EDITORIALE
Enrico Sassoon
Luglio 2024
Gli americani sono, si sa, un popolo pragmatico e nella loro lingua c’è un’espressione che la dice tutta: walk the talk. Nella versione più stringata in italiano diremmo “più fatti e meno chiacchere”, nella versione estesa si può rendere meglio con “fai quello che hai detto di voler fare”. Erin Meyer racconta, nel suo articolo ripreso in copertina, un episodio significativo degli inizi del suo percorso professionale, quando una collega delle risorse umane ha preso a girare gli uffici della società appiccicando poster e distribuendo tesserine plastificate che declamavano “in un bel blu brillante”, i valori dell’azienda: «Trasparenza, Rispetto, Correttezza, Onestà». Quanto valesse quello show, dice Erin, l’ha potuto verificare un anno dopo, quando la dirigenza è stata chiamata a rispondere di 17 capi d’accusa per cospirazione e frode. Si rivelavano così, dice, “i veri valori dell’azienda”.
In questo caso, nessun walk the talk, l’esatto contrario, un evento probabilmente piuttosto raro in questa forma estrema, ma che ci porta a chiederci come, quando e quanto le dichiarazioni d’intenti, gli statement e i purpose proposti ai dipendenti e al mondo intero siano materia viva ed effettivamente praticata e quanto fumo negli occhi.
La domanda è rilevante. Lo è sempre ma ancor di più in periodo come l’attuale e in un Paese come l’Italia dove, secondo le ricerche, stiamo toccando un vertice di disaffezione da parte dei dipendenti delle imprese e, di converso, un minimo storico di engagement che porta a conseguenze piuttosto preoccupanti: difficoltà a reperire e trattenere i talenti, tendenza di molti dipendenti al quiet quitting, cioè al menefreghismo professionale, fino alla ricerca di situazioni lavorative più consone ai propri desideri, anche se forse illusoriamente tali (grandi dimissioni).
Si osserva che, in particolare, questa disaffezione riguarda soprattutto le nuove generazioni, ossia Millennial e Gen Z, ma che tocca in effetti un po’ tutte le generazioni in azienda, che sono ormai quattro se non cinque. Il risultato netto, che volendo si può quantificare, è di danni elevati sia al clima aziendale (deterioramento relazionale) sia al conto economico (perdita di produttività), con un effetto che va ben oltre i confini delle imprese, nella ricerca di soluzioni che per ora si rivelano alquanto sfuggenti.
Infatti, sempre considerando gli impietosi sondaggi, in linea generale gli ultimi anni, con un crescendo post-Covid, hanno determinato in giovani e meno giovani un generale ripensamento del rapporto con il lavoro. Non si tratta tanto di verificare se effettivamente valori e obiettivi delle nuove generazioni si distacchino significativamente dalle precedenti, quanto di riconoscere che la società nel suo complesso, e non solo in Italia, sta rivedendo il rapporto con il lavoro chiedendo che sempre più si tenga conto di alcuni parametri fondamentali: al primo posto si pone la richiesta di un miglior rapporto fra vita privata e vita professionale; al secondo una pratica effettiva di attenzione alla diversity in ogni senso, all’inclusione, all’eguaglianza di opportunità; al terzo una maggiore cura e chiarezza degli sviluppi di carriera; al quarto una maggiore garanzia di equità retributiva. Per soprammercato, alle aziende si richiede di supplire alle carenze di un sistema pubblico che fa fatica a rispettare gli impegni in termini di welfare e assistenza e che, in prospettiva, lo farà sempre meno.
In questo quadro, appare piuttosto chiaro che la gestione delle persone in un’organizzazione, quale ne sia la dimensione, non si limita più alla pratica professionale di una funzione dedicata, ma è ormai diventata materia che investe la leadership aziendale. La quale non sembra, nella maggioranza dei casi, aver recepito questa esigenza e ancor meno praticarla. Non che non esistano motivi solidi al fondo di questa difficoltà, se si tiene conto del moltiplicarsi dei punti di crisi nel quadro economico e politico in cui le imprese operano, delle incertezze economiche e finanziarie, delle esigenze della digitalizzazione e delle sofferenze della transizione tecnologica innescata dall’avvento massiccio dell’intelligenza artificiale. Ciò detto, si tratta di un’assunzione di responsabilità ineludibile che i professionisti delle risorse umane devono favorire e i leader delle imprese riconoscere e accettare in pieno.
Per i leader d’impresa a tutti i livelli è un momento complesso e altamente sensibile. Per affrontarlo il primo passo è, come sempre, diventarne pienamente consapevoli e far seguire i fatti alle parole. Walk the talk, appunto.