratori e di unire la propria visione alla loro, per procedere compatti verso la meta.
In questo numero di Harvard Business Review Italia i lettori troveranno su questi temi alcune interessanti riflessioni di A. G. Lafley, già celebrato CEO di P&G, e Roger L. Martin, già apprezzato dean della Rotman Business School. Il titolo del loro articolo si spiega molto bene da solo: “I leader non dovrebbero cercare di fare tutto”. È un’espressione semplice, ma allo stesso tempo impegnativa, sotto alla quale sta una constatazione evidente: il leader deve fare solo le cose che sa fare meglio e lasciare gli altri compiti ai collaboratori.
Si tratta di una ricetta che, a ben vedere, è esattamente speculare alla visione antieroica ora espressa. Il leader solitario, se mai ha funzionato in passato, ora non funziona più. In una società che invita alla collaborazione e all’inclusione e in un contesto di business che ha accantonato le gerarchie, il principio guida è quello del lavoro della squadra.
Tempo ed energie, ma in fondo anche competenze, sono risorse limitate; dunque, è bene che la visione della leadership efficace coincida con quella di una squadra efficace. In una sorta di riedizione della teoria del vantaggio comparato degli economisti classici applicata non più agli scambi internazionali, ma alle risorse personali.
Questa, dicono i due esperti, “è l’essenza di ciò che chiamiamo guidare per vincere. È stata una parte essenziale della logica strategica che ci ha guidato nel risollevare le organizzazioni che abbiamo condotto”. E come farlo è l’oggetto del loro articolo, che abbonda di consigli pratici e sensati.
E, poiché riuscire nell’intento è un po’ meno evidente di quanto possa sembrare, i lettori troveranno anche un chiaro contributo di Rebecca Knight che, a sua volta, indica nella capacità di ascolto la dote principale dei leader del XXI secolo e dispensa, su queste basi, diversi suggerimenti. In realtà, questi suggerimenti sono la sintesi delle idee di numerosi esperti consultati dall’autrice, coagulate in sei capacità di leadership appropriate ai tempi e alle sfide della nostra epoca: apertura emotiva, comunicazione adattiva, pensiero flessibile, ascolto attento, coraggio strategico e autoconsapevolezza resiliente.
Avere attenzione per gli aspetti emotivi e sensibilità per una comunicazione appropriata nelle diverse situazioni significa che i leader devono saper muovere non solo le menti, ma anche i cuori; dunque, non solo capire cosa pensano e come si sentono gli altri, ma anche usare questa conoscenza per influenzare, motivare e guidare. Non sono parole vuote o concetti astratti: connettersi con l’energia emotiva del gruppo può fare la differenza nella risoluzione dei problemi e nella costruzione delle relazioni, e aiuta a lavorare verso una visione coinvolgente. In poche parole, si legge, “le vibrazioni sono importanti”.
Ciò è tanto più rilevante quanto più il contesto esterno si caratterizza per complessità, volatilità e incertezza. Affrontare l’ignoto è intrinsecamente impegnativo e a volte può far paura. Ma il punto che Knight solleva, analogamente a Lafley e Martin, è che il leader non solo non deve pensare di fare tutto da sé, ma deve anche evitare di isolarsi dal gruppo dei collaboratori.
E qui si chiude il cerchio dell’invito all’ascolto. Infatti, se in passato i leader sentivano la pressione di dover avere tutte le risposte, oggi il ritmo del cambiamento richiede un approccio diverso. Come nel caso dell’intelligenza artificiale, la risoluzione dei problemi è ora incentrata sulla capacità di “ingegnerizzare” i suggerimenti giusti, piuttosto che pretendere di possedere già tutte le informazioni nella propria testa. La grande sfida per i leader consiste, quindi, nel porre le domande giuste, andare oltre la propria prospettiva consolidata e abbracciare possibilità e modi di pensare molto diversi dai propri.
È un chiaro invito a rinunciare a controproduttivi eccessi di un ego ipertrofico, che in tante situazioni ha provocato seri danni, a favore di una nuova e flessibile apertura mentale, che è una base assai più solida per una leadership consapevole ed efficace.
Enrico Sassoon è Direttore responsabile di Harvard Business Review Italia.