EDITORIALE

Lavoro: evoluzione o rivoluzione?

Enrico Sassoon

Aprile 2023

Lavoro: evoluzione o rivoluzione?

Nel mondo del lavoro i segnali di cambiamento si moltiplicano. Tra lavoro in remoto, smart working, mismatch domanda/offerta, grandi dimissioni, quiet quitting e NEET c’è innanzitutto da impadronirsi del lessico, per poi stabilire un ordine di priorità e accoppiare i fenomeni giusti ai concetti corrispondenti. Infine tracciare il quadro e stabilire la direzione per agire. È una rivoluzione? O una profonda, per quanto non dirompente, evoluzione?

C’è chi ha pochi dubbi: «È il più grande cambiamento mai avvenuto nel lavoro dai tempi della rivoluzione industriale» ha detto, nell’articolo in questo numero, Phil Thomas, il CEO di Ascential Futures a Linda Gratton, che ne condivide il punto di vista. Altri, più cauti, puntano più a vedere cambiamenti nella continuità, mediati dalle grandi mutazioni tecnologiche di questi anni. In ogni caso, il fenomeno impatta profondamente sul mondo del lavoro ma, automaticamente, anche sulla vita delle persone e sulla società nel suo insieme. Quello che sembra più sordo e miope è invece il mondo della politica, in cui non si capisce se prevalga la disattenzione o un incompetente disinteresse.

Eppure siamo di fronte a una vera e propria emergenza nazionale. Quando si osserva la somma di tre fenomeni coincidenti come il mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro, ondata di dimissioni volontarie e incremento costante dei giovani fuori dal mercato del lavoro e non impegnati né nello studio né nella ricerca di un’occupazione, di questo si tratta: di un dramma sociale ed economico di prima grandezza che, se lasciato senza soluzione, porta inevitabilmente a reazioni sociali preoccupanti.

Nelle pagine di questa rivista l’allarme è costante, così come la ricerca delle possibili soluzioni. Intanto, però, si contano a fine 2022 due milioni di persone che nell’anno hanno lasciato il lavoro senza, in molti casi, averne già un altro. E dai 2 ai 3 milioni di NEET, quei giovani che non lavorano né studiano, né il lavoro lo cercano.

I paradossi, in questa situazione, sono la norma. Le aziende cercano figure professionali di tutti i livelli e non le trovano. I disoccupati crescono e il matrimonio non si riesce a fare. Parliamo di almeno 500.000 posizioni scoperte che si situano tra gli specialisti di alto livello come i data scientist o gli esperti di intelligenza artificiale, ma anche tra gli operai specializzati nei più svariati settori. Il punto centrale è che le competenze non combaciano. Scuola, università e corsi professionali non interagiscono abbastanza con il mondo del lavoro e l’ingresso di nuove leve è sempre più, non meno, problematico. E le lamentazioni coprono tutto l’arco del possibile: le famiglie sono troppo protettive, i giovani snobbano le professioni che non gradiscono, la scuola è troppo orientata all’umanistico e non abbastanza al tecnico-scientifico, le aziende non effettuano le selezioni corrette, non investono abbastanza in formazione, oppure investono in academy interne che non aiutano a modificare il quadro, etc. etc.

L’evoluzione tecnologica, poi, costituisce un fattore aggiuntivo. La crisi pandemica ha generato i lockdown, da cui uno-due anni di lavoro a distanza più o meno ben organizzato. Ora la fase critica è superata ma, naturalmente, il lavoro da remoto resta nel lavoro ibrido, e va gestito nel modo appropriato che, certo, le tecnologie (a partire dall'intelligenza artificiale, specie quella generativa) ormai rendono sempre più efficace. Gli strumenti per lavorare a distanza in modo collaborativo ci sono e migliorano costantemente, e nel metaverso si realizzano soluzioni impensate. Ma se l’efficacia aumenta non altrettanto si può dire della produttività o dell’efficienza. Al di là dei fattori intangibili come la soddisfazione sul lavoro e la circolazione delle idee che spesso costituiscono altrettanti punti di domanda.

L’alternativa tra rivoluzione o evoluzione diventa, in questo quadro, abbastanza accademica. Di fatto, occorre prendere in mano la situazione e avviare a soluzione i problemi del mondo del lavoro con realismo e decisione. Ma, purtroppo, non sembra che, almeno per ora, questo stia accadendo.

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