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IQ, EQ E PQ: LA NUOVA FORMULA DEL MANAGEMENT

JO OWEN

Aprile 2023

Questo è forse il momento più sfidante ed emozionante per essere un leader o un manager. La leadership sta vivendo una lenta rivoluzione, accelerata dalla pandemia e dall’ascesa dell'IA.

In passato, il management era abbastanza semplice. I manager ci mettevano il cervello, gli operai le mani: pensare e fare erano cose distinte. Nel XX secolo, il vantaggio che un tempo era costituito dalla conoscenza è evaporato man mano che il livello di istruzione cresceva nella classe lavoratrice. Per essere leader non bastava più l’IQ (quoziente intellettivo) più alto. I lavoratori potevano fare di più, ma si aspettavano di più. Si aspettavano di essere trattati come esseri umani, non come macchine. In quel momento l'EQ, il quoziente emotivo reso celebre da Daniel Goleman, diveniva una questione centrale.

Se oggi guardiamo alle nostre organizzazioni, vediamo alcune persone con buoni livelli di IQ ed EQ arrancare nelle sabbie mobili, e altre marciare spedite. Il sistema di controllo e gestione è entrato in una lenta crisi. Il compito dei manager era far sì che le cose accadessero, tramite le persone che gestivano. Ora i manager devono fare in modo che le cose accadano, tramite persone che non controllano più. Lavorano con reparti che hanno obiettivi diversi, con fornitori, partner e clienti esterni.

Questa “crisi del controllo” spariglia le carte e spiega perché IQ ed EQ non sono più fattori sufficienti per i manager, che oggi necessitano di una terza competenza, il PQ. Il quoziente politico misura la capacità di esecuzione in un contesto che tende a sfuggire al controllo. La pandemia ha accelerato la crisi del controllo. Se prima l'ufficio era il paradiso dei manager “maniaci”, che osservavano tutto il giorno i team, intervenendo a propria discrezione, il lavoro da remoto ha reso tutto questo impraticabile. I manager hanno dovuto imparare a fidarsi del fatto che i team fanno la cosa giusta.

Quando ho iniziato la mia ricerca sul PQ, mi aspettavo di sentire commenti su potenziali strategie machiavelliche. Quello che intendo per PQ è l'esatto contrario: i “manager machiavellici” potranno vincere una battaglia, ma perderanno la guerra perché dissolveranno la rete di solidi alleati di cui tutti abbiamo bisogno.

Con la mia ricerca ho dimostrato che le competenze di cui hanno più bisogno ora i manager includono:

1. La capacità di costruire una rete di alleati all'interno e all'esterno dell'azienda. Il manager deve diventare il collega con cui le persone vogliono lavorare, non quello con cui devono lavorare. Fiducia e credibilità sono le nuove valute.

2. La capacità di lavorare sugli obiettivi giusti. Molti manager lavorano diligentemente, ma per mantenere lo status quo. Chi cambia e migliora le cose aiuta l'azienda e aiuta se stesso. Bisogna focalizzarsi su un lavoro che possa essere dimostrato, non su un lavoro invisibile.

3. L’abilità a trovare uno sponsor. Le più grandi decisioni sulla tua carriera verranno prese in una stanza a cui tu non avrai accesso: promozioni, incarichi, bonus. Chi farà il tifo per te quando ne avrai bisogno? Chi ti supporterà durante una crisi?

4. Saper leggere la situazione. In ogni organizzazione vigono regole informali su cosa funziona, cosa si può e non si può fare: quanto si può rischiare? È il caso di esprimere un’opinione? Come è meglio mostrarsi, parlare o agire? Quali sono i requisiti per ottenere una promozione? Queste regole diventano sempre meno chiare man mano che la carriera avanza. Ai manager junior viene spiegato cosa fare per ottenere risultati, vengono delineati obiettivi chiari. Quando si è a un livello superiore, interpretare queste regole non scritte è come cercare di leggere segnali di fumo nella nebbia. Ed è in questo frangente che tutti abbiamo bisogno di alleati fidati e sponsor perché ci aiutino a leggere i segnali.

5. Vendere, vendere, vendere. Tutti i senior manager devono saper “vendere” la propria agenda, promuovere le loro priorità e assicurarsi le risorse di cui hanno bisogno per raggiungere gli obiettivi. E devono anche vendersi: mostrare che la loro attività fa la differenza per l'azienda. 

6. Sapere interpretare il ruolo. Comunque ci si senta, è necessario presentare al mondo il volto migliore ed essere il leader che vogliamo essere. Pensiamo ai migliori manager, e ai peggiori, con cui abbiamo lavorato: forse non ricordiamo tutti i loro successi, ma ricordiamo com'erano. Anche noi verremo ricordati per come siamo, oltre che per quello che facciamo.

7. La capacità di aumentare il livello del gioco interiore. Considerare il QP o l’attitudine alla vendita come eresie è controproducente. Oggi occorre accogliere le nuove regole, imparare e adattarsi; essere collaborativi, non competitivi; essere resilienti per mantenere la rotta mentre essa cambia, e avere il coraggio di intensificare il ritmo di navigazione. 

Le nuove regole sono universali: attraversano culture, settori, gruppi di età e genere. A variare può essere il modo in cui le regole vengono implementate. Se l’assertività è un’attitudine molto apprezzata negli Stati Uniti, ad esempio, è la tendenza al rispetto a dare risultati migliori in India.

È questo il mondo in cui i manager non possono più solo alzare l’asticella, ma devono trasformare il loro gioco, integrando nuove regole per sopravvivere e crescere. Il risultato sarà un mondo di gran lunga migliore, con una leadership e un management più capace e di cui tutti beneficeremo.

 

JO OWEN è esperto di leadership e management, fondatore di Teach First, la più grande organizzazione di recruiting no-profit del Regno Unito. Sarà speaker al Leadership Forum di Performance Strategies il 25 e 26 ottobre prossimi.  

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