MONDO FORMAZIONE

VISIONE, OLTRE CHE COMPETENZE: IL DESIGN,
“LENTE PER OSSERVARE IL MONDO”, È TRANSDISCIPLINARE

RICCARDO BALBO

Febbraio 2023

Se la ragion d’essere del progetto (e del progettista) è nell’osservazione della realtà finalizzata a individuare strade di innovazione e miglioramento individuale e collettivo – sociale, culturale, ambientale, economico e di qualità della vita – è fondamentale che il design punti su persone non soltanto ricche di competenze, ma anche capaci di esercitare sguardi e consapevolezza critica. Designer in grado di spostare il punto di osservazione sulla contemporaneità a una quota molto alta, dove i dettagli dei singoli aspetti si sfocano un po’ in ragione di una immagine che mette però bene insieme molti aspetti altrimenti troppo distanti. Proprio da questo processo di sfocatura e visione scaturiscono domande, più che risposte; ma non possiamo immaginare di produrre innovazione se non siamo in grado di riformulare le domande a noi stessi.

Ecco perché di fianco a una formazione “verticale” si affaccia una urgenza di “orizzontalità” che ibrida e contamina: è il design transdisciplinare. Non, appunto, una disciplina o una professione, ma un'attitudine nel modo di pensare, che prende i valori e la metodologia del design e che, riunendo sguardi (persone con background diversi), riformula i problemi, originando percorsi progettuali e addirittura nuove discipline.

 

Il Transdisciplinary Design adatta lo sguardo della complessità al mondo contemporaneo che ci circonda e che pensiamo di conoscere, con l’obiettivo di individuare le strade per migliorarlo. Una complessità che ha bisogno di andare oltre i confini esistenti, con designer che possano effettivamente navigare al suo interno in modi nuovi, che portino valore alla società e alle comunità e che siano sostenibili nel modo in cui trovano tali soluzioni. Parole d’ordine per sviluppare questi punti di vista alternativi sono appunto “ibridazione”, “straniamento”, “contaminazione” e “sperimentazione”, a partire dal mettere insieme menti di formazione pregressa diverse tra loro, come quasi mai accade: umanistica, tecnico-scientifica, creativa e progettuale.

 

Il mondo dell’Accademico, soprattutto quando molto ben radicato e osmotico con i tessuti produttivi e con i loro interpreti, è il luogo naturale per una riflessione attenta sulla complessità odierna e futura, sul significato stesso di design e sulla transdisciplinarietà.

Ma perché è necessario formare designer transdisciplinari? Principalmente per dare risposta ai segnali che provengono dal settore delle industrie creative e dai settori produttivi ad alto contenuto progettuale così come da organizzazioni operanti in ambito pubblico e sociale che richiedono con crescente insistenza profili professionali spesso non codificati: la design driven innovation ha bisogno di professionisti visionari che interpretino rapidamente i cambiamenti e che per questo siano allo stesso tempo promotori di cambiamento in un’ottica di sostenibilità e responsabilità; agenti di innovazione, attraverso la capacità di disegnare scenari visionari e di immaginare soluzioni per il futuro.

 

Campi di intervento in questo senso possono essere la mobilità e la rigenerazione urbana (aree contigue tra loro e affrontate proprio nel biennio specialistico IED in Transdisciplinary Design). È con lo sguardo transdisciplinare che il design espande la sua riflessione passando da competenze sulle applicazioni a una riflessione critico-progettuale sulle implicazioni. Nell’ambito della mobilità, per fare un esempio, è evidente che ci si sta spostando dalle applicazioni, dove sono necessarie competenze di  transportation design alle implicazioni – quelle della mobilità – che esplorano territori anche esterni al design.

 

Per individuare nuove domande e rispondere con nuove direzioni a fianco di una convergenza di molte competenze, abilità, discipline del design, nonché per fare un vero salto – proprio in ottica transdisciplinare – gli esiti più interessanti si generano da ciò che è sorprendente (ma non assurdo): fuori dagli schemi – out of the box – e quindi fuori dai confini disciplinari. Transdisciplinare vuole proprio significare che la riflessione sposta talmente tanto il punto di osservazione da travalicare i confini della disciplina. Pensiamo ad esempio a Google Maps, al fenomeno dello sharing, a servizi come Uber, ai motori elettrici basati su batterie a basso costo o di piccole dimensioni: applicazioni che influenzano potentemente il mondo della mobilità ma sviluppate fuori dai confini del transportation design (e lontane da progettisti e ingegneri dei trasporti), influenzando l’ambiente, le economie locali, addirittura il modo in cui viviamo i rapporti sociali e la nostra quotidianità.

E non ci sono altri modi se non quello del laboratorio progettuale permanente – lo studio-collettivo transdisciplinare – a trovare risultati out of the box e dunque autenticamente innovativi.

 

Un metodo più che una disciplina, che guarda ai giovani designer come in una sorta di acceleratore di particelle subatomiche: studenti e professori vengono “accelerati” nel collective studio e fatti “collidere”, sprigionando l’energia delle nuove idee.

 

 

RICCARDO BALBO è Direttore Accademico Gruppo IED

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