MONDO FORMAZIONE
DIEGO INGRASSIA
Settembre 2025
Settembre segna, come ogni anno, il ritorno alla routine. Le riunioni di allineamento, i progetti che ripartono, i quotidiani che rilanciano i sondaggi sullo stato d’animo di chi torna dalle ferie. Quest’anno una delle notizie più interessanti è la crescente percentuale di professionisti che hanno scelto di lavorare durante le vacanze. Non solo “un’occhiata veloce” alle mail, ma vere e proprie giornate spese tra telefonate e documenti, con il mare o la montagna come sfondo. Un fenomeno che, pur non essendo nuovo, sta assumendo una fisionomia sempre più chiara. Si parla infatti di workation.
Il neologismo, nato dall’unione di work e vacation, descrive la possibilità di combinare il lavoro e il tempo libero, creando un’esperienza in cui i confini tra impegni professionali e momenti di relax diventano sempre più sottili. In apparenza è un’idea allettante che permette di conciliare doveri e piaceri, cambiando la sequenza abituale delle giornate che talvolta può risultare monotona. È anche un modo per consentire al corpo di rilassarsi e alla mente di rimanere operativa, dato che lavorare immersi in un ambiente naturale ha tutt’altro sapore rispetto a una stanza di ufficio illuminata da luci al neon. A San Vigilio di Marebbe, per esempio, un giovane ha trasformato il borgo da semplice meta turistica a “spazio ibrido”, dove i professionisti possono alternare riunioni e progetti a passeggiate nei boschi e momenti di rigenerazione. L’idea è innovativa, ma porta con sé un rischio: non riuscire mai a staccare davvero.
In un contesto in cui la connessione digitale rende il lavoro disponibile ovunque e in qualsiasi momento, la vacanza smette di essere uno spazio separato, sacro, di completa disconnessione, e si trasforma in un'estensione del quotidiano. Questo cambiamento ha implicazioni psicologiche profonde. Il concetto di workation è un paradosso, perché il cervello non si rilassa e le emozioni non hanno il tempo di decantare. Questo genera una forma di ambiguità emotiva, dove la persona è sospesa in una zona grigia in cui la soddisfazione è attenuata e lo stress rimane latente. Il “confine sfumato” diventa a questo punto un terreno fertile per sensazioni di colpa (“non sto lavorando abbastanza”) e frustrazione (“non riesco a staccare”), che minano il senso di benessere.
Inoltre, questa particolare dinamica tocca anche la nostra identità professionale. In una cultura che misura il valore della persona attraverso la produttività, la ricerca di compromessi può essere percepita come una perdita di controllo, un azzardo rispetto agli standard cui si è abituati. A conferma di ciò, molti professionisti si accorgono di provare un senso di vuoto di fronte all’assenza di attività, come se, senza email e riunioni, mancasse un pezzo del proprio ruolo.
È qui che entra in gioco la formazione sulle competenze emotive, che assume un ruolo cruciale in quest’epoca di trasformazione. Non si tratta solo di organizzare meglio il tempo e di ottimizzare le attività quotidiane, ma di sviluppare la capacità di capire le proprie esigenze, riconoscere i segnali di affaticamento e stabilire confini chiari con sé stessi e con gli altri. In altre parole, si tratta di acquisire strumenti per vivere in modo più equilibrato un modello di lavoro che non lascia più spazi separati, ma che richiede un’attenzione particolare alle dinamiche interne di ognuno di noi.
Nei percorsi formativi si sperimentano pratiche di consapevolezza emotiva che aiutano i professionisti a distinguere tra momenti di reale disponibilità e momenti dedicati alla rigenerazione. Si tratta di coltivare una competenza che potremmo chiamare “ecologia delle emozioni”. Così come in natura ogni ecosistema sopravvive grazie a un delicato equilibrio tra risorse e consumi, allo stesso modo anche la vita interiore richiede un ascolto attento per evitare la desertificazione. Saper leggere i segnali del corpo e della mente diventa quindi un atto di responsabilità: accorgersi di quando l’energia è in riserva e di quando, invece, può essere spesa senza impoverire le proprie risorse vitali. Gestire il lavoro di domani significa anche imparare a regalarsi pause quotidiane.
DIEGO INGRASSIA è CEO I&G Management, Master Trainer Paul Ekman Academy, Direttore Emotional Competencies Coaching School