RISORSE UMANE

I tre cardini per guidare
le organizzazioni nel futuro del lavoro

Chiara Barbieri

Novembre 2022

I tre cardini per guidare le organizzazioni nel futuro del lavoro

È successo davvero: una tempesta perfetta ha portato alla fine definitiva del modo di lavorare novecentesco, almeno a queste latitudini. Un new normal a cui è difficile dare una definizione comune, se non la sicura diversità da ciò che lo precede. I tratti caratteristici sono però evidenti.

Il primo è sicuramente una pressione sulla velocità che non ha eguali. Siamo abituati a risposte immediate su tutto. Se la spesa ci arriva entro sera, perché non dovrebbe fare altrettanto la risposta del collega a cui abbiamo chiesto un’informazione o un documento? E perché i team non si dovrebbero riadattare immediatamente all’ennesimo cambio di strategia e priorità? Si è creata un’aspettativa di velocità impressionante, a cui non sempre siamo in grado di rispondere in modo soddisfacente.

Il secondo è la difficoltà a mantenere la concentrazione e l’attenzione su quello che stiamo facendo. Questo non riguarda solo le giovani generazioni, il multitasking è un’abitudine pervasiva che ci porta a rispondere a una chat con il collega mentre ascoltiamo la comunicazione del CEO sul nostro futuro o a scrivere email al capo mentre siamo al cinema a guardare il film del nostro autore preferito. Ma il cervello umano non è fatto per il multitasking, a meno che non si rimanga in superficie: di fatto usiamo “male” la nostra capacità produttiva.

Il terzo è la perdita dei confini tra il mondo lavorativo e la vita privata. Questo fenomeno non è nuovo per i top manager o per i freelance. Quello che però è successo è che ormai tutti indistintamente hanno perso questi confini. La vita privata è entrata nel lavoro con la pandemia e il lavoro è entrato nella vita privata, senza più uscirne. Questo ha effetti importanti sul modo con cui le persone devono riorganizzarsi. Ma non sempre hanno le capacità – o la forza – di mettere in ordine le proprie priorità e di costruire confini sostenibili e questo porta la maggioranza a rivolgersi al famigerato multitasking.

Questo conduce a un quarto fenomeno, che in parte può essere letto come la conseguenza dei primi tre: la perdita di energie. In pandemia si parlò di Zoom fatigue, ma è in realtà una sensazione comune, in cui la spiegazione non è solo l’aumento dello stress ma una difficoltà a rispondere alle continue sollecitazioni che arrivano in ogni momento.

Come rispondere in modo efficace a questo contesto? Quale strada possono seguire le organizzazioni per supportare le persone a vivere questa nuova realtà lavorativa? Non trovare una risposta adeguata può essere pericoloso, perché al momento il mercato del lavoro è più mobile e la demotivazione può portare ad arrendersi (almeno così suggerisco di leggere il quiet quitting, nome esotico per descrivere una resa a condizioni insostenibili).

I cardini su cui lavorare sono 3: cambiare, connettersi e crescere. Tre cardini che guidano una cultura nuova, in cui i leader delle organizzazioni possono abilitare un processo di trasformazione.

 

Cambiare. Come si può gestire il cambiamento di contesto e favorire una trasformazione positiva?

Il cambiamento accade, è una costante della vita umana. Il cambiamento, però, può sconvolgere, travolgere, paralizzare, allontanare. Sicuramente viviamo in un periodo storico in cui le sollecitazioni al cambiamento sono continue e non sono più interne al solo mondo del business (cambi di ruolo, cambi di mercato, digitalizzazione) ma riguardano anche fattori esterni (la pandemia, la politica internazionale, la politica ambientale).

Questa moltitudine di cambiamenti, per non essere subita, va gestita.

Gestire il cambiamento non significa organizzare il cambiamento a tavolino (cosa oltretutto impossibile per il tipo di cambiamenti che stiamo vivendo) ma capirne le dimensioni psicologiche, interpretare il giusto ruolo a seconda delle esigenze del team o del singolo, favorire lo sviluppo di una leadership diffusa in cui il supporto possa venire da tutti e tutti siano in grado di “prendersi cura”.

È affascinante come proprio un mondo così frenetico abbia posto la parola fine alla vecchia leadership del Command & Control: chi pensa di gestire le organizzazioni in questo modo, allo stato attuale si troverebbe team demotivati e svuotati.

Gestire il cambiamento, però, non è solo compito di chi ha una leadership formale: il mondo d’oggi richiede alle persone di sviluppare una mentalità agile, in cui comprendiamo e ci prendiamo cura delle nostre emozioni e in cui compiamo delle scelte accorte per dare priorità alle cose davvero importanti.

È quindi importante favorire un investimento sulle persone, aiutandole a rafforzare alcune competenze umane come l’agilità emotiva, la gestione del cambiamento, la “gestione di sé stessi”.

 

Connettersi. Come si può garantire connessione umana in un mondo ibrido e iperconnesso?

L’abilità di entrare in relazione e costruire fiducia è sempre stata importante; oggi lo dobbiamo fare velocemente e (anche) a distanza. È lo splendido paradosso della digitalizzazione: ha reso la capacità umana di relazionarsi un atout fondamentale e imprescindibile.

Eppure c’è un proliferare di momenti di connessione apparente: riunioni video una in fila all’altra, centinaia di email e messaggi in chat in parallelo che non portano da nessuna parte e, soprattutto, non creano reale comunicazione e non costruiscono fiducia reciproca, il collante di ogni relazione professionale.

È, quindi, necessario sviluppare in tutti, e non solo in chi ha un ruolo manageriale, una buona competenza comunicativa: mi pongo obiettivi specifici quando comunico? Sono capace di scegliere il contesto e il canale? Sono in grado di scegliere comportamenti che creino fiducia con i miei interlocutori?

Qui è importante evitare un approccio dicotomico tra i partigiani dello smart working e i promotori dell’ufficio: ogni spazio ha le sue caratteristiche e consente modalità di connessioni specifiche che favoriscono il raggiungimento di obiettivi diversi tra loro. Ci muoviamo in una realtà in cui sono aumentate le possibilità: se prima un team diffuso sul territorio si vedeva ogni tre mesi in presenza e in quei tre giorni di meeting gli obiettivi erano multipli, oggi si è creata una nuova abitudine per cui ci si vede più frequentemente, magari a distanza, e i giorni in presenza acquisiscono un significato più esplicitamente relazionale e di network. La differenza, quindi, non è tra casa e ufficio, ma tra essere nello stesso luogo ed essere a distanza. Ma se vado in ufficio e passo tutto il giorno tra una video call e l’altra, senza il tempo per un caffè o il pranzo con i colleghi, qual è il valore dell’essere in ufficio?

È, dunque, fondamentale sviluppare la responsabilità di ciascuno sugli esiti della propria comunicazione e sulla “salute” delle relazioni importanti a livello professionale e guidare all’azione su alcuni aspetti pratici: stabilire insieme al team regole per favorire una maggiore connessione, dare valore al tempo umano, creare momenti umani anche a distanza.

 

Crescere. Come si può garantire engagement e motivazione per supportare la performance?

Ormai è chiaro: non esiste una ricetta magica per creare e mantenere engagement. La motivazione umana è un sistema complesso a cui si è data per troppi anni una trattazione semplicistica: quella del bastone e della carota. Visione di corto respiro, che alla lunga spegne la vera motivazione, quella interna, legata alla passione per quello che si fa, al senso di contributo, al sentirsi parte significativa di una storia, al poter mettere a frutto i propri specifici talenti.  Cosa consente alle persone di lavorare con entusiasmo, superare le difficoltà con determinazione, migliorare costantemente i propri risultati?

È qui che la cultura della leadership presente in un’organizzazione può fare la vera differenza. Una cultura che favorisca la sicurezza di ogni suo membro e che crei un ambiente dove ciascuno si possa sentire valorizzato, anche se porta una diversità. In questo senso muta definitivamente il ruolo del leader, che non è più un gestore ma un coach, in grado di ascoltare, comprendere e accogliere fragilità ed errori.

Trasformare la leadership: questa rimane la vera sfida, quella strategica, non più rimandabile per le organizzazioni che vogliano continuare a prosperare in questa nuova realtà.

 

Chiara Barbieri, DEIB Practice Leader di Cegos Italia.

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