MONDO FORMAZIONE

RIPENSARE L’IMPRESA
CHE VERRÀ, GRAZIE ALLA FORMAZIONE

CLAUDIO BACCARANI

Marzo 2023

Pensare “all’impresa che verrà” significa portare l’attenzione sul futuro e su quelli che saranno i tratti dell’ambiente in cui l’impresa si troverà ad agire con la propria organizzazione.

Essendo l’impresa una creativa costruzione umana, immaginata per produrre benessere e nata per durare nel tempo e quindi naturalmente proiettata al futuro, sconta l’incessante aumento di complessità generato dall’agire umano, che con le proprie scelte incide, in forma più o meno consapevole, sul divenire delle relazioni sociali e degli equilibri naturali.

In futuro l’impresa si troverà di fronte a innumerevoli sfide e crisi, che tracciano i lineamenti di un percorso in transizione continua: l’unica costante sarà il cambiamento, contraddistinto da vari gradi di radicalità, come Giovanni Panati amava sottolineare.

In un contesto in cui il paradigma “capitalismo, mercato, impresa” comincia a scricchiolare a causa degli effetti ambientali, sociali e antropo-culturali, serve realizzare una transizione verso modelli economici in grado di rispondere alla crisi di sostenibilità in corso, serve cambiare il paradigma e cambiare il modo di insegnare il business nelle università per offrire pratiche manageriali in grado di portare l’impresa nella direzione di un business che crei beneficio per tutti: il Good Business.

Le sfide che l’impresa ha di fronte sono molteplici: di tipo tecnico-organizzativo come la digitalizzazione sempre più penetrante, l’ingresso massiccio dell’intelligenza artificiale e la crescente diffusione della robotizzazione; sfide che rientrano nelle corde dell’impresa e per le quali essa possiede le competenze per muovere grazie alla propria naturale attitudine all’innovazione.

Sfide di tipo etico-morale che ne mettono in discussione la legittimazione sociale a esistere nelle sue forme attuali, per la diffusa convinzione che i meccanismi dell’economia di mercato abbiano premiato pochi e non abbiano saputo diffondere il benessere desiderato nella comunità. Meccanismi che, al di là degli indubbi miglioramenti materiali generati nella qualità della vita in Occidente, sono anche percepiti tra le principali cause di alcuni dei maggiori problemi avvertiti dalla società, quali l’ormai conclamata crisi climatica, con quello che porta con sé in termini di siccità, desertificazione e migrazioni di dimensione biblica, e la diffusione di disuguaglianze sempre più abissali sia tra persone e comunità del tempo presente sia dal punto intergenerazionale.

La soluzione che vedo è lavorare sulla cultura dell’impresa: è necessario che il management nelle sue componenti imprenditoriali e dirigenziali accetti di rileggere il senso stesso dell’impresa superandone i ristretti connotati tecnico-efficientistici.

Diventa necessario che i manager sappiano immaginare ponti tra capitale, lavoro e comunità capaci di dipingere l’impresa per quello che è veramente, ossia una rete di relazioni tra diversi soggetti che assieme danno vita a un progetto partecipato, nel quale ognuno si colloca in un preciso ruolo, differente dagli altri ma come gli altri importante per il raggiungimento del risultato desiderato.

Da questo angolo di visuale, l’impresa appare nitidamente come un’opera d’arte collettiva, un’opera in continuo divenire, cui ciascun componente partecipa e contribuisce con lo spirito di chi sta “costruendo una cattedrale” che risplende di una propria bellezza, sempre diversa con il bene e il buono che porta con sé.

ll cambio di paradigma sta proprio nel portare l’impresa ad affiancare ai classici criteri quantitativi del paradigma efficientistico, diretti a una pura realizzazione di un profitto, altri criteri di tipo qualitativo. E, in particolare, valori capaci di dotare l’impresa di un’anima in grado di ridisegnarne la funzione nella società come l’ascolto, la bellezza, il dialogo, la fiducia, il ritmo, la tenacia, il territorio e l’umiltà.

Ecco perché, con l’evoluzione del paradigma economico, si rende necessaria anche una trasformazione culturale attraverso valori capaci di aprire a un’armonia delle relazioni che vede l’impresa agire nel rispetto e nella rigenerazione dell’ambiente, non per la sola ricerca di un profitto ma per la produzione di benessere per tutti i soggetti che fanno coralmente parte della rete di relazioni sistemiche che le danno vita: management, personale, fornitori, finanziatori, distributori, clienti, comunità, generazioni future, portatori di capitale.

L’impresa in questo modo potrà valorizzare tutte le energie disponibili indirizzando al mercato proposte belle, utili, funzionali e sostenibili, in linea con le istanze sociali e capaci di sostenerne la competitività, generando condizioni per le quali non sarà più l’impresa a inseguire il profitto ma quest’ultimo a “inseguire” l’impresa in un percorso orientato al progredire comune.

Alcune aziende già agiscono secondo questa logica per loro natura e sono pronte a navigare nel futuro, altre si stanno preparando. Una buona parte è chiamata ad avviare una profonda riflessione al riguardo, nella consapevolezza che la rigenerazione di fiducia e di legittimità sociale a esistere passi attraverso un cambiamento sostanziale, un’opzione di valore, sotto la spinta dell’opinione comune e in particolare di quella rappresentata dai giovani, e non attraverso l’adesione formale alle sempre più stringenti norme che la politica sta disegnando per l’agire d’impresa.

In questo passaggio evolutivo epocale, anche le business school saranno chiamate a consegnare alla storia del pensiero economico la celeberrima, quanto abusata, affermazione di Friedman secondo cui l’unico scopo dell’impresa è perseguire il business.

Saranno chiamate a mettere in discussione i modelli per tanto tempo diffusi e a ridefinire i contenuti degli insegnamenti di management, collocando il paradigma efficientistico all’interno di un approccio umanistico al management che riconosca che l’impresa è prima di tutto vita e relazioni sociali. In ciò consapevoli della crescente complessità introdotta nei processi decisionali, chiamati a rispondere in modo sistematico non solo alle istanze dei portatori di capitale, ma anche alle molteplici e perciò contraddittorie istanze che le scelte d’impresa devono contemperare, in termini di umanità e relazione.  

CLAUDIO BACCARANI è professore emerito di Economia e Gestione delle Imprese nell’Università degli Studi di Verona e Co Founder di The Good Business Academy

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