LE TRASFORMAZIONI NEL MONDO HR/10
Ornella Chinotti e Andrea Granelli a colloquio con Fabrizio Rauso
Novembre 2022
In questo decimo appuntamento della serie “Le trasformazioni nel mondo HR” intervistiamo Fabrizio Rauso, direttore Persone, Organizzazione e Digital eXperience di Sogei.
Il digitale sta entrando dovunque e diventa sempre di più una competenza necessaria. Ma in cosa consiste un’autentica cultura digitale?
Per comprendere la reale cultura digitale, guardiamo innanzitutto alla collaborazione, alla voglia e capacità di collaborare. Perché il digitale non solo rende possibile la collaborazione, ma la richiede, forzando in modo quasi naturale il passaggio da un’interazione one-to-all a una all-to-all.
La collaborazione non è però solo una visione del mondo, un approccio relazionale, ma deve diventare un modo di interagire che usa specifici strumenti; e il digitale è un grande costruttore di strumenti. In Sogei, infatti, abbiamo lavorato a lungo per costruire strumenti che abilitano l’experience delle persone. Ad esempio, l’Intranet è stata costruita partendo dall’identificazione di specifiche personas – che abbiamo definito coinvolgendo oltre 400 colleghi. Da lì è nato #NoidiSogei per rimarcare che quanto viene progettato è fatto sulla base dei bisogni di chi fruisce degli strumenti che vengono messi a disposizione. La progettazione della Intranet è stato un percorso lungo, ma alla fine ha dato i suoi risultati. Ha tra l’altro vinto il premio 2021 come migliore Intranet Italiana. Nella progettazione abbiamo invertito l’approccio: non siamo partiti dalle tecnologie e dal loro potere abilitante ma dalle persone, dai loro bisogni e dal loro stile operativo – le personas appunto. E dopo l’implementazione della nuova Intranet abbiamo avviato un articolato processo di change management e adoption che ha accompagnato e supportato l’azienda nell’adozione di nuovi modelli lavorativi abilitati dalle tecnologie. Un processo strutturato che ha visto il coinvolgimento di molti ambassador. All’inizio erano una settantina e oggi siamo arrivati a 135. Questo approccio ha scatenato positivi effetti collaterali come la drastica diminuzione delle mail, quasi il 60% in meno.
Oltretutto l’utilizzo più diffuso di una Internet a misura d’utente e attenta all'esperienza generata, nonché un solido programma di adoption culturale e tecnologico, hanno anche aumentato la consapevolezza delle persone nei confronti delle opportunità legate al digitale. Una maggiore conoscenza, dunque, sia delle sue potenzialità che delle crescenti opportunità.
Comunque – ci tengo a ricordarlo – ogni vero cambiamento di mentalità e di comportamento richiede tempo. Il nostro processo di trasformazione è infatti partito all’inizio del 2016.
Un altro aspetto sempre più importante è la gestione del tempo, sia il proprio che quello dei collaboratori, e soprattutto saper cogliere il momento opportuno per agire. Condividi?
Sì, il tempo è una risorsa sempre più scarsa; oltretutto non basta gestire in maniera efficiente ed efficace il proprio tempo ma bisogna anche saper trovare il momento giusto – kairòs lo chiamavano i Greci – per agire, per prendere decisioni, per manifestare il proprio punto di vista o la propria intenzione. Questo è il cuore della prudenza che si basa, oltre che sull’abilità di cogliere l’attimo propizio, anche sulla capacità di saper dissimulare. Mi viene in mente un celebre libro di Torquato Accetto, dal titolo programmatico Della dissimulazione onesta, pubblicato a metà del Seicento, che sottolinea l’importanza di dissimulare, cioè di non anticipare i propri intendimenti quando il contesto non è pronto per recepirli o noi non siamo ancora pronti per agirli e che questa dissimulazione non è maliziosa ma solo frutto di necessaria prudenza. In un mondo di cambiamento continuo, la prudenza è pertanto una dote importantissima.
Ma in questo contesto di grande cambiamento la formazione è importante?
Direi importantissima. Solo studiando possiamo prepararci per compiti difficili e spesso mai fatti prima. Dobbiamo imparare a capire con maggiore profondità cosa muove il cambiamento, quali sono le leve che innescano la voglia di cambiare delle persone. Per raggiungere questo obbiettivo abbiamo investito nel purpose, una vera bussola per guidare il cambiamento e individuare le competenze necessarie ad attuarlo. Il purpose Sogei è “Semplifichiamo la vita di Noi cittadini”. Una volta enunciato lo abbiamo declinato anche per accompagnare e guidare le persone al cambiamento e verso una nuova consapevolezza circa il proprio contributo quotidiano alla realizzazione del purpose dell’Azienda.
Spesso le grandi trasformazioni spiazzano e disorientano. Io stesso sono stato spesso considerato fuori dagli schemi… per poi vedere compresa la visione che cercavo di portare avanti.
Non tutti sanno gestire la flessibilità, che apre alle scelte delle persone considerandole adulte e può intimorire i manager. È comunque necessario dare flessibilità alle persone per consentire loro di costruire il loro purpose individuale. A ben vedere è un modo sistematico che rimette nelle mani delle persone il proprio tempo/kairòs e riconosce le individualità di ogni singola persona.
Per ritornare alla prudenza, è importante soprattutto nell’esecuzione, che è per sua natura adattiva; e questa caratteristica è forse la cosa più importante per caratterizzare le capacità attuative, ma se ne parla poco e solo nei convegni. Competenze di execution che si basano, quindi, sull’adattabilità, ma anche sul senso del “qui-e-ora” e sulla collaborazione, che va intesa non solo come partecipazione, condivisione, cooperazione. Queste azioni non bastano. Collaborazione è molto di più e si alimenta con il pensiero critico. Se non so cambiare ed entrare nella mia zona di un-comfort come posso pensare di poter orientare il cambiamento degli altri?
Motivazione e ingaggio sono due parole molto usate in Sogei e legate fra loro: non basta ingaggiare, bisogna anche motivare. Per questo motivo abbiamo incoraggiato le persone a raccontare le proprie storie aziendali di purpose. La motivazione, perché sia davvero efficace, deve collegarsi al purpose individuale che, più è legato alla consapevolezza del proprio contributo a uno scopo più alto, più contribuisce a creare un circolo virtuoso di miglioramento individuale continuo.
E qui tornano essenziali la collaborazione e la condivisione, non solo di quanto vissuto ma anche di quanto appreso. Io, per esempio, condivido sempre tutto ciò che studio. Ho creato un blog interno e sono anche diventato executive coach per rafforzare le mie capacità di condivisione e collaborazione.
Come sta cambiando la formazione? Qual è il reale contributo del digitale e come si misura l’impatto di una buona formazione?
La formazione è una grande sfida, anche legata alla necessità implementare soluzioni blended in presenza e in digitale. Le formule phigital devono essere adottate anche nella formazione. La formazione sta diventando un asset principale – forse l’asset principale. Avere persone desiderose di formarsi è la cosa più bella che un direttore delle risorse umane possa desiderare. Il vero parametro di successo di un’azienda è quanto le persone studiano davvero.
Questa voglia di aggiornarsi, di sapere di più, di essere più bravi, deve però originarsi in modo top-down: deve partire dall’esempio dei manager. Oggi, grazie anche al digitale, è esplosa la possibilità di fare formazione, possibilità che i giovani non avevano solo 10 anni fa. Poi servono veri e propri Hub – le piattaforme singole non bastano – che consentano un’esperienza variata (sia come contenuto che come format) e anche fortemente autonoma. Tra l’altro stiamo incominciando a misurare il livello di adozione dell’Hub e non di un'unica piattaforma, anche per capire i vari stili di apprendimento. L’Hub di piattaforme formative è fondamentale in quanto è sempre più necessaria una formazione totale, in grado di dare spazio alla curiosità; la formazione tematica è certamente necessaria, ma non sufficiente. Sogei ha introdotto in particolare un paio di piattaforme pensate per stimolare la curiosità … e funziona; questi strumenti meno ortodossi hanno incrementato di molto la formazione.
Tutto parte sempre dal purpose, che nasce nelle persone e quindi dalla consapevolezza del ruolo che hanno. In Sogei stiamo lavorando moltissimo sul why: perché vieni in azienda? Come pensi di contribuire? E abbiamo anche iniziato a misurare l’efficacia formativa nel modo con cui i discenti fanno le domande, e non è facile misurare questa capacità. Abbiamo sviluppato uno strumento – Skill Map – dove i dipendenti condividono le loro competenze, uno strumento che mette sempre al centro la persona, le sue conoscenze.
Tornando all’uso autonomo dell’Hub di piattaforme, so che è rischioso lasciare le persone sole a imparare. Per questo abbiamo creato dei “gazebo” dove ogni tanto dei gruppi di colleghi si riuniscono e discutono, condividendo i bisogni e creando domande potenti. Apprendimento, infatti, non è solo fare corsi di formazione: è confronto, colloqui continui. L’apprendimento individuale deve saldarsi in comunità di apprendimento. Queste comunità saranno la salvaguardia dell’innovazione e aiuteranno le persone ad adattarsi alla mutazione antropologica che il digitale sta comportando. Lanciare una comunità virtuale è facile, ma poi servono dei community manager tosti capaci di animare e cooptare. Lì sta la sfida.
Come mai nel suo titolo è evidenziata l’espressione Digital eXperience?
Il punto di partenza è la centralità della persona; dobbiamo fornire strumenti per aiutare la crescita, lo sviluppo, la fioritura. Ad esempio, il progetto più importante oggi in Sogei si chiama “Working Smart” e riflette l’esperienza phigital cercando di creare un continuum, una somiglianza, fra lavoro fisico e lavoro digitale. In questo ambito il digitale consente di completare l’esperienza fisica, di arricchirla. Non può più esistere più modello unico di comportamento aziendale (e di esperienza desiderabile): le varie generazioni presenti hanno esigenze diverse e per farvi fronte l’elemento essenziale è la flessibilità
Un altro ingrediente importante è l’empatia: e flessibilità ed empatia sono due stili personali.
Fare il manager in un contesto a diversità (e quindi complessità) crescente è sempre più difficile; ed è, oltretutto, un ruolo poco riconosciuto e schiacciato dalle responsabilità. Il manager deve infatti interpretare il suo ruolo come un caratterista che si adatta. Per questo motivo il personale deve fornirgli il maggior numero di strumenti possibili.
Un rischio crescente dei manager nella continua transizione del digitale è quello che chiamo la sindrome del castello di Camelot: si corre il rischio di concentrarsi sull’ultima torre, esiste una bandierina che ora gira a destra e ora sinistra, e tutti discutono su come deve girare … ma nessuno discute se il castello è ben fatto, se ha fondamenta solide per affrontare la trasformazione continua.
Per tornare alla Digital eXperience, un tema da approfondire è certamente il metaverso. Il metaverso è multiforme. Ma cosa intendiamo davvero per metaverso? Chi segue il digitale da molto tempo non può non ricordarsi del fallimento di Second Life. La vera questione, io credo, è “quale tipo di esperienza si vive nel metaverso”? Oltretutto, ad oggi, ci sono ancora notevoli limiti tecnologici nel metaverso: ad esempio, non si possono tenere i visori per oltre 20 minuti.
Un’applicazione possibile del metaverso alla formazione potrebbe essere la creazione di aule blended: dove appaiono sia le persone in presenza che quelle collegate da remoto.
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