LEADERSHIP
Filippo Abramo, Elio Borgonovi e Mauro Meda
Aprile 2023
I drammatici cambiamenti che lo scenario esterno sta imponendo alla vita di tutti noi riguardano anche le imprese, nei business model, nei processi organizzativi e nella gestione delle persone. In tale contesto di cambiamento assume particolare rilevanza, per la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese, il tema delle competenze dei manager, cioè di coloro che dovrebbero guidare i processi di cambiamento. È un discorso delicato perché va a toccare una categoria di persone che è convinta, per la più parte, di avere avuto un certo successo professionale e, quindi, di non avere grandi necessità di sviluppare le proprie competenze, spesso date per acquisite.
In realtà sono proprio i manager che hanno bisogno di rivedere non tanto le loro competenze tecniche quanto il loro modo di essere e di interpretare il ruolo. Infatti, il vecchio e rassicurante sistema di “comando e controllo” nel quale la maggior parte di essi è stata educata comincia a non funzionare più e va sostituito da un nuovo modello di leadership i cui contorni, per la verità, sono ancora da definire in concreto nella vita quotidiana delle imprese. Si parla, specie nei convegni, di un manager attivatore di processi di cambiamento e coaching e mentoring delle proprie persone. Si sottolinea la necessità che abbia capacità di empatia e di ascolto e che sia in grado di valutare per risultati, anche a distanza. Si tratta sicuramente di suggestioni interessanti, ma che vanno definite meglio in una logica di sistema operativo e di sviluppo formativo.
Apaform e Federmanagement, nel periodo novembre 2021-gennaio 2022, hanno svolto una ricerca inviando un questionario a circa 800 interlocutori ritenuti profondi conoscitori del mondo manageriale. La ricerca aveva il triplice obiettivo di: rilevare la percezione delle caratteristiche prevalenti dei manager attuali; evidenziare le principali caratteristiche che dovrebbero avere i manager del futuro; indicare il ruolo della formazione manageriale.
Sono state ottenute 132 risposte, di cui il 42% donne e 58% uomini. Il 48,4% è rappresentano da top manager o primo riporto al vertice aziendale, il 35,2% ricopre posizioni di middle management; poco più del 10% ricopre posizioni di junior manager (12,5%).
Risultati della ricerca
Un primo blocco di domande ha riguardato l’evoluzione del business model in rapporto ai processi di digitalizzazione.
Può in parte sorprendere il fatto che prevale il numero di rispondenti che considera la digitalizzazione prevalentemente come una opportunità di gestire le imprese in modo più veloce, con strumenti più potenti, con possibilità di raggiungere clienti e mercati nuovi o più lontani (media ponderata 4,44), con la maggioranza che esprime un elevato grado di accordo (54% con punteggio 5 e 6), rispetto a coloro che considerano la digitalizzazione come un radicale cambiamento del business model delle imprese, della filiera produttiva e della catena del valore (media ponderata 3,88) con solo il 40% che attribuisce punteggi 5 e 6. Una risposta che sembra privilegiare una linea di continuità strategica rispetto al passato, più concentrata sulle maggiori potenzialità di strumenti digitali che non sull’esigenza di discontinuità strategica e di ripensamento del modo di fare impresa. Gli uomini (media 4,53) sembrano collocarsi più sulla linea della continuità del business model rispetto alle donne (media 4,30), mentre i top manager sembrano maggiormente consapevoli dell’impatto di cambiamento radicale della digitalizzazione (media 3,95).
Passando alle competenze degli attuali manager, prevalgono leggermente le valutazioni sull’importanza delle competenze tecnico professionali (hard skill) rispetto alle soft skill, con una media rispettivamente di 3,82 e 3,63. Vi è una chiara differenza tra uomini - per i quali prevalgono hard skill (media 3,96) rispetto alle soft skill (media 3,46) – e donne per le quali prevalgono soft skill (media 3,93) rispetto alle hard skill (media 3,58). La percezione dell’importanza delle hard skill è correlata con il livello organizzativo (media 3,46 per i junior manager, 3,67 per i middle manager, 3,96 per il vertice aziendale).
Comportamenti manageriali
Una delle caratteristiche qualificanti del management è data dalle politiche del personale. Tra i rispondenti prevale la percezione che i manager preferiscano attorniarsi di yes person per ridurre i conflitti organizzativi (media 4,25 con il 51% che attribuisce un punteggio 5 e 6) rispetto alla considerazione dei conflitti organizzativi come strutturali in quanto, se opportunamente governati, costituiscono una risorsa generatrice di idee (media 3,17 con un terzo circa che attribuisce un punteggio 1 e 2). Esiste una forte concordanza fra uomini e donne con differenze minime. I senior manager appaiono più propensi a considerare il conflitto organizzativo come fattore strutturale da gestire rispetto ai middle manager e ai junior manager e sono anche quelli che considerano meno efficace attorniarsi di yes person rispetto ai middle e ai junior manager.
Può destare preoccupazione il fatto che per i rispondenti prevalgano manager focalizzati sul breve periodo (media 4,42 con il 60% che esprime un punteggio 5 e 6) rispetto ai manager capaci di formulare visioni di medio/lungo periodo (media 3,02 con il 30% che esprime un punteggio 1 e 2). Gli uomini sembrano avere una percezione leggermente più negativa delle donne, in quanto è più alta la media che segnala una focalizzazione sul breve periodo e più bassa quella che privilegia la capacità di avere una visione di medio-lungo periodo. I senior manager hanno una percezione più positiva rispetto alla capacità di operare scelte orientate al medio/lungo periodo (media 3,21 contro il 2,92 dei junior manager e 2,83 dei middle manager).
Per i rispondenti non esistono grandi differenze tra manager che hanno scarsa consapevolezza dei propri limiti e manager che al contrario sono consapevoli dei propri limiti ma non vogliono cambiare perché temono di perdere il loro potere in futuro.
Leve del cambiamento
I rispondenti segnalano il seguente ordine di rilevanza per quanto riguarda le leve del cambiamento:
1. capire che agendo su valori e motivazioni (senso di appartenenza, condivisione della visione, public service motivation nel settore pubblico) si può migliorare anche ciò che non si può misurare (ad esempio spirito di collaborazione, attenzione al cliente o al cittadino) (media 5,45) con il 90% che attribuisce valori 5 e 6;
2. far crescere le persone al proprio interno (media 5,34) con l’88% che attribuisce valori 5 e 6;
3. considerare il benessere del personale come fattore rilevante critico per generare una migliore sostenibilità economica (media 5,27) con l’84% che attribuisce valori 5 e 6;
4. comprendere a fondo l’impatto delle tecnologie sui comportamenti (media 5,24) con l’85% che attribuisce valori 5 e 6;
5. capire che l’innovazione organizzativa aumenta l'efficacia e la produttività degli investimenti in innovazione tecnologica (media 5,20) con l’82% che attribuisce valori 5 e 6;
6. privilegiare persone con elevata motivazione anche se con competenze tecnico professionali di medio livello (media 4,75) con il 66% che attribuisce valori 5 e 6;
7. privilegiare decisioni più condivise anche se in tempi più lunghi (media 4,70) con il 61% che attribuisce valori 5 e 6;
8. selezionare le persone giuste dall’esterno (media 4,68) con il 62% che attribuisce valori 5 e 6;
9. privilegiare persone con competenze tecnico professionali elevate anche se con motivazioni di medio livello (media 3,11) con solo il 10% che attribuisce valori 5 e 6.
È evidente la priorità attribuita al personale in quanto la motivazione, lo sviluppo professionale all’interno, il benessere organizzativo, hanno in assoluto punteggi più elevati. Inoltre vi è una netta preferenza per persone con elevata motivazione anche se con competenze tecnico professionali di medio livello (media 4,75) rispetto a persone con competenze tecnico professionali elevate anche se con motivazioni di medio livello (media 3,11).
Per i fattori con elevata polarizzazione non si notano differenze tra uomini e donne né tra i junior manager, middle manager e vertici aziendali e la categoria residuale.
Le donne hanno una valutazione più positiva rispetto agli uomini per quanto riguarda:
- la condivisione di decisioni anche se in tempi più lunghi;
- capacità di far crescere le persone al proprio interno;
- il benessere del personale come fattore rilevante e critico per generare una migliore sostenibilità economica;
- preferenza per personale con elevata motivazione anche se con competenze tecnico professionali di medio livello.
Gli uomini esprimono una valutazione più positiva rispetto alle donne, riguardo a:
- capacità di scegliere/selezionare le persone giuste dall’esterno;
- privilegiare persone con competenze tecnico professionali elevate anche se con motivazioni di medio livello;
- capire che l’innovazione organizzativa aumenta l'efficacia e la produttività degli investimenti in innovazione tecnologica media;
- capire che agendo su valori e motivazioni (senso di appartenenza, condivisione della visione, public service motivation nel settore pubblico) si può migliorare anche ciò che non si può.
Con riferimento ai livelli organizzativi, i junior manager esprimono valutazione più positiva con riguardo a:
- capacità di saper scegliere/selezionare le persone giuste dall’esterno;
- interventi per far crescere persone al proprio interno;
- il benessere del personale come fattore rilevante e critico per generare una migliore sostenibilità economica;
- contributo di persone con elevata motivazione anche se con competenze tecnico professionali di medio livello;
- ruolo dell’innovazione organizzativa per aumentare l'efficacia e la produttività degli investimenti in innovazione tecnologica.
I middle manager esprimono valutazione più positiva con riguardo a:
- la comprensione dell’impatto delle tecnologie sui comportamenti;
- capire e ascoltare le persone;
- privilegiare decisioni più condivise anche se in tempi più lunghi;
- comprensione che agendo su valori e motivazioni (senso di appartenenza, condivisione della visione, public service motivation nel settore pubblico) si può migliorare anche ciò che non si può misurare.
I vertici aziendali esprimono le valutazioni più positive solo per quanto riguarda il contributo di persone con competenze tecnico professionali elevate anche se con motivazioni di medio livello (media 3,26 contro 3,17 dei junior e 2,95 dei middle manager).
In generale, i vertici aziendali esprimono una valutazione molto positiva per:
- attitudine ad ascoltare e a capire le persone
- comprendere l’importanza dell’innovazione organizzativa
- capire che agendo su valori e motivazioni si può migliorare anche ciò che non si può misurare.
Ruolo della formazione manageriale
Nella società si sta rafforzando la tendenza alle partnership pubblico-privato che rappresentano l’ultimo obiettivo (il 17°) dei SDG e uno degli assi portanti del PNRR.
Sembrano essere coerenti con questa tendenza le risposte che considerano utile la formazione di manager pubblici e privati comune/mista (media 4,58, con il 55% che attribuisce un punteggio 5 e 6).
Su questa affermazione gli uomini esprimono una valutazione più favorevole rispetto alle donne (media 4,67 contro 4,43). I più favorevoli sono i giovani poiché i junior manager esprimono una media di 5,00 (contro la media di 4,35 dei middle manager e 4,60 del vertice).
Tuttavia permane un residuo del passato di cultura di separazione in quanto è elevato il numero dei rispondenti che ritiene che la formazione manageriale deve essere differenziata secondo specificità del paese, delle imprese, delle amministrazioni pubbliche, delle istituzioni non profit e del contesto in cui operano (media 4,15), perfettamente equivalente anche tra uomini e donne, e con limitata differenza tra junior manager, middle manager e vertice aziendale.
La valutazione dei rispondenti secondo cui le scuole di management dovrebbero saper anticipare e promuovere i cambiamenti della cultura manageriale (media 5,27, con l’83% che attribuisce i punteggi 5 e 6), può prestarsi ad una duplice interpretazione: positiva, come riconoscimento di un ruolo di innovazione, oppure come critica indiretta all’attuale offerta formativa che essi ritengono non propriamente adeguata.
La valutazione delle donne è leggermente superiore a quella degli uomini (media 5,38 contro 5,21) mentre le valutazioni dei junior manager sono più polarizzate (media 5,75) rispetto al vertice (media 5,42) e middle management (media 4,90).
I rispondenti esprimono una leggera preferenza per la formazione basata su best practice e scambio di esperienze (media 4,52) rispetto alla formazione basata su solide teorie di management che comunque hanno una valutazione positiva (media 4,13).
Il senso pratico delle donne si esprime anche con un punteggio più alto attribuito alla formazione basata su best practice e scambio esperienze (media 4,75 contro 4,40 degli uomini), mentre la valutazione degli uomini privilegia la formazione basata su solide teorie di management/leadership (media 4,27 contro 3,88 delle donne).
I junior manager esprimono valutazioni più elevate per la formazione basata su best practice (media 5,00 contro la media di 4,46 dei middle manager e di 4,45 del vertice aziendale).
La preferenza per una formazione con metodologie didattiche efficaci anche in presenza di contenuti di medio livello (media 4,46) è coerente con la preferenza per l’uso di best practice e scambio di esperienze. Vi è perfetta coincidenza nella valutazione fra uomini e donne, mentre è del tutto coerente la più elevata preferenza dei junior manager (media 4,83) rispetto ai middle manager (media 4,45) e del vertice (media 4,25).
Infine, appare acquisito l’orientamento verso una formazione blended, 50% in presenza e 50% a distanza, con una media ponderata generale di 4,13, preferita dalle donne (media 4,40 contro 3,99 degli uomini), senza grandi differenze tra junior manager, middle manager e vertice.
Conclusioni
Come si evince dalla survey, il gap tra competenze necessarie e competenze possedute è piuttosto ampio. Questa affermazione appare ancora più fondata se si guarda ai temi “alti” della coscienza del ruolo e al senso di sé piuttosto che alle competenze “tecniche” in senso stretto.
Il drastico cambiamento di mentalità richiesto dalla situazione esterna va, infatti, a toccare una categoria professionale la cui età media è vicina ai 50 anni e che, forse, non è così contenta di cambiare.
È chiaro che la formazione manageriale è chiamata a supportare tale drastico cambiamento con approcci nuovi rispetto al passato. In particolare, dovrà fornire un supporto psicologico e di coaching che aiuti a innescare il processo di cambiamento individuale. La formazione dovrebbe portare i manager a riacquisire il “principio di realtà” in base al quale se il contesto cambia, anche tu devi cambiare se vuoi sopravvivere e se vuoi essere in sintonia con te stesso e con gli altri.
Lavorare in gruppo, ascoltare i collaboratori, metter le persone in grado di dare il meglio di sé, valutare per il merito e non per l’acquiescenza, sono azioni manageriali da realizzare non perché “buone” ma perché “necessarie”, per l’azienda e per il manager stesso.
Possiamo far rientrare queste azioni nella grande area delle “soft skill” che sono, a nostro avviso, il terreno di gioco della formazione manageriale oggi. In questo senso si può dire che gli stessi formatori manageriali sono chiamati a “cambiare pelle”, mettendo essi stessi in discussione valori e metodologie ritenuti consolidati.
D’altronde non è forse vero che formazione e innovazione dovrebbero andare insieme?
FILIPPO ABRAMO, Presidente di Federmanagement. ELIO BORGONOVI, Presidente di APAFORM, Associazione Professionale ASFOR dei Formatori di Management. MAURO MEDA, Segretario generale di ASFOR.