LE TRASFORMAZIONI NEL MONDO HR/12
ORNELLA CHINOTTI E ANDREA GRANELLI A COLLOQUIO CON ANTONIO MIGLIARDI
Aprile 2023
In questa intervista ad Antonio Migliardi, Responsabile Organizzazione e Risorse Umane di AMA, partiamo da una domanda necessaria per chi sta agendo all’interno di un’azienda in grande trasformazione: quale sfida sta affrontando?
La sfida si svolge su due piani. Uno esterno, nella relazione di AMA con Roma e gli stakeholder locali, il “sistema” romano, ed è l’obiettivo di essere riconosciuti come azienda credibile da parte di cittadini e amministratori. E uno interno, ossia la necessità di (ri)costruire una solida corporate identity, di generare cittadinanza organizzativa in un tessuto aziendale storicamente lacerato da ondate di turnaround. Il punto di partenza, purtroppo, è una condizione, percepita, di instabilità permanente.
Fra le cause va certamente riconosciuta un’insufficiente capacità di comunicare e socializzare i valori di fondo dell’azienda, che sono tre: la cura, l’integrità e l’inclusione. Anche questi valori – è una delle complessità – vanno letti sempre sui due piani.
Parliamo della cura, ad esempio: AMA ha come missione istituzionale la pulizia, la cura della città, e ogni défaillance si riflette immediatamente sulla qualità della vita – o per lo meno sul suo percepito – dei suoi abitanti. Questo risultato non è conseguibile se Ama non ha “cura” delle proprie risorse.
In tema di inclusione, sappiamo cosa sia la diversità: AMA ha una struttura lunga, piramidale, “alta” e particolarmente “frastagliata”; ad esempio i giovani sono “lontani” perché per molti anni l’azienda non ha assunto. Le politiche di reperimento del passato, peraltro, sono state a volte demagogiche, ad esempio indifferenti alla presenza di carichi pendenti con la giustizia, o tali da configurare AMA come una sorta di ammortizzatore sociale, riconoscendo come priorità assoluta la condizione di intervenuta disoccupazione o i carichi di famiglia. Difficile sorprendersi poi dell’elevato tasso di assenza dal lavoro.
Anche il business aziendale è articolato, con attività talora molto distanti fra di loro. Basti pensare, ad esempio, che AMA gestisce anche i servizi cimiteriali capitolini. Questa diversità di business implica in questo caso una diversità contrattuale, manageriale e anche di bacini di reperimento. Infine, l’azienda ha una base storicamente multietnica.
Quest’azienda-arcipelago finisce spesso con il creare un problema di cittadinanza organizzativa: ciascun lavoratore si riconosce facilmente nel proprio microcosmo di appartenenza, ma fatica ad identificarsi con la struttura nel suo complesso.
L’assenteismo è un problema rilevante per AMA?
I numeri – nella loro crudezza – sono critici, ma vanno compresi. Il 31% della popolazione è affetto da una qualche inidoneità, ovviamente supportata da referti medici: è totalmente inidoneo il 4% della popolazione (il 2% temporaneo e un altro 2% permanente) mentre il residuo 27% è solo parzialmente idoneo (il 22% temporaneo e il 5% permanente). Questa situazione concorre certamente a determinare un’incidenza storica del totale assenze vicina al 20%, che include una notevole presenza di abusi, che stiamo combattendo. Probabilmente il problema più critico, la causa di questi numeri, è la disaffezione. L’assenteismo è spesso una conseguenza di questa; dobbiamo tenerlo presente per intervenire nel modo giusto.
La nostra azienda ha manifestato spesso le contraddizioni tipiche del Paese, capace di dare il suo meglio nelle situazioni d’emergenza e di risultare insopportabilmente carente nella gestione ordinaria. In alcuni casi ci sono anche patologie e gravosità causate, nel tempo, da incuria aziendale e incrostazioni storiche. E il sindacato è potente e rappresentativo (70% circa di sindacalizzazione).
Abbiamo davanti, pertanto, una vera sfida trasformativa: per questo ho accettato l’incarico di dirigere l’area Organizzazione e Risorse Umane. Penso che malgrado l’azienda non possa essere considerata l’unica responsabile di questo stato di cose, le nostre attività debbano partire da un trasparente riconoscimento dei nostri errori e farsi carico della necessità di cambiare.
Recentemente, ad esempio, abbiamo vietato, con un ordine di servizio, di mettere le mani sui rifiuti ingombranti depositati dai cittadini nei centri di raccolta. Quest’attività, non prevista dalle regole e disastrosa dal punto di vista della prevenzione e della sicurezza, veniva svolta dai nostri con generosità e spirito di servizio, anche per evitare piccoli problemi organizzativi. È proprio perché combattiamo gli abusi, e chiediamo al sistema sanitario equilibrio nella prescrizione delle inidoneità che dobbiamo invece proteggere e garantire la vera prevenzione degli infortuni e il valore della sicurezza.
Come si rinsalda allora l’organizzazione?
Innanzitutto facendo in modo che testa e corpo si parlino. Il sistema nervoso centrale di AMA deve infatti interagire con le varie parti del corpo aziendale, informare, dialogare e, soprattutto, ricevere feedback. Oggi il feedback georeferenziato (grazie all’uso degli smartphone) che gli operativi possono fornire all’azienda è vitale e preziosissimo.
Un’altra modalità è la semplificazione procedurale. C’erano, ad esempio, 185 procedure organizzative ormai inservibili, a causa dei continui cambiamenti organizzativi. La vera sfida non è normare qualsiasi cosa, ma piuttosto essere certi che ciascuno “sappia cosa fare” in ogni contesto organizzativo e territoriale.
La prassi di AMA – che ancora una volta non si discosta troppo da quella della PA nella sua interezza – era la iper-proceduralizzazione, con il rischio di una grande distanza fra l’azienda “legale” e quella “reale”. La nostra priorità è definire un nuovo modello di leadership, che sia operativa e soprattutto riconosciuta, fondata sull’autorevolezza: capi intermedi e anche operativi e non dirigenti, che non debbono essere temuti, ma seguiti.
Chiunque creda semplice la soluzione per i rifiuti di Roma sbaglia. Il tema è gigantesco, soprattutto date le risorse disponibili e i vincoli da considerare. La vera sfida è costruire una relazione di servizio trasparente e verosimile con i cittadini e gli amministratori, se possibile riconoscendo che AMA paga molti vizi infrastrutturali della città: lo stato delle strade, il traffico, la dislocazione spesso scomoda e remota di impianti e discariche, etc.
Per una cultura ancora molto presente, AMA ha spesso operato come una Pubblica Amministrazione periferica (pur essendo giuridicamente una Società per Azioni) e le stesse procedure di assunzione, ad esempio, sono state sviluppate in coerenza con questa convinzione. Oggi è però chiaro quanto AMA non debba accettare vincoli ulteriori rispetto a quelli imposti dal mercato e dalle leggi dello Stato, e quanto Roma, per contro, non possa rinunciare a una efficiente gestione dei rifiuti. Va riconosciuto, fra l’altro, che la cittadinanza deve far propri comportamenti ispirati a valori di sostenibilità, civismo e circolarità nella gestione dei rifiuti, non sempre praticati in passato: per molto tempo, come noto, la città ha usato una gigantesca discarica senza un vero investimento di pensiero sulle strategie future di gestione dei rifiuti.
Serve certamente una nuova cultura del decentramento, ad esempio riconoscendo il ruolo e la specificità dei diversi municipi dato che ogni territorio/quartiere ha caratteristiche molto diverse. Ma bisogna anche favorire la crescita di una nuova consapevolezza del cittadino/utente: è un tema di innovazione sociale, dove alla discontinuità devono contribuire tutti. Se i cittadini parcheggiano in doppia fila davanti ai cassonetti, ad esempio, si impedisce la pulizia di quel luogo.
Al riguardo serve chiarezza sui ruoli dei vari attori che si occupano di ambiente sul territorio. Il cittadino deve essere educato a distinguere fra i diversi operatori che incidono sullo stato dell’ecosistema, con certezza di riferimenti.
Quale deve essere in particolare il ruolo di HR in questo complesso percorso di trasformazione?
Un HR efficace deve essere trasparente, ma non invasivo. Deve essere ricercato perché risolve problemi, e non temuto perché interferisce o impone regole incomprensibili. Certamente HR deve presidiare la traduzione in comportamenti delle direttive aziendali; e questo è il suo compito top-down. Ma deve agire anche bottom-up, nella sua dimensione di servizio, supportando i clienti interni e insegnando a chiedere le cose giuste, sapendo educare al servizio.
Leadership, nel senso più autentico, implica “farsi carico” dei problemi seri e scomodi. Solo allora sei davvero riconosciuto. Gli attributi del team HR devono essere lo standing, la capacità di mettersi in gioco e la gravitas, in questo caso in aderenza a valori storici della città capitolina. Naturalmente è importante
la capacità di comunicare con coerenza e trasparenza, più con il contenuto delle decisioni assunte che con le parole.
Infine è sempre più importante saper gestire i conflitti, che esistono e sono parte della vita. Come ci ricorda Dahrendorf in una sua celebre intervista, libertà è conflitto, dibattito aperto. Se scompare la libertà il conflitto si nasconde e si maschera in una sorta di pax forzata. Ma, se ben gestito, il conflitto può diventare un potente fattore di trasformazione, perché impone letture alternative sia della realtà che delle nostre capacità e valori.
Lo stesso sindacato, d’altronde, riconosce HR come controparte credibile solo se è capace di rappresentare gli interessi dell’impresa, e quindi di accettare l’eventualità di un conflitto pur di difenderli.
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