MONDO FORMAZIONE

VERSO LA CO-INTELLIGENZA DI UOMO E MACCHINA:
PERCHÉ DOBBIAMO INVESTIRE IN FORMAZIONE

ALBERTO FELICE DE TONI

Novembre 2024

Come prepararsi a un contesto competitivo che cambia rapidamente, senza sapere bene in che modo e con quali conseguenze? L’avvento dell’intelligenza artificiale sta ponendo nuovi dilemmi agli imprenditori che non possono affidarsi al classico schema manageriale “analisi-pianificazione-implementazione” per risolverli, ma devono piuttosto apprendere e adattarsi a scenari mutevoli, passando per gli inevitabili errori che caratterizzano l’approccio “try and learn”. Questa necessità caratterizza tutti i fenomeni per i quali non esistono soluzioni a priori, ma solo a posteriori. La pandemia era uno di questi.

Personalmente, ho una visione piuttosto positiva di questa nuova tecnologia. Ritengo che sia all’origine di un problema, inteso come una situazione che pone interrogativi per i quali non abbiamo ancora una risposta, ma anche uno strumento per affrontarlo. L’elaborazione di una grandissima quantità di dati in un tempo infinitesimale può automatizzare determinati processi, potenziare la creatività e migliorare i processi decisionali in questi contesti complessi, fornendo o aiutandoci ad approntare strategie innovative per ridefinire i modelli di business.

Questo non significa che non vada regolamentata. Al contrario, è necessario guidare il suo sviluppo per evitare un uso improprio che possa sfociare in discriminazioni, perdita di privacy o rischi per la sicurezza com’è peraltro già avvenuto. Dal mio punto di vista, il fatto che presenti dei rischi non è però un motivo sufficiente per temerla e dunque escluderla.

Cosa fare dunque? È necessario prepararsi e acquisire competenze e consapevolezza. È fondamentale adottare un approccio sistemico alla formazione, considerarla, cioè, un arricchimento su cui investire nel tempo: studiare è fondamentale per andare verso uno scenario di co-intelligenza dove l’umano resti al centro e l’AI funzioni come supporto.

Che si tratti di upskilling o reskilling, tutti i rami dell’azienda devono essere coinvolti in questa sfida, sviluppando in modo diffuso una nuova leadership, capace di integrare le nuove tecnologie con i fattori umani.

Università e business school possono giocare un ruolo cruciale in questa partita. Il CUOA, per esempio, la più longeva business school d’Italia di cui sono direttore scientifico, ha messo a punto insieme al Politecnico di Torino l’Executive Master in Business & Technology: si tratta di un Tech-EMBA che, combinando le materie caratteristiche degli studi in business administration con i nuovi paradigmi di orientamento tecnologico del management aziendale come l’uso dei dati e l’AI, vuole aiutare i manager a navigare questa complessità. Io stesso ho poi promosso al CUOA il corso “Gestione della complessità con AI”, volto a fornire ai partecipanti un quadro di riferimento per comprendere come integrare l’intelligenza artificiale generativa nelle dinamiche aziendali.

Indipendentemente dalle modalità con le quali si decide di rispondere, l’adattamento continuo e la capacità di apprendere dall’ambiente esterno danno alle aziende gli strumenti per non soccombere alle difficoltà, bensì per gestirle in un contesto in cui l’incertezza e l’imprevedibilità sono normali. Le skill acquisite e la possibilità di svilupparne di nuove favoriscono l’innovazione e la competitività, agendo indirettamente anche su un altro fattore: la retention del personale.

Anche se la Great Resignation sembra oramai lontana – nei primi nove mesi del 2022 un milione e 600mila persone circa lasciarono il lavoro volontariamente, il 22% in più rispetto al 2018 – permane il rischio di vedere i migliori talenti emigrare verso altre realtà sotto la spinta di stipendi più alti e riconoscimenti maggiori. Questo non si palesa o si verifica in misura minore quando si favoriscono opportunità che fanno sentire le persone valorizzate. Non a caso, il 71% del campione interpellato da Adecco lo scorso anno per un’indagine incentrata sulla volontà o meno di cambiare lavoro disse che desiderava rimanere dov’era ma fece sapere di volere percorsi di crescita più personalizzati. Perché succede questo? Gli studi condotti indicano che più si favorisce una cultura dell’apprendimento più le persone si sentono incoraggiate a migliorare in un circolo virtuoso dove dall’evoluzione dell’uno dipende quella dell’altro. Oggi questo scambio è più importante che mai, e sta ai leader implementarlo partendo da sé stessi e dalla formazione, una leva strategica per costruire un’organizzazione resiliente.

ALBERTO FELICE DE TONI è direttore scientifico di CUOA Business School e ordinario dell’Università di Udine.

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