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Trasformare le organizzazioni pubbliche: il cambiamento partecipato in INPS

Nel contesto italiano, così come in altri Paesi avanzati, una delle richieste più pressanti dei cittadini riguarda il recupero di efficienza e produttività nell’azione pubblica. Condizione essenziale per migliorare il welfare e la competitività del Paese

Giuseppe Conte, Luca Solari

Giugno 2023

Trasformare le organizzazioni pubbliche: il cambiamento partecipato in INPS

UN NODO CENTRALE PER LA COMPETITIVITÀ dei Paesi è rappresentato dall’efficienza del funzionamento della Pubblica Amministrazione, come illustrato di recente dal Working Paper OECD di Tim Bulman (2021) che colloca l’Italia sotto i livelli dell’OCSE e dei Paesi europei nelle percezioni dei cittadini relative a efficacia, preparazione per la trasformazione economica e fiducia nell’Amministrazione. Se l’azione legislativa è costante, le conseguenze in termini di organizzazione e gestione delle risorse umane sono lasciate all’iniziativa delle singole amministrazioni.

La questione dell’organizzazione interna e dei rapporti con i fruitori della Pubblica Amministrazione ha impatti diretti sul recupero di efficienza e produttività nell’azione pubblica come dimostrato dalle teorie del New Public Management (Lane, 2000; Page, 2005; Pollitt et al., 2007), originatesi dalle esperienze di devoluzione delle amministrazioni americana (Reagan) e inglese (Thatcher). Il New Public Management mette l’accento sull’adozione, anche nelle organizzazioni pubbliche, dei modelli di management dominanti in quelle private. Gli autori che vi si ispirano portano nel dibattito sulle scienze dell’amministrazione nuovi concetti che si rifanno per esempio ad aspetti quali:

-      il richiamo all’efficienza dell’organizzazione

-      le logiche di sussidiarietà

-       la separazione tra indirizzo, controllo e gestione da cui deriva il concetto di “agency”, ovvero organismi a valenza prevalentemente gestionale incaricati delle attività e gestiti in logica manageriale

-      l’importanza dell’integrazione delle tecnologie nei processi e nelle relazioni con i cittadini

-      l’accessibilità ai servizi e l’attenzione alla qualità e soddisfazione dei cittadini, da misurare in modo sistematico.

Un’organizzazione meno burocratica e più orientata al servizio al cittadino non può che rappresentare uno dei principali obiettivi amministrativi se consideriamo quanto il ritardo della produttività a livello paese sia influenzato dalla componente legata alla PA.

A queste trasformazioni si ispira anche la digital era governance (Dunleavy et al., 2006), secondo cui i processi di lavoro devono essere ripensati alla luce dello sviluppo delle tecnologie, consentendo maggiore flessibilità operativa e permettendo di concentrare le risorse nell’ascolto degli utenti, nella “vicinanza” alle loro esigenze, nella loro soddisfazione:

·      design thinking: sviluppo di nuovi prodotti e servizi sulla base delle esigenze multiformi di utilizzatori ed erogatori

·      disintermediation, co-production e do-it-yourself government: i cittadini e le imprese potranno produrre output individuali usando procedimenti elettronici, lasciando invece alle PA il compito di predisporre le infrastrutture facilitanti, per esempio reti e nodi di interscambio delle informazioni e portali personalizzati di accesso ai servizi, attraverso cui i cittadini possano accedere a tutti i servizi dell'amministrazione che li riguardano, ma anche di altre amministrazioni, trovandovi già tutte le situazioni note

·      nuove forme di automazione basate su tecnologie zero touch, cloud e IA

·      reintegration ovvero promozione di sinergie (funzionali e di risorse) e radicali semplificazioni delle organizzazioni.

Più di recente, lo sviluppo del digitale ha portato a una nuova sintesi, la public value theory (Benington and Moore, 2010) che, pur non abbandonando l’importanza della logica economica, si preoccupa del valore pubblico nel quale devono trovare posto i temi legati al capitale sociale, alle dinamiche locali, alle comunità, alla coesione sociale, al riconoscimento della pluralità degli stakeholder fino all’integrazione dei temi della sostenibilità più ampia. A una visione molto orientata a un modello principale-agente con una direzione centrale forte, si va quindi opponendo un modello di Pubblica Amministrazione che valorizza logiche di rete, collaborazione e partnership partecipata, di fatto quell’insieme di logiche di azione che vanno sotto il nome di co-creation (Bryson et al., 2017). Un esempio di iniziativa ispirata a questa visione moderna di PA è stata promossa nel 2022 dal Governo nelle “Linee di indirizzo per l’individuazione dei nuovi fabbisogni professionali da parte delle Amministrazioni pubbliche” che introducono i modelli di gestione delle risorse umane “per competenze”.

La trasformazione in atto pone le organizzazioni della Pubblica Amministrazione davanti a una doppia sfida. Una sfida esterna e di contenuto verso un modello di funzionamento plurale, flessibile e vicino alla cittadinanza nella soluzione effettiva delle problematiche, e una sfida interna e di processo che porta all’adozione di modelli partecipati di cambiamento.

Le circostanze che riguardano INPS, incaricata dalla dimensione politica di gestire numerosi servizi essenziali per la cittadinanza e investita dall’ulteriore ruolo collegato alla fase emergenziale della pandemia, consentono di farne un caso esemplificativo di particolare interesse. La possibilità di seguire il percorso di attivazione dei numerosi cantieri di trasformazione stimolati anche dagli investimenti derivanti dal PNRR in una logica di ricerca-intervento consente di sviluppare in questo articolo alcune considerazioni generalizzabili per quanto riguarda la gestione dei processi di trasformazione nelle pubbliche amministrazioni.

 

Le direttrici del cambiamento
La ricerca sui modelli di cambiamento organizzativo ha percorso tre direttrici. La prima, vicina alla psicologia del lavoro, si è concentrata sui risvolti del cambiamento a livello individuale e di gruppo. Si tratta di una ricerca molto ampia e con sovrapposizioni importanti con le diverse discipline che si occupano del comportamento individuale. In generale, essa si è occupata dei meccanismi attraverso i quali le persone percepiscono le richieste di cambiamento dall’esterno e attirano o meno risposte comportamentali con particolare attenzione all’aspetto della resistenza al cambiamento. La seconda ha approfondito la natura in generale dei processi di cambiamento e trasformazione nei contesti organizzativi, ovvero ha analizzato il cambiamento nelle sue forme deliberate o emergenti e il rapporto tra tipologia di processi e visioni manageriali. In questo ambito possiamo collocare gli studi sul rapporto tra leadership e cambiamento oppure quelli sui modelli di interpretazione del cambiamento. La terza infine è stata meno presente nella letteratura scientifica, ma rappresenta il cuore di gran parte dei contributi orientati alla pratica e riguarda la gestione del cambiamento, il change management. In essa convivono tanti contributi diversi, da quelli più orientati agli aspetti tecnici che si sovrappongono in parte al project management (il PMO come viene spesso definito) a quelli relativi alle fasi successive del cambiamento.

Il grande successo di questi ultimi, e in particolare del modello di John Kotter (1995), ne ha fatto un architrave di tutta la pratica e la consulenza sul cambiamento deliberato, ossia quello che segue un piano definito e articolato. Le otto fasi del modello di Kotter sono così conosciute da aver perso la valenza di modello ed essere a volte considerate come la forma oggettiva di ogni cambiamento organizzativo. Si tratta di un modello di tipo teleologico, di semplice concettualizzazione e che si presta molto bene alle azioni manageriali esplicite, caratterizzate da modelli razionali e logico deduttivi.

A lungo il contraltare di tali modelli è stato rappresentato dalla letteratura sullo sviluppo organizzativo che, più consapevole dell’importanza dei comportamenti individuali e di gruppo, ha fatto riferimento essenzialmente a un modello di ispirazione dialettica che è quello di Kurt Lewin (1951).

Se in Kotter il cambiamento è una successione di fasi, per Lewin si attiva attraverso l’opposizione di fattori di segno diverso che, grazie alla creazione di una fase di rottura degli schemi prevalenti (ristrutturazione cognitiva) apre lo spazio per pensare e realizzare qualcosa di nuovo. Questa seconda visione, tipica della consulenza di processo, pur avendo uno spazio è risultata minoritaria, non prestandosi a quella razionalizzazione da “cabina di regia” del modello di Kotter. Spesso ha originato interventi di medio raggio, su parti dell’organizzazione o su singoli processi nell’ambito di un modello complessivo di ispirazione teleologica.

Dei due modelli, il primo si adatta bene al cambiamento nel mondo della Pubblica Amministrazione tradizionale perché ha una visione orientata al controllo e alla rendicontazione delle attività, un impianto tendenzialmente formale e una logica prevalentemente top-down. Il secondo ha faticato pertanto ad affermarsi ed è presente più spesso nei contesti di sviluppo e formazione più che come modello di cambiamento organizzativo tout court.

Tuttavia, le considerazioni espresse nel primo paragrafo sul cambiamento dei modelli di interpretazione della Pubblica Amministrazione ci spingono a riflettere sulla perdita di efficacia del primo approccio, sebbene ancora molto praticato. I nuovi modelli di organizzazione della PA si devono focalizzare su temi come la condivisione del purpose, l’autonomia, la gestione per competenze, la partnership e la capacità di interagire con le comunità. In un quadro come questo, diviene necessario cambiare approccio al cambiamento organizzativo, enfatizzando valori differenti quali:

-      partecipazione: il cambiamento deve essere condiviso e attivato da tutte le persone, soprattutto chi opera a diretto contatto con il pubblico

-      flessibilità e adattamento: il cambiamento deve riflettere le condizioni specifiche e privilegiare il raggiungimento dell’obiettivo rispetto all’uniformità di processo

-      ricorsività: il cambiamento non può essere figlio solo delle grandi campagne, ma deve diventare una dimensione intrinseca dell’azione organizzativa per adattarsi ad un mondo dinamico.

In un contesto così mutato, diventa opportuno orientarsi verso modelli distribuiti e partecipati di cambiamento quali i modelli virali descritti da uno degli autori nel libro Freedom Management (Solari, 2016). Si tratta di modelli che usano le proprietà dei sistemi sociali per diffondere i temi del cambiamento e per attivare localmente le persone in azioni concrete di miglioramento. Sono particolarmente adatti a contesti organizzativi con una forte distribuzione territoriale che rifletta anche delle disomogeneità in termini di mix di servizi offerti e modelli di interazione culturale tra cittadino e PA. Questi modelli adottano una metafora evolutiva e leggono il cambiamento come una successione di momenti di variazione (proposta di nuove idee o approcci), selezione (verifica dell’efficacia relativa delle idee o approcci) e riproduzione (conservazione delle migliori pratiche e loro diffusione). Sono quindi modelli tendenzialmente non gerarchici, almeno nello svolgimento del processo di cambiamento. Tuttavia, ciò non implica che siano modelli caotici o senza regia, semplicemente ne richiedono una differente. Il management che li promuove deve concentrarsi sulla forte proposizione del purpose del cambiamento attivato, per abilitare tutte le persone coinvolte a sapere come decidere davanti alle alternative che si propongono. Inoltre, il management deve agire in uno spirito di servant leadership, operando per risolvere quei vincoli alla trasformazione efficace che derivano dalle regole organizzative obsolete. Infine, sta al management il ruolo di chi deve dare un senso all’insieme delle azioni di cambiamento e ricondurle lungo il solco degli obiettivi definiti. In sostanza serve un management che non sia solo competente come spesso accade nella PA, ma anche coraggioso nella capacità di affidarsi alle persone dell’organizzazione e attento all’ascolto e all’osservazione di quanto accade nell’organizzazione.

 

La sfida del cambiamento in INPS
In qualità di principale ente pubblico erogatore di servizi di sicurezza sociale (riscossione dei contributi ed erogazione delle prestazioni previdenziali e assistenziali), l’INPS ha un ruolo centrale nella gestione dello Stato sociale italiano. Fondato nel 1898, oggi si articola in una Direzione generale e 137 Direzioni territoriali, oltre 750 uffici territoriali, oltre 26mila dipendenti, al servizio di oltre 20 milioni di lavoratori (il 92% della forza lavoro nazionale), di oltre 15 milioni di pensionati, nonché di più di 1,8 milioni di imprese, senza considerare gli utenti delle prestazioni assistenziali (arrivate a essere numericamente più delle prestazioni previdenziali e a costituire un terzo delle uscite), per un totale di oltre 486 miliardi di entrate e oltre 484 miliardi di uscite. Si può pertanto dire che, direttamente o indirettamente, INPS è l’erogatore di servizi di welfare per la Nazione.

INPS è stato all’avanguardia da un punto di vista organizzativo e tecnologico. Negli anni Ottanta ha ricercato l’efficienza con l’introduzione dei computer e dell’organizzazione per processi (superando l’organizzazione per adempimenti). Negli anni Duemila ha colto l’importanza di Internet e delle tecnologie dell’informazione e il processo di completa telematizzazione ha garantito un significativo recupero di efficienza, consentendo di reggere una diminuzione di personale del 32% fra il 2000 e il 2022.

Peraltro, con l’espansione delle prestazioni a sostegno del reddito e con l’attribuzione all’Istituto di sempre più funzioni assistenziali, nonché, da ultimo, con l’emergenza epidemiologica, la complessità del sistema è cresciuta esponenzialmente. Da un lato l’Istituto, in ossequio ai principî solidaristici fondati sulla Costituzione della Repubblica italiana, ha risposto alle crescenti richieste d’intervento adeguando via via le proprie strutture, anche tecnologiche, alle sempre maggiori esigenze di sostegno e alle norme introdotte dal legislatore. Ma, di converso, con gli anni il sistema si è sviluppato sulla base di prospettive e regole giustapposte; col tempo sono cresciuti i silos organizzativi, amministrativi e tecnologici, con limiti alla capacità di adattarsi velocemente ai mutevoli bisogni. Il cambiamento sempre più repentino del contesto sociale, economico e tecnologico rende necessari ulteriori modelli di sviluppo, in grado di soddisfare compiutamente le esigenze dell’utenza, estese a un’attività più ampia di ascolto, assistenza e soddisfazione delle persone mediante una più complessiva presa in carico, qualificata e aderente alle attese.

Come immaginare INPS da qui a 5 anni? Mettendosi nell’ottica degli utenti, possiamo immaginare un Istituto:

•                che è facilmente raggiungibile;

•                che permette un accesso diretto e semplice alle prestazioni;

•                che “conosce” l’utente e soddisfa i bisogni senza chiedere altro che l’essenziale.

Come realizzarlo? Tre grandi investimenti strategici:

•               la trasformazione digitale;

•                la trasformazione tecnologica (ICT);

•                l’attivazione del cambiamento e lo sviluppo delle risorse umane.

 

I cantieri del cambiamento in INPS
Le evoluzioni tecnologiche e digitali sono necessarie, ma non sono sufficienti se non accompagnate dall’evoluzione culturale. Possiamo usare gli strumenti più avanzati, ma se non s’integrano nella cultura aziendale, se non entrano nei modi di lavorare quotidiani, se non germinano e contaminano, non otteniamo i risultati sperati o si possono perfino produrre controindicazioni. Mentre si attiva la trasformazione digitale, serve rivolgere l’attenzione verso le persone. Il capitale umano, infatti, svolge un ruolo critico per il successo del cambiamento: sono le persone a veicolare le nuove tecnologie nelle reti, formali e informali, in cui operano, servendosene come destinatarie, ma al tempo stesso rendendole produttive, in un circolo virtuoso fatto di scambio e confronto attivo.

È emersa, dunque, la necessità di definire un programma di change management volto ad accompagnare il personale nella fase di apprendimento e di conoscenza degli strumenti e delle metodologie della trasformazione digitale e strategica e a renderlo protagonista. Scopo finale del programma è un’evoluzione della cultura e della mentalità presenti nell’organizzazione aziendale, che passa anche attraverso una visione motivante del lavoro ottenuta con lo sviluppo di nuove competenze e realizzata con modalità coinvolgenti e di co-creazione.

Per l’attuazione del programma sono stati avviati 18 progetti, rientranti in 4 cantieri:

•                nella prima area, “Comunicare la visione e le strategie”, rientrano i progetti che mirano a stimolare la comprensione della missione aziendale e delle direttive del cambiamento, soprattutto al fine di suscitare il coinvolgimento;

•                la seconda, “Definire un piano di sviluppo strategico delle persone”, racchiude i progetti sulle competenze, per rafforzare quelle già presenti e svilupparne di nuove;

•                il terzo pilastro, “Sistematizzare e sviluppare le conoscenze dell’Istituto”, mira a reingegnerizzare i repository di contenuti formativi e informativi già esistenti e a crearne di ulteriori, al fine di organizzare il patrimonio di conoscenza dell’INPS, facilitarne la consultazione e, a cascata, migliorare la qualità dei processi e la consulenza all’utenza;

•                l’ultima linea di intervento, “Adottare nuove modalità di lavoro”, riguarda l’attuazione di modi di svolgere l’attività lavorativa in grado di garantire aderenza alle rinnovate necessità e una sempre maggiore efficienza (in primis attraverso l’adozione strutturale dello smart working).

 
Rendere il cambiamento plurale
È necessario non solo avere una visione e la capacità di trasformare la visione in azioni concrete. Bisogna anche essere in grado di condividere questa visione, facilitando il coinvolgimento dei dirigenti e del personale tutto. E sapere includere nella visione i partner istituzionali, gli utenti e tutti i cittadini.

Il cambiamento, per essere efficace, deve essere gestito in maniera partecipativa, attraverso momenti di coinvolgimento e co-progettazione, che consentano di canalizzare le energie, la motivazione, le conoscenze e le abilità delle persone verso obiettivi condivisi. Il programma di change management, quindi, contempera la pianificazione top-down, in termini di strategie, milestone e KPI, con processi di partecipazione attiva e con proposte di miglioramento dal basso, di tipo orizzontale, frutto di riflessioni collettive (Doshi and McGregor, 2015).

Per questo motivo, fra i progetti sopra descritti, segnaliamo il progetto “Agenti del cambiamento”. Gli Agenti sono change agent, agiscono come catalizzatori del cambiamento per implementarlo all'interno della realtà in cui si trovano. Credono nel processo di evoluzione, ne comprendono le complessità e vogliono giocare un ruolo attivo in tutte le sue fasi. Si stanno selezionando lavoratori che:

•                hanno una mentalità positiva e aperta alla comunicazione;

•                si sentono a proprio agio nell’aiutare gli altri a scoprire e imparare cose nuove;

•                hanno un’attitudine al digitale;

•                hanno una propensione all’innovazione e vivono il cambiamento come un’opportunità;

•                si riconoscono nei valori dell’INPS.

I compiti loro assegnati sono di seguito descritti:

•                gli agenti promuovono le iniziative in corso per garantire la ridondanza informativa e raggiungere il maggior numero di persone coi messaggi chiave della trasformazione digitale e del cambiamento culturale dell’Istituto;

•                gli agenti si rendono testimoni dei processi rinnovati (leadership by example);

•                gli agenti sono uno snodo per il trasferimento delle nuove competenze e l’adozione delle nuove tecnologie e dei nuovi modi di lavorare, soprattutto in ottica di collaborazione e smart working.

Gli agenti sono la locomotiva del cambiamento virale all’interno dell’Istituto, coinvolgendo, motivando, preparando colleghi loro pari a unirsi alla loro community; a tali fini, gli agenti partecipano a percorsi formativi atti a sviluppare e accentuare attitudini e competenze specifiche. Ad esempio, quando è stato necessario comprendere meglio la natura dei processi operativi, gli agenti sono stati coinvolti con delle mini-survey live basate sulle metodologie della Organizational Network Analysis e del Net Promoter Score per individuare le persone meglio in grado di raccontarli.

Più peserà sul piatto della bilancia la percezione delle opportunità, migliore sarà la valutazione del processo di cambiamento e lo stato emotivo associato. Il change management deve diventare una vera opportunità di crescita per l’organizzazione e le persone. Si tratta, quindi, di operare scelte che non richiedono solo competenza tecnica, ma anche una dose di “phronesis”, ossia quella saggezza pratica che viene dall’esperienza e che consente di contemperare le scelte legate alla razionalità tecnica col piano valoriale.

 

Conclusioni: cosa possiamo imparare
I pilastri della nascita delle organizzazioni contemporanee sono stati senza alcun dubbio la gerarchia e la burocratizzazione, entrambi aspetti che hanno rivestito un ruolo centrale nei lavori di Max Weber. La spersonalizzazione delle organizzazioni nasce infatti dalla trasposizione delle logiche di azione in sistemi di regole (burocrazia) e nella individuazione di discrezionalità decisionali basate su principi razionali (autorità razionale-legale) e non su prerogative tradizionali o specifiche qualità personali. Per Weber il processo di modernizzazione passa attraverso una nuova modalità di organizzazione stabile dell’azione sociale: la grande organizzazione moderna. Le organizzazioni più estese quando Weber ne scrive sono proprio le varie diramazioni istituzionali dei grandi Stati moderni e la svolta tecnocratica in parte intravista, in parte codificata da Weber stesso rappresenta il fondamento del loro successo. Non è un caso se anche oggi la regolazione per norme sia particolarmente forte al loro interno (come in generale nelle organizzazioni di maggiori dimensioni).

Tuttavia, i tempi che viviamo sono radicalmente cambiati. Se ai tempi di Weber l’esigenza principale dal punto di vista dell’organizzazione della macchina pubblica era la standardizzazione interna e verso l’utenza, le richieste contemporanee sia di lavoratori sia di clienti si orientano a una sempre maggiore personalizzazione. Rispetto a organizzazioni “reattive”, che fornivano servizi a domanda con procedimenti uniformi, oggi cresce sempre più la domanda di servizi disponibili immediatamente, on-demand, proattivi, che mettono al centro la cura del cliente/utente.

Si tratta di una sfida che, se è complessa per le organizzazioni private, diventa quasi un rompicapo per quelle pubbliche che non possono godere di tutti i margini di discrezionalità. Ovviamente la trasformazione complessiva richiederà un allineamento nel tempo tra normativa di regolazione e prassi organizzative interne, ma il caso INPS evidenzia come sia possibile da subito aprire e percorrere alcune strade verso la nuova configurazione della Pubblica Amministrazione.

 

Giuseppe Conte, Direttore centrale Risorse umane, Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Luca Solari è professore ordinario di Organizzazione aziendale presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e fondatore di OrgTech. Si occupa del rapporto tra sistemi organizzativi e tecnologie in un’ottica di change management.

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