MONDO FORMAZIONE
DANIELA OLIBONI e LUCIA GRAZI
Maggio 2025
Dalle competenze alla consapevolezza, dalla prestazione alla presenza: una nuova idea di formazione prende forma. Non plasma, non modella, non adatta. Riconosce, risveglia, restituisce senso. E forse, per la prima volta, libera davvero
Viviamo in un tempo che ci chiede di aggiornare tutto, continuamente: tecnologie, ruoli, linguaggi. La formazione è diventata parola d'ordine, ma anche parola che stanca. Si parla di upskilling, reskilling, futuro del lavoro, eppure, in questa corsa all'adeguamento, cresce silenziosamente una nuova esigenza: essere prima di fare, sentire prima di sapere, ritrovarsi prima di reinventarsi.
Una nuova idea di formazione sta emergendo, non si accontenta più di trasmettere competenze, ma punta a trasformare: a riportare le persone a contatto con ciò che sono, prima ancora di ciò che sanno fare.
Mai come oggi sentiamo parlare di competenze da aggiornare. Nuove classifiche ci raccontano quali skill spariranno, quali diventeranno indispensabili e così ci sentiamo spesso inadeguati, in ritardo, non abbastanza pronti.
Il rischio? Che il concetto di reskilling, nato per accompagnare il cambiamento, diventi una nuova forma di ansia collettiva.
Secondo il 57° Rapporto Censis, oltre il 60% degli italiani, e il 65% dei giovani, prova una profonda insicurezza di fronte ai cambiamenti inattesi del lavoro e della società. In questo scenario, la formazione stessa, anziché accompagnare il cambiamento, diventa un'ulteriore fonte di ansia.
Ma forse la risposta più profonda non viene dal futuro. Viene dalle nostre radici. Se torniamo a lavorare sull’essenza dell’essere umano, la consapevolezza di sé, la qualità delle relazioni, la presenza autentica, il cambiamento diventa terreno da abitare, non da temere.
Le competenze tecniche si apprendono, la solidità interiore si coltiva.
La vera trasformazione della formazione non consiste nell’aggiungere competenze, ma nel riconnettere le persone alla propria integrità: motivazione, senso, visione, coerenza interiore. Non sono parole astratte: sono le infrastrutture invisibili del comportamento.
Un manager può apprendere tecniche di leadership inclusiva ma, se dentro di sé vive ancora la convinzione che “controllare tutto” sia l’unico modo per sentirsi al sicuro, quella competenza resterà sterile. Ecco perché la formazione deve spostarsi: dal fuori al dentro, dalla performance alla presenza.
C’è un altro grande ritorno in atto: il corpo sta tornando protagonista della formazione. Non come strumento da gestire, ma come luogo da ascoltare. Le emozioni non sono ostacoli da neutralizzare, ma bussola e linfa per ogni vera trasformazione.
Secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, solo una minoranza di aziende italiane include stabilmente pratiche di benessere psico-emotivo nei percorsi di sviluppo manageriale. Eppure, dove questo accade, si registra un aumento significativo dell’engagement e della soddisfazione delle persone.
Quando la formazione si apre al corpo, alle emozioni, al respiro, allora si apprende con ogni fibra dell’essere, non più soltanto con la mente. Si apprende camminando, ascoltando il silenzio, restando in presenza con ciò che accade dentro e fuori di noi.
Tutto parte da una scelta radicale: mettere al centro l’umanità intera delle persone. Non solo il lavoratore. Non solo il ruolo. Ma l’essere umano, con i suoi sogni, le sue paure, la sua storia.
In questa visione, formare non è più trasferire contenuti o aggiungere nozioni. È generare coscienza. È creare spazi di specchio e di riconoscimento, dove corpo, emozioni e mente non vengano più separati, ma accolti come alleati di un apprendimento autentico.
I giovani lo chiedono, anche senza alzare la voce: cercano luoghi che li ascoltino e li aiutino a orientarsi in un mondo che spesso appare vuoto; anche chi ha più esperienza desidera lo stesso, con parole diverse: ritrovare senso, forza, direzione.
Non è un’esigenza passeggera. È una chiamata antropologica che attraversa tutte le generazioni.
La nuova formazione è un’arte generativa: non serve il sistema, lo rigenera. Non costruisce ingranaggi, ma risveglia coscienze. Non produce competenze a nastro in serie, ma libera esseri umani radicati, capaci di affrontare la complessità senza paura. Non si limita ad adattare, ma risveglia. Non promette certezze, ma offre strumenti per abitare l’incertezza. Non ci dice cosa diventare, ma ci aiuta a ricordare chi siamo.
Sta nascendo una nuova grammatica dell’apprendimento: fatta di cura, ascolto, silenzi pieni di significato, simboli, narrazione, autenticità.
Una grammatica capace di accompagnare ogni persona nei momenti centrali della vita, spinta dalla gioia di essere se stessa e di dare un contributo integro e reale al contesto cui appartiene.
DANIELA OLIBONI è CEO Hermes Consulting
LUCIA GRAZI è Managing Partner Hermes Consulting