MONDO FORMAZIONE
Aprile 2024
Cresce la consapevolezza tra i dipendenti, soprattutto nei più giovani, riguardo all’importanza della formazione continua e dello sviluppo delle soft skill, più delle hard skill, all'interno delle aziende. Un fenomeno che può portare a diversi benefici sia per i lavoratori sia per le organizzazioni stesse, nonostante siano proprio queste ultime a non essere ancora sufficientemente consapevoli dell'importanza di uno strumento come la formazione, ormai necessario per migliorare le prestazioni aziendali, aumentare la soddisfazione dei dipendenti e rimanere competitive nel mercato.
A fotografare lo status e il sentiment attuale di aziende e dipendenti è Gility, Learning Technology Company nata come joint venture tra CDP Venture Capital Sgr e BPER Banca. L’indagine è stata condotta su 200 aziende, tra aziende, PMI e micro-imprese, di diversi settori e filiere industriali con fatturato dichiarato da 10 a +50 milioni di euro, con due approcci complementari: un’analisi quantitativa, basata su una survey distribuita a tutti, e un’indagine qualitativa, con interviste rivolte a 64 professionisti nelle aree delle Risorse Umane (53%), del Learning & Development (24%), del Management aziendale (15%) e altre (8%), su quattro temi principali: l’impiego di nuove tecnologie e strumenti innovativi, i contenuti formativi, le aspettative e le richieste delle nuove generazioni e le priorità specifiche legate alla gestione delle persone.
I risultati: le imprese guardano alle hard skill, ma il dipendente riconosce il gap nelle digital skill. Ancora poca attenzione alle tematiche green e di sostenibilità
Ben l’85% delle aziende rispondenti considera molto importante o fondamentale fare formazione aziendale (in aggiunta a quella obbligatoria), ma l’investimento maggiore è soprattutto per potenziare le hard skill, le abilità tecniche che si applicano a mansioni o compiti specifici (32%), rispetto a un desiderio dei dipendenti (83%) che vedrebbe invece prioritaria una formazione sulle competenze digitali e tecnologiche, su cui invece le imprese intervistate concentrano solo il 27% dell’attenzione. Lo stesso mismatch tra azienda e dipendente si trova anche sul fronte soft skill: solo il 20% della formazione programmata dalle aziende si concentra in quest’area, contro un 54% richiesto dai dipendenti che percepiscono chiaramente il valore di implementare le competenze riguardanti le capacità relazionali e comportamentali nel contesto lavorativo, così come le lingue straniere, fondamentali per interfacciarsi con i mercati esteri ma inserite nei percorsi formativi solo per un 5% contro una richiesta del 50% dei lavoratori. Significativo, infine, quanto sia ancora bassa la sensibilità di PMI e micro-imprese per le tematiche di sostenibilità, le cosiddette “green skill”; anche su questo fronte i lavoratori vorrebbero più formazione (15%), mentre le aziende ancora offrono poca formazione in materia (4%).
Simone Maggi, Ceo e co-founder Gility, commenta: “I risultati di questa survey confermano in modo ancora più netto i bisogni evidenti delle aziende in tema di formazione. Disegnare percorsi continui e mirati è sempre più importante per far evolvere all’interno dell’organizzazione le competenze necessarie a competere, ma far diventare la formazione un elemento integrante della cultura aziendale è persino vitale. La maggiore sensibilità dei dipendenti rispetto al desiderio di formazione in alcuni ambiti è un segnale forte di quanto questa attività possa trasformarsi in un elemento chiave per attirare e trattenere le migliori persone, contribuendo ad attenuare il mismatch tra domanda e offerta di lavoratori che negli ultimi anni ha impattato trasversalmente su qualsiasi realtà. Al contrario, l’assenza di programmi strutturati negli ambiti corretti non farà che amplificare il problema”.
Formazione finanziata, un’opportunità non sfruttata: troppi interlocutori e burocrazia complessa
Tra i temi caldi dell’analisi spicca la formazione finanziata, un’opportunità che le imprese faticano ancora a cogliere. Il motivo? Complessità dei processi, uno scenario frammentato e molta burocrazia da gestire che sfiducia gli imprenditori o i responsabili di area ad andare oltre la formazione obbligatoria. Il 59% delle aziende intervistate, infatti, segnala di avere tra i due e i cinque fornitori per coprire le necessità di formazione finanziata, obbligatoria e upskilling.
FAD (formazione a distanza) sempre in vetta
Fondamentale, poi, è la fruibilità in digitale, per una maggiore flessibilità (l’86% dei rispondenti), risparmio di tempo (80%) e semplicità di accesso (60%). Il 74% delle aziende nel mix di metodologie formative inserisce infatti la modalità e-learning on demand (asincrona) e il 69% delle aziende usa la live. Solo il 4% utilizza strumenti altamente tecnologici come VR o metaverso: sebbene vi sia curiosità, l’implementazione pratica è ancora embrionale. Le principali aree su cui le PMI credono sia più importante attivare o hanno già attivato percorsi di formazione sono: vendite (64%), marketing (56%), amministrazione e finanza (55%). Tra i trend 2024 su cui le aziende orienteranno le strategie formative non mancheranno le competenze digitali, l’intelligenza artificiale, accompagnata da leadership, diversity e inclusion, digital marketing, ESG e sostenibilità.
Cosa vogliono i giovani: un approccio ibrido all’apprendimento continuo che unisce e-learning asincrono per la teoria all’interazione per la pratica
L’analisi rivela anche che per il 49% delle aziende intervistate la formazione aziendale è importante soprattutto come leva per attirare e coinvolgere i talenti più giovani. Le nuove generazioni, infatti, manifestano la maggiore esigenza di formazione, con una marcata preferenza per un approccio flessibile all’apprendimento continuo e il bisogno non solo di formarsi sulla teoria, ma di applicare concretamente quanto appreso.
SIMONE MAGGI è Ceo e co-founder Gility