EDITORIALE
Enrico Sassoon
Ottobre 2024
“È fondamentale che tutti noi adottiamo un maggior rigore nell’uso dell’intelligenza artificiale generativa sul lavoro. In questo articolo spiegheremo come”, dicono Wilson e Daugherty nel loro tempestivo e illuminante articolo. È, infatti, il momento giusto per riflettere a fondo su questa nuova tecnologia che, occorre ricordare, in pochi mesi dal novembre 2022 ha registrato la più rapida diffusione che si sia mai vista, persino in quest’epoca di disruption continua. È difficile stimare quanti utilizzino, in modo episodico o con cadenza continua, uno dei diversi modelli di IA generativa. ChatGPT ha certamente aperto la strada ma ne esistono molti altri sia analoghi sia specializzati in funzioni specifiche. Siamo comunque nell’ordine delle centinaia di milioni o dei miliardi, e oggi GenAI è sempre più utilizzata anche nel lavoro.
Secondo le ricerche di fonti diverse, la maggior parte delle funzioni aziendali e oltre il 40% di tutte le attività lavorative possono essere aumentate, automatizzate o reinventate con l’IA generativa. Si prevede che i cambiamenti avranno il maggiore impatto sui settori legale, bancario, assicurativo e dei mercati dei capitali, seguiti da commercio al dettaglio, viaggi, sanità ed energia. Di fatto è già così e occorre essere consapevoli dei vantaggi che questo porta, ma anche dei rischi ormai ben noti come quello delle cosiddette “allucinazioni”, che altro non sono che vere e proprie castronerie proposte dall’IA generativa come ragionevolissime e informate risposte.
Da qui l’invito dei due autori di adottare grande attenzione e rigore nell’uso di GenAI, specie quando errori od omissioni possono avere conseguenze significative nel mondo del lavoro e sui mercati. L’IA generativa è sempre più utilizzata non solo come ausilio a funzioni specifiche nell’ambito della gestione finanziaria, delle risorse umane, del marketing, della logistica e della ricerca, ma anche come punto di partenza per molte di queste attività. Supporto e aumento e amplificazione delle capacità di lavoro rappresentano un ottimo contributo della tecnologia, ma surroga e sostituzione di attività che richiedono visione e creatività possono essere rischi con conseguenze molto costose.
“Per eccellere in questa nuova era di collaborazione tra IA e uomo, la maggior parte delle persone avrà bisogno di una o più di quelle che chiamiamo “abilità di fusione”: interrogazione intelligente, integrazione del giudizio e apprendimento reciproco”, scrivono ancora Wilson e Daugherty, che sottolineano l’esigenza di sviluppare sistematicamente queste nuove capacità di pensare, creare fiducia e personalizzare. Le ricerche empiriche dimostrano, infatti, costantemente che le istruzioni con cui la maggior parte dei dipendenti rivolge oggi le domande a GenAI portano a risultati inaffidabili o scadenti, soprattutto per quanto riguarda i compiti di ragionamento complessi.
Un’area in cui si sta estendendo rapidamente l’uso collaborativo dell’intelligenza artificiale generativa è quella del marketing e della gestione del brand, come scrivono DeFreitas e Ofek. Si tratta, chiaramente, di un aspetto estremamente delicato, dato che il brand rappresenta il punto di contatto tra l’azienda e il mercato, in una relazione che non è solo razionale, ossia dettata dall’utilità, bensì anche psico-emotiva, ossia condizionata da fattori personali e culturali. Per quanto l’IA stia evolvendo a ritmi elevatissimi e i grandi modelli linguistici (LLM) stiano crescendo in misura esponenziale con miliardi di parametri ed enormi database di conoscenze, dal punto di vista della sua capacità “senziente” siamo ancora agli albori.
Da qui l’ammonizione dei due autori: mettere insieme brand e automazione non è semplice. L’intelligenza artificiale può avere effetti negativi su un marchio e, per implementarla in modo efficace, è spesso necessario affrontare e superare la resistenza e le reazioni avverse sia dei clienti sia dei dipendenti.
Ciononostante, l’IA sta diventando parte integrante della gestione dei brand. Per ottenere buoni risultati, occorre capire che cosa pensano gli stakeholder dell’IA e che cosa si può fare non solo per dissiparne le preoccupazioni, ma anche per trasformarli in convinti sostenitori. Occorre, cioè, assicurarsi che l’automazione non sia eccessiva, evitando di eliminare ogni forma di controllo umano, e che l’IA non diventi il volto del marchio. E tenendo sempre presente che l’intelligenza artificiale e le attività creative non sono forze contrapposte.