RISORSE UMANE

L’employee experience nell’era dell’intelligenza artificiale

Come l’IA sta cambiando il mondo delle risorse umane

Rosario Sica

Settembre 2024

L’employee experience nell’era dell’intelligenza artificiale

Approfondire il tema del rapporto tra HR e intelligenza artificiale (IA) esige di collocarlo in un quadro più vasto e adottare uno sguardo sistemico. A mio avviso ciò comporta anzitutto pensarci in una prospettiva ecologica. Difatti, proprio come gli ecosistemi prosperano grazie a interazioni equilibrate, l’integrazione dell’IA nelle risorse umane richiede una miscela armoniosa di elementi tecnologici e umani per ottimizzare l’efficienza del luogo di lavoro, migliorare le esperienze dei dipendenti e garantire pratiche etiche. Questa prospettiva promuove lo sviluppo sostenibile all’interno delle organizzazioni, assicurando che i progressi tecnologici non compromettano, ma piuttosto sostengano e arricchiscano il potenziale umano, favorendo un ambiente organizzativo prospero, adattabile e resiliente.

Alcuni osservatori rilevano con preoccupazione l’impatto ambientale delle tecnologie che consentono all’intelligenza artificiale di funzionare. Esse comportano un notevole consumo di energia necessario per l’elaborazione dei dati su larga scala e per i modelli di apprendimento automatico. Ma, per altri versi, l’intelligenza artificiale può avere anche impatti molto positivi. Essa ha invero un immenso potenziale per il monitoraggio e la conservazione dell’ambiente. Ad esempio, le capacità di modellazione predittiva dell’IA possono simulare i processi ecologici e prevedere i cambiamenti ambientali, contribuendo alla formulazione di strategie di conservazione proattive.

In breve, inquadrare l’IA in un contesto ecologico non significa solo mitigarne gli impatti negativi sull’ambiente, ma anche sfruttarne le capacità per affrontare le sfide ecologiche più urgenti. Questo approccio globale promuove un futuro sostenibile e resiliente, in cui l’IA contribuisce positivamente alla salute e alla conservazione degli ecosistemi del nostro pianeta – incluse le organizzazioni.

 

I molti tipi di intelligenza

Il senso profondo dell’impatto dell’IA sul mondo delle risorse umane non può essere compreso senza una riflessione sui tipi di intelligenza su cui si sono interrogati i migliori psicologi e ricercatori sociali. Il concetto di intelligenza si è evoluto in modo significativo a partire dal lavoro fondamentale di Howard Gardner. Figura di spicco nel campo della psicologia, Gardner ha proposto la teoria delle intelligenze multiple nel suo libro Frames of Mind (1983), identificando otto intelligenze distinte: linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporeo-cinestetica, interpersonale, intrapersonale e naturalistica. In, seguito ha considerato l’aggiunta dell’intelligenza esistenziale, che riguarda la capacità di riflettere su domande profonde sull’esistenza. La visione di Gardner suggerisce che gli individui possiedano una miscela unica di queste intelligenze, che influenzano le loro preferenze e capacità di apprendimento.

Un decennio dopo l’uscita di Frames of Mind, il noto libro di Daniel Goleman Emotional Intelligence (1995) ha approfondito la comprensione del tipo di intelligenza che va oltre ogni misura tradizionale di IQ – e può contare molto di più. L’analisi di Goleman, secondo cui l’intelligenza emotiva implica la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri, ha evidenziato l’importanza delle competenze sociali, dell’empatia e della regolazione emotiva per il successo personale e professionale. Ciò ha ampliato ulteriormente la portata di ciò che costituisce l’intelligenza e ha aperto la strada a ulteriori esplorazioni in questo campo.

L’esplorazione di questi diversi tipi di intelligenza ha implicazioni significative per l’intelligenza artificiale. I sistemi di IA, per lungo tempo progettati per replicare l’intelligenza logico-matematica, sono oggi sempre più sviluppati per imitare altre forme dell’intelligenza umana. Conoscere le aree specifiche del cervello coinvolte nelle diverse emozioni può permettere di creare modelli computazionali più realistici e complessi, vicini alle reazioni umane. Al tempo stesso, l’intelligenza artificiale mira a replicare l’intelligenza interpersonale, consentendo alle macchine di impegnarsi in contesti sociali in modo più efficace. Certo, resta tutto da vedere quali progressi si stiano davvero ottenendo e quali si potranno avere in futuro. Ma questi sviluppi sono verosimilmente suscettibili di avere importanti ricadute anche dal punto di vista HR.

 

Bateson e il valore delle relazioni

Il tema delle relazioni è in effetti cruciale. Un filmato del 1966, che riprende una lezione magistrale tenuta da Gregory Bateson alla California State University sul tema From Versailles to Cybernetics, chiarisce l’importanza di questo aspetto in modo inequivocabile. Per Bateson, semplicemente, questa è la natura essenziale di tutti i mammiferi – e anche la nostra tra di essi. I mammiferi hanno una cura estrema per i modelli di relazione, per dove si situano in termini di amore, odio, rispetto, dipendenza in rapporto a qualcun altro. Messa a fuoco quasi 60 anni fa, questa tematica resta di fondamentale rilievo anche ai giorni nostri. L’osservazione di Bateson significa che il nostro benessere emotivo e psicologico è profondamente intrecciato alle nostre interazioni sociali e alle posizioni che assumiamo nei confronti degli altri. In sostanza, Bateson ha evidenziato che le nostre identità ed esperienze sono plasmate dalle nostre dinamiche relazionali.

Nel mondo ipertecnologico di oggi questa prospettiva rimane profondamente attuale. Comprendere l’importanza delle relazioni in un contesto ad alta tecnologia può aiutarci a navigare nelle complessità della vita moderna. Ci ricorda di dare priorità ai legami autentici e di essere consapevoli di come la tecnologia media le nostre interazioni. Mentre continuiamo a integrare l’intelligenza artificiale e le piattaforme digitali nelle nostre vite e nelle organizzazioni, è fondamentale promuovere ambienti che rispettino e alimentino le relazioni umane.

 

Il ruolo dell’emozione

Il film di Disney Inside Out è costruito su una geniale allegoria, in cui le emozioni sono personificate come personaggi cartoon nella mente di Riley, una bambina di 11 anni. Le emozioni principali – gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto – lavorano insieme per affrontare le sue esperienze, specialmente durante il trasferimento in una nuova città. Il sequel, Inside Out 2, segue Riley adolescente, introducendo nuove emozioni come imbarazzo, ansia e speranza. Queste aggiungono complessità e conflitti, e la storia racconta come alla fine tutte collaborino per aiutare Riley a crescere e trovare un equilibrio interiore. Viene spontaneo chiedersi, uscendo dal film, quali altre emozioni tendano a influire sugli stati d’animo e i comportamenti delle persone più adulte.

Le macchine, notoriamente, non hanno emozioni, né coscienza ed esperienze soggettive. Gli algoritmi elaborano i dati in modo logico ed efficiente, privi del contesto emotivo che caratterizza il processo decisionale umano. Questa fredda precisione consente alle macchine di eseguire calcoli complessi, analizzare vasti insiemi di dati e automatizzare compiti con un’accuratezza senza pari. Tuttavia, significa anche che non sono in grado di comprendere o replicare le sfumature delle esperienze umane che le emozioni portano con sé. Questo vuoto emotivo sottolinea la differenza fondamentale tra l’intuizione umana e la logica delle macchine, evidenziando i limiti dell’affidarsi esclusivamente agli algoritmi per compiti che richiedono empatia e intelligenza emotiva.

Certo, su questo fronte le sperimentazioni sono molto attive. I ricercatori del MIT Media Lab sono da tempo pionieri dell’affective computing, che prevede la creazione di sistemi in grado di riconoscere, interpretare e simulare le emozioni degli esseri umani. Questi sistemi di intelligenza artificiale utilizzano l’elaborazione del linguaggio naturale e l’apprendimento automatico per comprendere e rispondere alle emozioni. Modelli di questa natura possono generare testi che appaiono ricchi di sfumature emotive, ma ancora non si può dire che “sentano” le emozioni umane. Siamo in effetti molto distanti da questo traguardo – se mai ci si arriverà. Lo stesso può dirsi dei testi, sia pure straordinari, che creano ChatGPT, Gemini o gli altri tool di Gen AI. Nel mondo HR ciò deve indurre a valutare con molta attenzione i problemi e i rischi di affidare alle macchine scelte che molto spesso, se si prende sul serio il concetto di employee caring, devono includere aspetti significativi di empatia.

 

Unicità dell’intelligenza umana

Un testo illuminante per comprendere perché l’intelligenza umana ha caratteri unici è quello di Antonio Damasio, L’errore di Cartesio (1995). Per Damasio le emozioni derivano dalle percezioni che il cervello ha dei cambiamenti corporei. Il corpo fornisce un feedback costante al cervello attraverso segnali fisiologici come variazioni della frequenza cardiaca, della respirazione e di altri parametri fisici. Questi segnali vengono interpretati dal cervello e contribuiscono alla formazione delle emozioni. Quindi, nella sua visione, le emozioni non sono fenomeni mentali isolati, ma piuttosto risultano dall’interazione continua tra il cervello e il corpo. Questo sostrato corporeo alle emozioni è verosimilmente simile a quello riscontrabile presso gli animali – ma è totalmente diverso da quello che può risiedere nelle componenti hardware delle macchine. Nella prospettiva dell’intelligenza artificiale, dunque, l’unicità dell’intelligenza umana e del suo modo di rapportarsi alle emozioni appare incontrovertibile. E tale resterà per un tempo molto, molto lungo.

Nonostante ciò che l’intelligenza artificiale non è (o è poco) in grado di fare, non vi è alcun dubbio che essa possa ottimizzare una serie straordinaria di attività cognitive e procedurali grazie alle sue capacità avanzate di elaborazione dati in tempi sempre più rapidi. Analizzando grandi volumi di dati in modo molto accurato, l’IA riesce a identificare modelli e correlazioni che potrebbero non essere immediatamente evidenti agli analisti umani, migliorando così i processi decisionali.

Parlando dei contributi migliori che possono venire dall’IA è importante sottolineare un aspetto: molti di essi potranno riguardare non tanto funzioni che le intelligenze artificiali svolgono da sole, ma attività in cui macchine e umani collaborano per assicurare i risultati più validi, efficienti, e sicuri. I principali esempi in cui questo già avviene sono ampiamente noti. Nel settore sanitario l’intelligenza artificiale collabora con medici e ricercatori per migliorare l’accuratezza diagnostica e i piani di trattamento, analizzando le immagini (come radiografie e risonanze magnetiche) per identificare con grande precisione anomalie come i tumori. Nel customer care aziendale, i chatbot dotati basati sull’IA gestiscono le richieste di routine dei clienti, fornendo risposte immediate e liberando gli agenti umani per affrontare problemi più complessi. Esempi come questi, relativi a pratiche sociali e di business già in atto, si potrebbero moltiplicare.

Un ulteriore esempio è proprio quello del mondo HR. Anche qui gli strumenti di intelligenza artificiale aiutano già gli addetti umani nel vagliare i curriculum e identificare i candidati migliori in base a criteri predefiniti, semplificando il processo di selezione. I reclutatori umani conducono poi i colloqui e valutano l’idoneità culturale e le capacità interpersonali dei candidati. Questa collaborazione accelera il processo di assunzione e garantisce che nelle decisioni relative si tenga conto sia delle qualifiche tecniche sia dei fattori umani.

 

Bilanciare efficienza tecnologica e relazioni umane

Come hanno riportato nel giugno 2024 molti grandi media, tra cui il New York Times, quando Elon Musk ha fatto avere alla remota tribù amazzonica dei Marubo dei device digitali e l’aggancio a Internet via Starlink, con questo l’ha connessa al mondo – ma ha creato anche rilevanti tensioni nelle relazioni all’interno del gruppo.

L’intento dell’iniziativa era nobile: quello di colmare il divario digitale, offrendo risorse educative, informazioni sanitarie e strumenti di comunicazione alle comunità indigene. Ma non sempre il digitale favorisce il tessuto sociale delle relazioni. Nel caso dei Marubo, la connessione al mondo attraverso Internet ha sconvolto le pratiche culturali e i comportamenti tradizionali. I giovani della tribù, in particolare, hanno presto mostrato i segni della distrazione da schermo (diventando meno desiderosi di andare a pescare e cacciare), una tendenza a subire la disinformazione digitale e un non trascurabile grado di dipendenza.

Questo esempio indica chiaramente che i vantaggi derivanti dalle tecnologie, promuovendo l’efficienza, non sempre hanno un riflesso positivo sulle relazioni umane. Calcando un po’ la mano, si potrebbe dire che l’avvento della logica algoritmica aumenta le connessioni ma dissolve le relazioni. O quantomeno rischia di farlo, se il processo non è attentamente controllato.

 

Simplify your business, simplify your life

Se dovessi indicare quale sia il beneficio più generale dell’IA con una sola parola, direi: semplificazione. Mentre il valore e la qualità delle relazioni umane continueranno a dipendere da noi, se la tecnologia verrà ben usata le relazioni potranno trarre vantaggio dalla capacità dell’IA di semplificare il nostro lavoro e la nostra vita. Questa capacità è indubitabile ed è possibile vederla già all’opera. Gli esempi sono fin troppo noti. Sistemi intelligenti come Waze o Google Maps ci aiutano a raggiungere con facilità i nostri cari ovunque si trovino. Le app di traduzione potenziate dall’intelligenza artificiale offrono traduzioni in tutte le lingue, abbattendo le barriere linguistiche nella comunicazione. In azienda vantaggi simili sono resi possibili dai sistemi che consentono il passaggio dal Digital Workplace alla Phygital Enterprise, che ho analizzato nel libro Employee Experience (2018). Dall’uso dell’IA per la gestione ottimali degli spazi allo smart scheduling, dagli insight avanzati dati dall’IA al supporto al decision-making in tempo reale, i modi in cui le intelligenze artificiali stanno semplificando l’esistenza di manager ed employee sono ormai troppo numerosi per poterli descrivere.

Dietro a questa straordinaria capacità di semplificare propria dell’IA c’è un preciso fenomeno tecnologico: la velocizzazione. Il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo. E incessanti sviluppi tecnologici rendono l’IA in grado di velocizzare una quantità di processi, facendo risparmiare tempo sia ai consumatori che alle aziende.

 

Employee experience, customer experience e IA

Per comprendere a fondo come l’intelligenza artificiale possa risultare utile e addirittura preziosa nelle pratiche HR, occorre partire da una breve analisi delle modalità esperienziali in cui si trovano oggi a vivere da un lato gli employee, dall’altro i consumatori/clienti. Nei miei libri precedenti avevo posto l’accento su due fenomeni tendenziali molto importanti: il fatto che l’employee experience è la nuova customer experience (nel segno del digitale); e il fatto che le buone esperienze dei clienti nascono all’interno delle organizzazioni. Negli ultimi anni entrambi questi fenomeni si sono resi ancor più percepibili e rilevanti.

Di fatto, la convergenza tra employee experience e customer experience ha dato luogo a una terza categoria concettuale – la total experience (in sigla TX). L’obiettivo di ogni intervento in materia di TX è di creare un’esperienza coerente e positiva per il cliente in ogni momento della sua interazione con il marchio o l’azienda, rendendo contemporaneamente l’esperienza del dipendente la più soddisfacente possibile.

È qui che si incrociano le considerazioni relative al purpose e all’esperienza totale. Nell’allegato a Harvard Business Review Italia di OpenKnowledge, che ho diretto e che è stato pubblicato alla fine del 2023, diversi articoli sviluppano ampiamente questo collegamento, indicando chiaramente che il purpose – la ragion d’essere che guida ogni impresa – è vicino alla total experience poiché entrambi richiedono una visione olistica dell’organizzazione. Se il purpose è radicato nella cultura aziendale, i dipendenti si sentono più motivati e coinvolti. Questo impegno positivo dei dipendenti si riflette direttamente nella qualità del servizio fornito ai clienti. Allo stesso tempo, i clienti percepiscono che l’azienda agisce in piena coerenza con i suoi valori: il miglioramento della loro esperienza si traduce in maggiore soddisfazione e lealtà, premiando l’azienda e i suoi dipendenti.

Il mondo dell’HR si trova oggi a un bivio cruciale, dovendo bilanciare le legittime preoccupazioni umane con le sfide poste dall’evoluzione tecnologica. In questo contesto, emerge una crescente necessità di strumenti e approcci innovativi. Chi lavora in HR è spesso sensibile a queste problematiche e riconosce l’urgenza di un cambiamento. L’adozione di tecnologie più avanzate e flessibili potrebbe trasformare sostanzialmente il panorama delle risorse umane, rendendolo più dinamico e adatto alle sfide del futuro. Il settore HR, quindi, deve spingersi verso soluzioni che non solo rispondano alle esigenze attuali, ma che anticipino le tendenze future, facilitando una gestione del personale che sia veramente inclusiva, intelligente e capace di valorizzare ogni singolo individuo all’interno dell’organizzazione.

 

L’intervento dell’IA nei vari step dell’employee journey

L’employee journey era ben strutturato prima della pandemia, quando nei dipartimenti HR prevalevano i colloqui di persona seguiti dall’assegnazione di una postazione fissa di lavoro. Con l’arrivo di Covid-19 si è assistito a un’evoluzione significativa verso l’employee caring. La pandemia ha sconvolto le strutture organizzative tradizionali, liberando i dipendenti dalle consuete costrizioni orarie e permettendo loro di lavorare da qualsiasi luogo.

L’avvento e la diffusione dell’intelligenza artificiale hanno ulteriormente trasformato il panorama, influenzando i passaggi tradizionali dell’employee journey. Oggi, l’assunzione di un nuovo dipendente non segue più un percorso lineare di inserimento e formazione, ma si orienta verso modalità di lavoro flessibili, che richiedono una maggiore attenzione al benessere del dipendente. L’introduzione di queste dinamiche pone una sfida significativa: come reinterpretare l’employee journey nel 2024? Non si tratta solo di aggiornare le pratiche esistenti, ma di ripensare l’intero percorso in modo che rifletta le nuove realtà e le esigenze emergenti. L’IA gioca un ruolo critico in questo processo, non solo come facilitatore di comportamenti, ma come catalizzatore per l’innovazione e l’efficienza.

In breve, l’employee journey dei giorni nostri è un viaggio che richiede un’attenta revisione delle pratiche adottate fin qui. Per le organizzazioni si configura come un’opportunità di abbracciare il cambiamento e di utilizzare la tecnologia per creare esperienze lavorative più ricche e soddisfacenti. Fermo restando che l’attenzione al benessere dei dipendenti, ora più che mai, è la chiave per costruire una cultura aziendale resiliente e orientata al futuro.

 

Rosario Sica è Partner BIP Group e CEO Open Knowledge.

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