SELF MANAGEMENT
Amy Gallo
Novembre 2022
All'inizio della mia carriera ho accettato un lavoro in cui la mia responsabile aveva la reputazione di essere “difficile”. La chiamerò Elise. Molte persone mi avevano avvertita che sarebbe stato arduo lavorare con lei, ma ho pensato di potercela fare. Ero orgogliosa della mia capacità di andare d'accordo con tutti: non ho mai permesso a nessuno di toccarmi in profondità e ho sempre cercato di vedere il meglio in ognuno.
Due mesi dopo ero pronta ad andarmene. Elise lavorava fino a tardi e nei fine settimana e si aspettava che il suo team facesse lo stesso. Le sue idee su cosa si potesse fare in un giorno lavorativo erano del tutto irragionevoli. Spesso, chiedeva conto alle 8 del mattino di una richiesta che aveva fatto alle 18 del giorno prima. Denigrava i miei compagni di squadra di fronte a me, mettendo in dubbio la loro etica del lavoro e l'attaccamento all'azienda che dimostravano. Era capace di scorrere i loro calendari e sottolineare quanto poco avessero fatto in una giornata libera da riunioni.
Mi ripromisi di smetterla di preoccuparmi così tanto per il suo comportamento e di trattarla con gentilezza. Nelle settimane buone ce la facevo, ma il più delle volte le mie ottime intenzioni si volatilizzavano nell’aria. Quando insinuava che non stavo lavorando abbastanza, stringevo i denti, alzavo gli occhi al cielo appena mi voltava le spalle e mi lamentavo di lei con i colleghi.
Conflitti interpersonali del genere - con capi insicuri, colleghi che la sanno sempre più lunga degli altri o che sono passivi-aggressivi - sono comuni sul lavoro ed è facile lasciarsi coinvolgere. In uno studio, il 94% degli intervistati ha affermato di aver lavorato con una persona “tossica” nei cinque anni precedenti. Un altro sondaggio, condotto su 2.000 lavoratori statunitensi, ha svelato che la loro principale fonte di tensione sul lavoro erano le relazioni. Intrappolati in queste dinamiche negative, facciamo fatica a dare il meglio di noi stessi o a migliorare le cose. Passiamo invece il tempo a preoccuparci, reagiamo in modi deplorevoli che vanno contro i nostri valori, evitiamo i colleghi difficili e, a volte, ci allontaniamo completamente dal lavoro. Si tratta però di reazioni che possono portare a una serie di risultati negativi, tra cui una ridotta creatività, un processo decisionale più lento e peggiore e persino errori fatali. Ad esempio, come ha scritto Christine Porath sul New York Times, in «un sondaggio condotto su oltre 4.500 medici, infermieri e altro personale ospedaliero, il 71% ha collegato comportamenti devastanti come gli abusi, l’accondiscendenza o le offese a errori medici e il 27% ha suggerito una correlazione fra questi comportamenti e la morte dei pazienti».
Nessuno di noi è perfetto quando si tratta di affrontare la complessità delle relazioni umane. Soprattutto nei periodi di stress o quando ci sentiamo minacciati, anche chi conosce meglio un luogo di lavoro e ha più esperienza può ritrovarsi a concentrarsi su un obiettivo a breve termine come la protezione dell'ego o della propria reputazione (devo prevalere in questa discussione o fare bella figura di fronte alla mia squadra) piuttosto che su quello a lungo termine di comportarsi in modo corretto e preservare il gruppo.
Come facciamo, in questi casi, a tornare alla versione migliore di noi? Dopo aver studiato, negli ultimi anni, la gestione e la risoluzione dei conflitti, ho messo a punto sette strategie che vi aiuteranno a lavorare in modo più efficace con i colleghi difficili. Non sono bacchette magiche che trasformeranno come per incanto il vostro collega problematico nel vostro migliore amico, ma dovrebbero rendere le vostre interazioni se non più positive almeno più tollerabili. Vi aiuteranno anche a costruire una certa resilienza nei rapporti interpersonali, che vi consentirà di sentirvi meno stressati quando vi ritroverete coinvolti in un conflitto e di riprendervi più rapidamente.
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RICORDATE: LA VOSTRA PROSPETTIVA È UNA FRA LE TANTE
Sul posto di lavoro, siamo tutti portatori di punti di vista e valori diversi. Potremmo non essere d'accordo su tutto, a partire dal fatto che sia giusto arrivare in ritardo di cinque minuti a una riunione, fino a quali siano dei modi accettabili per interrompere un collega o quali conseguenze siano appropriate nel caso in cui qualcuno abbia commesso un errore. Non è realistico aspettarsi che il nostro capo, i nostri compagni di team o le persone di cui siamo responsabili la vedano come noi su tutto.
Quando sorgono tali differenze di opinione, tuttavia, la maggior parte di noi crede di vedere il problema in modo obiettivo e corretto e chiunque abbia un’opinione diversa è come minimo disinformato, irrazionale o di parte. Gli psicologi sociali si riferiscono a questa tendenza come al realismo ingenuo. Ad esempio, in uno studio, i partecipanti a cui era stato chiesto di battere il ritmo di una canzone famosa, come “Tanti auguri a te”, avevano previsto che gli ascoltatori sarebbero stati in grado di riconoscere la melodia all’incirca nella metà dei casi. Erano sicuri che sarebbe stato chiaro ciò che stavano cercando di trasmettere, ma questa ipotesi si rivelò accurata solo il 2,5% delle volte! Una volta che siamo sicuri di qualcosa, che sia la nostra capacità di battere il tempo di una canzone o la soluzione al deficit di budget di questo trimestre, facciamo fatica a immaginare che gli altri non la vedranno allo stesso modo.
È importante riconoscere e resistere a questa reazione istintiva. Mettete alla prova il vostro punto di vista facendovi alcune domande: come faccio a sapere che ciò in cui credo è vero? E se mi sbagliassi? Come cambierei il mio comportamento? Da quali presupposti sono partito? Come vedrebbe le cose qualcuno con
valori ed esperienze differenti? Le risposte a queste domande non sono così importanti, non quanto il fatto di porsele. Sono un buon modo per ricordare a noi stessi che il nostro punto di vista è proprio questo: il nostro punto di vista. Non tutti vedono le cose allo stesso modo, e va bene così.
In effetti, voi e i vostri colleghi non avete bisogno di raggiungere un consenso su quali siano i fatti che si sono verificati in un determinato frangente o su chi sia responsabile di un problema. Invece di passare ore a discutere di quale sia l’interpretazione corretta, spostate la vostra attenzione su ciò che si può fare in futuro.
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SIATE CONSAPEVOLI DEI VOSTRI BIAS
I bias, ossia i pregiudizi e le opinioni infondate, si insinuano in tutti i tipi di interazione che abbiamo sul posto di lavoro. Una cosa che spesso fa deragliare le relazioni coi colleghi è l'errore fondamentale di attribuzione, una tendenza a pensare che il comportamento delle altre persone abbia più a che fare con la loro personalità che con la situazione in oggetto, cosa che ovviamente vale solo per loro e non per noi. Potreste presumere, ad esempio, che un compagno di team che arriva in ritardo a una riunione sia disorganizzato o irrispettoso piuttosto che intrappolato nel traffico o bloccato in un'altra riunione che è durata più a lungo del previsto. Quando però siete voi a trovarvi in difetto, potreste prestare attenzione solo alle circostanze che hanno determinato il vostro ritardo.
Una scorciatoia cognitiva collegata a questa e che genera diversi problemi è il bias confermativo ovvero la tendenza a interpretare eventi o prove come conferme, appunto, della veridicità di ciò in cui crediamo. Se l’opinione che avete del vostro collega Andrew è già negativa, è più probabile che interpretiate le sue azioni come un'ulteriore prova che non è all'altezza del suo compito, è scortese o si preoccupa solo di se stesso e per lui sarà sempre più difficile dimostrare che avete torto.
Anche ciò che consideriamo un comportamento difficile può essere modellato dai pregiudizi che ci portiamo dietro sul posto di lavoro. All'inizio della mia carriera, ho lavorato con una cliente, una donna di colore, le cui idee ho esitato a sfidare, anche se era quello che avrei dovuto fare come consulente. Temevo di provocare una reazione forte, nonostante non avesse mai alzato la voce negli altri incontri che avevamo avuto. Ero caduta nell’errore di credere allo stereotipo della “donna nera arrabbiata”. Ora so che devo fare attenzione ai bias di affinità, una tendenza inconscia a sentire più vicine persone che sono simili a noi nell'aspetto, nelle convinzioni e nel background. La ricerca mostra che quando i colleghi non sono come noi, in termini di sesso, razza, etnia, istruzione, capacità fisiche o posizione lavorativa, ci troviamo meno a nostro agio e quindi meno propensi a voler lavorare con loro.
Come facciamo a neutralizzare questi bias? Innanzitutto, capendo meglio quanto vi siamo soggetti rispondendo a un quiz online come quello di Project Implicit, un'organizzazione non profit fondata da ricercatori di Harvard, dell'Università di Washington e dell'Università della Virginia. Quando abbiamo difficoltà con un collega, chiediamoci: che ruolo potrebbero avere i miei bias in questo momento? È possibile che non veda chiaramente la situazione perché sto facendo delle supposizioni su questa persona oppure non voglio ritornare sulla prima impressione che mi ha fatto oppure, ancora, mi sto concentrando inconsciamente sulle differenze che passano fra me e lei?
Fate l'avvocato del diavolo e mettete in discussione la vostra lettura della situazione. Ho imparato l'approccio “flip it to test it” (giralo per testarlo, NdR) da un discorso TEDx di Kristen Pressner, responsabile globale delle risorse umane di una multinazionale: se il vostro collega fosse di sesso, razza od orientamento sessuale diverso oppure occupasse un posto diverso nella gerarchia, i vostri presupposti su quella persona sarebbero gli stessi? Le direste le stesse cose o la trattereste allo stesso modo?
Per finire, chiedete a qualcuno di cui vi fidate, e che vi dirà la verità, di aiutarvi a riflettere su quanto potreste vedere la situazione da un punto di vista scorretto.
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NON RENDETE LA RELAZIONE UN “IO CONTRO LORO”
In una situazione di disaccordo, è facile pensare in modo polarizzante: “io contro te”, siamo su lati diversi della barricata. Una persona è difficile, l'altra no. Una persona ha ragione, l'altra ha torto.
Per uscire da questo schema mentale, immaginate piuttosto che le entità coinvolte non siano due, ma tre: voi, il vostro collega e la dinamica che si è venuta a creare fra di voi. Quella terza entità potrebbe essere qualcosa di specifico: una decisione che dovete prendere insieme o un compito che dovete completare. O, magari, è di natura più generale: una tensione continua o una rivalità tra di voi o del cattivo sangue per un progetto che è finito male. Invece di sforzarvi di cambiare il vostro collega, provate a lavorare su quella terza cosa.
Prendiamo Paolo, che era alle prese con la collega Emilia. Ogni volta che proponeva una nuova idea, lei tirava fuori una sfilza di motivi per cui non avrebbe mai funzionato. Per molto tempo, Paolo aveva visto se stesso e la collega come avversari. Quando gli chiesi come avrebbe rappresentato la loro dinamica, mi disse che era come se ci fosse una nuvola scura sopra la testa di lei e un sole splendente sulla propria. Però, quella visualizzazione rafforzava la sua visione della situazione, predisponendolo alla battaglia ogni volta che stava per parlare con lei. Alla fine, scelse di passare a un pensiero meno antagonistico. Cominciò a immaginare il conflitto tra loro come un'altalena. Sebbene fossero seduti su estremità opposte, avrebbero forse potuto lavorare insieme per trovare l'equilibrio. Questo lo aiutò a vederla come una collaboratrice piuttosto che come un'avversaria.
Nessuno vuole avere un acerrimo nemico, al lavoro. Provate allora a pensare ai colleghi problematici come a qualcuno con cui condividete un problema da risolvere.
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METTETE A FUOCO IL VOSTRO OBIETTIVO
Per evitare drammi e rimanere concentrati su ciò che abbiamo da fare, dobbiamo essere chiari riguardo ai nostri obiettivi. Vogliamo portare un progetto al traguardo? Costruire un sano rapporto di lavoro che durerà nel futuro? Sentirci meno arrabbiati o frustrati dopo che abbiamo interagito con qualcuno?
Facciamo un elenco dei nostri obiettivi (grandi e piccoli) e poi cerchiamo di stabilire quali sono i più importanti. Le nostre intenzioni determineranno, a livello più o meno conscio, il nostro modo di agire. Ad esempio, se il nostro obiettivo è evitare di rimanere bloccati in lunghe discussioni con un collega pessimista, dovremo intraprendere azioni diverse da quelle che avremmo compiuto se il nostro obiettivo è impedire che la persona che si mette sempre di traverso faccia disgregare la squadra.
Va bene avere degli obiettivi modesti. Spesso, è sufficiente concentrarsi solo sull'avere una relazione che funzioni, arrivare a un punto in cui non vi si accappona la pelle quando il nome di Ethan compare nella casella di posta o non perdete il sonno perché Maria vi sta rendendo la vita impossibile. Obiettivi diversificati e più ambiziosi vanno altrettanto bene. Ad esempio, se state discutendo col vostro capo insicuro su quali metriche segnalare al gruppo dirigente, i vostri obiettivi potrebbero essere: 1) trovare statistiche che accontentino entrambi, 2) assicurarvi che il senior team conosca la vostra esperienza e 3) trovare un modo, in futuro, per evitare scontri accesi prima di una riunione importante.
Una volta che avete deciso cosa volete ottenere, scrivetelo su un pezzo di carta. La ricerca ha dimostrato che le persone che descrivono o immaginano vividamente i propri obiettivi hanno da 1,2 a 1,4 volte più probabilità di raggiungerli e che gli obiettivi di cui si prende nota manualmente hanno maggiori probabilità di essere realizzati. Andate a rileggere i vostri obiettivi prima di interagire con il collega, in modo da averli sempre ben presenti.
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EVITATE SFOGHI E PETTEGOLEZZI
Quando al lavoro qualcosa non va è naturale volerne parlare con chi ci sta attorno. Potreste cercare la conferma che non state interpretando nel modo sbagliato un'e-mail vaga, chiedere consigli su come far avanzare un'iniziativa in stallo o, semplicemente, avete bisogno di essere rassicurati sul fatto che siete una brava persona. E se il vostro collega dice: «Sì, Greta sembra scontrosa. Cos’è capitato?» questo vi dà una piccola scossa di sollievo: allora non sono solo io, vi dite!
Questo tipo di conversazione, che avvenga in un ambiente digitale o di persona, può essere considerato uno sfogo. Ma potremmo anche chiamarlo pettegolezzo. Le ricerche dicono che, nonostante la cattiva reputazione di cui godono, i pettegolezzi possono svolgere un ruolo importante nel creare legami con i colleghi. Quando scoprite che anche Marina del marketing trova Michael delle finanze difficile e conosce altri che la pensano allo stesso modo, questo genera un senso di connessione. In sostanza, avete creato un gruppo interno che ha informazioni che altri, in particolare Michael, non possiedono. Senza contare che la convalida della vostra prospettiva da parte di Marina vi dà una scarica di adrenalina e dopamina che vi fa stare bene.
Gli studi hanno anche dimostrato che i pettegolezzi possono essere utili nel dissuadere le persone dal comportarsi in modo egoistico. Se i colleghi difficili si rendono conto che gli altri parlano male di loro e che mettono in guardia altri colleghi del team dal lavorare con loro, è più probabile che cambino direzione.
Naturalmente, ci sono anche dei rischi insiti nello sfogo e nel gossip. In primo luogo, aumentano il rischio dei bias di conferma. Certo, Michael a volte può essere esasperante, ma una volta che voi e i vostri compagni di lavoro iniziate a parlarne, è più probabile che interpretiate le sue azioni future sotto una luce negativa. Passi falsi occasionali verranno dipinti come un tratto connaturato e la narrazione secondo cui “Michael è difficile” attecchirà. In secondo luogo, il pettegolezzo spesso si riflette in modo negativo su chi lo diffonde. Sebbene possiate ottenere la convalida immediata che state cercando, potreste anche maturare la reputazione di qualcuno che non è tanto professionale o finire etichettati voi come quelli difficili.
È perfettamente legittimo cercare aiuto negli altri per fare ordine nei propri sentimenti o verificare con un’altra persona se state vedendo le cose chiaramente, ma scegliete con attenzione con chi parlare (e cosa condividere). Cercate persone costruttive, che abbiano a cuore i vostri interessi, che mettano in discussione il vostro modo di vedere le cose quando non sono d'accordo e che sappiano essere discrete.
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SPERIMENTATE FINCHÉ TROVATE QUELLO CHE FUNZIONA
Non c'è un modo giusto per convincere un “so tutto io” a smettere di essere condiscendente o il vostro collega passivo-aggressivo a trattare con voi in un modo più diretto. Le strategie che sceglierete dipenderanno dal contesto: chi siete voi, chi è l'altra persona, qual è la natura della vostra relazione, ma anche quali sono le idee e le norme che regolano la cultura del vostro posto di lavoro e così via.
Iniziate pensando a due o tre approcci che volete testare. Spesso, sono proprio le piccole azioni quelle che producono un grande impatto. Mettete quindi in piedi un esperimento: decidete cosa volete fare diversamente, scegliete un periodo di tempo durante il quale provarci e state a vedere come va. Se, ad esempio, volete migliorare la comunicazione con un collega difficile, potreste decidere che per due settimane ignorerete il suo tono e vi concentrerete sul messaggio di fondo che sta cercando di trasmettervi. Non date per scontato che la tattica risolverà tutto quello che non va tra di voi: consideratela come un esperimento che vi insegnerà qualcosa, anche solo il fatto che l'approccio non è quello giusto.
Continuate a provare, a modificare e rivedere gli esperimenti e abbandonate quelli che non producono risultati. Ad esempio, se avete provato a gestire il fatto che un collega non porta a termine i compiti che gli vengono assegnati inviando un’e-mail post-riunione che conferma ciò che tutti hanno accettato di fare, ma la persona continua a non mantenere le promesse fatte, non continuate a inviare queste e-mail aspettandovi risultati diversi. Provate qualcos'altro. Come spiega l'esperta di conflitti Jennifer Goldman-Wetzler, dovrete trovare un altro modo per “interrompere il modello di conflitto passato”, spesso facendo qualcosa che l'altra persona non si aspetta.
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SIATE - E RIMANETE - CURIOSI
Salvador Minuchin, un terapeuta argentino, ha scritto: “La certezza è il nemico del cambiamento”. Quando si ha a che fare con un collega negativo, è facile pensare sarà sempre così oppure quella persona non cambierà mai, ma rassegnazione e pessimismo non vi porteranno da nessuna parte. Adottate piuttosto una mentalità aperta e mantenete viva la speranza che la vostra relazione problematica si possa migliorare.
Le ricerche dimostrano che la curiosità porta una serie di vantaggi: allontana i bias di conferma, previene gli stereotipi e ci aiuta ad affrontare le situazioni difficili non con aggressività (lotta) o atteggiamenti difensivi (fuga), ma con creatività. La chiave consiste nello smettere di trarre conclusioni, spesso poco lusinghiere, e cominciare a porsi delle domande reali. Quando la vostra collega Giada inizia a lamentarsi del fatto che sta facendo più lavoro di chiunque altro nel team, non pensate ecco di nuovo Giada col suo atteggiamento. Chiedetevi, piuttosto, cosa le sta succedendo. La situazione suona familiare, ma cosa mi sono persa in passato? Perché si comporta in questo modo?
Cercate di accorgervi quando siete bloccati dentro schemi mentali che non portano a niente, fate un passo indietro per fare il punto e chiedetevi chi va d'accordo con Giada e come interagiscono con lei queste persone. Ci sono stati dei momenti in cui Jada è stata più gentile e collaborativa? Cosa c'era di diverso allora?
Quando state attraversando un momento difficile con qualcuno, pensate ad altri casi (sul lavoro ma non necessariamente) in cui voi e un’altra persona all’inizio non andavate d'accordo, ma siete riusciti a superare la cosa e riflettete su quelle esperienze cercando di capirne un po’ di più. Come avete fatto a perseverare? Cosa vi ha aiutato a raggiungere un accordo? Infine, considerate esattamente cosa otterrete dal raggiungimento degli obiettivi che vi siete prefissati di raggiungere nel rapporto con un collega. Proiettatevi nel futuro. Se supererete il conflitto, cosa ci sarà di diverso? Come migliorerà la vostra vita lavorativa?
Non potete essere certi di cosa riservi il futuro a voi e al vostro collega, quindi siate aperti alle possibilità. Potrebbe farvi uscire da una mentalità che vi impedisce di scoprire una soluzione inaspettata al vostro problema.
A prescindere dal tipo di collega difficile con cui avete a che fare o da cosa deciderete di fare dopo, queste sette strategie possono aiutarvi a rispondere in modo costruttivo, a stabilire i giusti confini e a costruire collaborazioni lavorative più forti e appaganti. Ci sono dei casi in cui il cambiamento non è possibile. Se ciò dovesse capitare, non potrete far altro che limitare le perdite e concentrarvi sul preservare la vostra carriera e il vostro benessere. Ho però scoperto che con un po’ di buona volontà e tanto lavoro, anche alcuni dei conflitti interpersonali più complicati si possono risolvere.
AMY GALLO è redattrice di HBR. Questo articolo è un adattamento del suo libro dal titolo Getting Along: How to Work with Anyone (Even Difficult People) (Harvard Business Review Press, 2022).