EDITORIALE
Enrico Sassoon
Ottobre 2023
In giro è tutto un dichiarare che occorre mettere al centro le persone e che il futuro dell’azienda è connesso strettamente al talento e al coinvolgimento dei dipendenti, alla loro capacità di corrispondere alle esigenze dell’organizzazione e, viceversa, all’effettiva capacità di questa di farne evolvere conoscenze e competenze, specie quando il ritmo dell’innovazione tecnologica è così rapido. Ma, al di là delle pur convinte dichiarazioni, tutto questo succede veramente?
La risposta è complessa e di sicuro non univoca. Di certo, l’impegno di molte aziende verso i dipendenti è crescente, in alcuni casi quasi debordante, nel tentativo di trattenere i migliori e di attrarne di nuovi. Ed è intenso lo sforzo di onboarding di giovani, con attenzione forse un po’ troppo certosina a desideri e principi espressi, o anche inespressi. Molte sono però le organizzazioni che non sentono ancora l’urgenza della situazione e che non si impegnano in attività di formazione e ri-formazione rese indispensabili dalle condizioni che ci circondano.
In questo numero, Tamayo e altri mettono il dito su una piaga diffusa: la reale capacità delle aziende di effettuare un serio ed efficace reskilling, sia in generale perché imposto dalle continue e rapide trasformazioni in atto, sia in particolare perché connesso al crescente ruolo dell’intelligenza artificiale, specie quella generativa come ChatGPT, Midjourney o DALL-E.
Procedere con saggia prudenza è una virtù, ma prendersela con comodo è un grave errore. Di fronte a un’accelerazione dei processi di affiancamento di strumenti tecnologici al lavoro, la durata media delle competenze acquisite nei diversi momenti di vita professionale si sta rapidamente riducendo e ormai l’esigenza dell’aggiornamento si ripresenta ogni pochi anni. Quanto pochi? Evidentemente ogni posizione lavorativa è diversa dall’altra, ma in media ormai occorre ritenere che l’orizzonte di cinque anni possa essere in molti casi rischioso. Il lavoro intellettuale sembrava sufficientemente al riparo dalla minaccia competitiva dell’intelligenza artificiale, ma l’avvento dell’IA generativa sta cambiando, in molti settori, le carte in tavola. Non è il caso di farsi prendere dal panico, ma il reskilling, e sempre più anche l’upskilling, sta diventando un’urgenza, spesso non percepita come tale.
Durante fasi di grande trasformazione, si legge nell’eccellente articolo di Tamayo e soci, con molti posti di lavoro a rischio, le aziende si sono spesso rivolte alla riqualificazione per attenuare il colpo dei licenziamenti, placare i sensi di colpa per la responsabilità sociale che hanno e creare una narrazione pubblica positiva. La maggior parte delle aziende, però, è andata oltre questo approccio limitato e ora riconosce che il reskilling è un imperativo strategico, riflettendo profondi cambiamenti nel mercato del lavoro, sempre più limitato dall’invecchiamento della popolazione attiva, dall’emergere di nuove occupazioni e da un crescente bisogno per i dipendenti di sviluppare competenze specifiche. In questo contesto, efficaci iniziative di reskilling sono fondamentali, perché consentono di creare rapidamente un vantaggio competitivo sviluppando talenti che non sono immediatamente disponibili sul mercato e colmando le lacune di competenze fondamentali per raggiungere i loro obiettivi strategici.
Il punto è che per progettare e implementare ambiziosi programmi di riqualificazione, le aziende devono fare molto di più che formare i propri dipendenti: hanno bisogno di creare un contesto organizzativo che ne favorisca la riuscita. Per fare ciò devono garantire la giusta mentalità e comportamenti comuni a dipendenti e dirigenti. Da questo punto di vista, la riqualificazione è simile a un’iniziativa di gestione del cambiamento, perché richiede di concentrarsi su molte attività diverse in contemporanea.
Compito non facile che, come si legge negli articoli dello Speciale, possono generare stati di preoccupazione e ansia che leader e manager devono imparare a gestire. Il che, chiaramente, non è ovvio, perché non solo la stessa ansia dei dipendenti può riguardare anche i leader, ma soprattutto perché pochi sono attrezzati a gestire gli aspetti psicologici ed emotivi legati all’ansia.
I manager ricevono talvolta una formazione di base per soccorrere colleghi e collaboratori che hanno problemi sul posto di lavoro, ma pochissimi hanno sviluppato le competenze che occorrono per affrontare le crisi psicologiche che potrebbero esplodere nei loro team. Questo tipo di formazione è ormai necessario dato che ci si trova facilmente a guidare collaboratori in preda all’ansia per fattori di stress come isolamento sociale, inflazione, prospettive economiche incerte, strascichi della pandemia da Covid-19 e rapidi progressi della tecnologia.
È una situazione per molti versi estrema e senza precedenti ma, con ogni probabilità, è il new normal che ci accompagnerà in modo continuo per molti anni a venire.
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