EDITORIALE

Lavorare meno, lavorare meglio

Enrico Sassoon

Novembre 2024

Lavorare meno, lavorare meglio

In un periodo nel quale, di norma, è d’uso sottolineare lo scarso coinvolgimento e la bassa motivazione dei lavoratori, parlare di “superlavoro” può suonare poco appropriato. La realtà è che, accanto a forme di distacco, che possono spaziare su un arco che va dalla mera pigrizia a un consapevole quiet quitting militante, vi sono molti casi di persone fortemente dedite al loro lavoro. Possono essere definite stacanovisti, dal nome di Aleksej Grigorevic Stachanov, il lavoratore sovietico che negli anni Trenta del Novecento venne esaltato per la sua straordinaria capacità di lavoro; o, con espressioni meno lusinghiere, come “forzati del lavoro” o addirittura “maniaci del lavoro”. Sono i nostri colleghi che arrivano prima alla mattina e si fermano dopo, o anche molto dopo, alla sera, staccano poco anche nei weekend e trascurano la famiglia nel tempo libero. Se altri sono distaccati, loro non staccano mai.

È un tema importante, cui è dedicato lo Speciale di questo numero in cui ci si chiede fondamentalmente due cose: perché lo fanno? E conviene a loro e all’azienda?

Il perché è frutto di una mentalità individuale e di una cultura organizzativa. Gli stacanovisti hanno un forte senso del dovere e sentono il peso dell’urgenza, ma nutrono anche ambizioni personali e, con l’overwork, vogliono dimostrare le loro capacità e la loro fedeltà, nella speranza di una carriera migliore. Che, peraltro, in certi casi arriva, ma in altri no. E poi c’è una certa cultura dell’organizzazione, di stampo tayloristico, che considera la quantità di lavoro prestato come la precondizione necessaria per un risultato qualitativo migliore. Insomma, più lavori meglio sta l’azienda e meglio stai tu.

Nell’insieme, si tratta di un orientamento mentale che alcuni definiscono superato e del tutto controproducente. Il superlavoro, si sostiene, non equivale a miglior lavoro ma, anzi, porta a stanchezza e a esaurimento e, dunque, a un lavoro meno accurato e meno produttivo. E, dunque, per rispondere alla seconda domanda, non conviene né al lavoratore né all’azienda.

I nostri autori ritengono che vi siano abbondanti prove dell’inefficacia del superlavoro e citano diversi casi in cui una riduzione dell’impegno di tempo lavorativo porta a risultati migliori. Questo perché lavorare meno fa lavorare meglio e, anche se vi sono costi iniziali da sostenere, nell’insieme la produttività totale aumenta e ne giovano sia i lavoratori sia l’organizzazione, che diventa più fluida e competitiva.

Per dimostrare che il superlavoro è dannoso, viene ricordato che orari di lavoro prolungati sono stati associati a tassi più elevati di burnout, errori inutili, incidenti, pensieri confusi, presenzialismo, cattiva salute e persino a una durata della vita più breve. Ci sarebbe anche un pedaggio finanziario da pagare: lo stress derivante può portare a un disimpegno che, secondo le stime Gallup (State of the Global Workplace), costa ogni anno 8,9 trilioni di dollari in termini di PIL perso in tutto il mondo. Non una piccola cifra.

Se, cosa di cui molti sono convinti, lo stacanovismo è un male da estirpare, occorre curarlo al meglio. E che venga considerata una sorta di malattia lo prova il fatto che negli Stati Uniti esiste un’organizzazione dal nome Workaholics Anonymous la cui missione è sconfiggere i demoni del troppo lavoro e riportare i fedeli alla retta via; una sorta di “alcolisti anonimi” da far ritornare sobri dopo una vita di sbornie lavorative.

È materia di riflessione, specie perché delle nuove generazioni, come i Millennial e la GenZ, si sa che non hanno granché la propensione al superlavoro ma, anzi, privilegiano la qualità della vita e un sano equilibrio vita-lavoro. Nei fatti, però, almeno fino a oggi sono poche le organizzazioni che si sono proposte di sconfiggere la sindrome del superlavoro. È, comunque, difficile dubitare che la tendenza vada in quella direzione, complice anche l’avvento delle nuove tecnologie d’intelligenza artificiale che stanno iniziando a cambiare pesantemente le regole del gioco.

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