INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Utilizzare l’IA generativa per sviluppare la strategia

Junio Cristiano Caselli

Dicembre 2025

Utilizzare l’IA generativa per sviluppare la strategia

 

Chi guida un’impresa è abituato a confrontarsi con persone – nel board, tra i consulenti o con i colleghi – in incontri in cui senso e valore nascono dall’incrocio di esperienze e prospettive diverse. Oggi, però, i leader stanno scoprendo un nuovo interlocutore: l’intelligenza artificiale generativa. Non come un collaboratore cui delegare la redazione dei testi o dei report, ma come partner cognitivo, capace di aprire spazi di riflessione strategica e di contribuire alla creazione di senso nuovo per l’organizzazione.

In generale, il dibattito sull’IA generativa si concentra sulla produttività: più velocità, più compiti automatizzati, o più righe di codice. L’IA viene sostanzialmente vista come strumento per fare un po’ meglio e più in fretta compiti operativi. Accanto a questa dimensione, però, ce n’è un’altra che riguarda la capacità di generare, assieme all’uomo, nuove prospettive strategiche.

 

Opportunità strategica, pratica immatura

Elisa Farri e Gabriele Rosani (2025) rilevano che molti manager hanno iniziato a utilizzare l’IA come interlocutore strategico. Un partner con cui valutare prospettive, bilanciare pro e contro e stimolare il ragionamento a sostegno della leadership. Tuttavia, sebbene le aspettative siano elevate, solo una minoranza dichiara di possedere oggi le competenze necessarie per sfruttare gli LLM in questo modo. Per colmare questo divario, gli autori hanno pubblicato l’HBR Guide to Generative AI for Managers, che propone indicazioni pratiche e prompt per rendere più efficace l’interazione. In questa osservano anche che, nella maggior parte dei casi, l’uso dell’IA resta ancora sporadico e superficiale: spesso ci si ferma al primo livello, quello in cui il manager delega all’algoritmo la formulazione iniziale del pensiero, con il risultato di abbassare il livello cognitivo e ridurre l’ownership del progetto. E allora, come si può andare oltre questo uso superficiale?

 

Pensare di più, non pensare al posto nostro

Un uso creativo e strategico dell’interazione deve essere intenzionale: si tratta di un percorso di approfondimento con impegno di risultato. Un percorso in cui il leader insiste, provoca, riformula e porta la conversazione più in alto possibile. Così l’IA diventa capace di generare pensieri più evoluti e concettuali, allontanandosi sempre più dalla semplice pratica.

Alan Turing, nel 1950, suggeriva che il punto non fosse chiedersi se una macchina potesse pensare, ma se potesse sostenere un dialogo indistinguibile da quello umano. Ci siamo arrivati. Il paradosso oggi è che la vera questione non è se l’IA pensi, ma se ci costringa a pensare più a fondo di quanto avremmo fatto da soli.

 

Conversare con la strategia

La ricerca accademica conferma che questo uso dell’IA non è più un’ipotesi ma una pratica in atto. David Rockmore (2025) ha mostrato come molti studiosi impieghino già ChatGPT nei brainstorming, non per ricevere soluzioni preconfezionate ma come catalizzatore di introspezione: l’IA li costringe a osservare i propri pensieri da un’angolazione diversa, rendendo visibili ipotesi implicite e possibilità inesplorate. Scrive: Questo è proprio il tipo di capacità che apprezziamo in un buon collaboratore: qualcuno che conosce un’enorme quantità di schemi e non ha timore di fare il salto da un dominio all’altro.

Se per gli accademici questo significa introspezione creativa, per un CEO significa strategia: la stessa dinamica può essere applicata al dialogo con l’IA per esplorare visioni organizzative e scelte di mercato. Donald Schön, già nel 1983, descriveva la riflessività del professionista come capacità di conversare con la situazione.

Oggi possiamo dire che un manager, se accetta di spingersi molto oltre le prime risposte, può conversare con la propria strategia attraverso un LLM e generare senso che prima non esisteva.

 

Oltre lo strumento: la mente estesa

Questo cambia il ruolo dell’IA da strumento, per quanto evoluto, a spazio cognitivo. Come ha chiarito Merleau-Ponty, il dialogo non è semplice trasmissione di informazioni: è un surplus di senso – non preesistente – che nasce solo nella relazione e che non sarebbe potuto emergere altrimenti. La domanda chiave è se possiamo generare lo stesso surplus dialogando con un interlocutore senza corpo.

Con un modello linguistico manca la reciprocità incarnata: non c’è un altro soggetto che porti la sua esperienza. Ma proprio questa neutralità restituisce le nostre parole con variazioni statistiche che, senza intenzione, aprono spazi di libertà inattesi. È come parlare davanti a uno specchio che non si limita a riflettere, ma deforma appena l’immagine, rivelando dettagli che non avevamo notato. È in questo scarto che si produce valore: non il surplus di senso in assoluto – prerogativa della reciprocità umana, come ricordano Geertz e Luhmann – ma un nuovo senso per il leader che dialoga.

La teoria della mente estesa di Clark e Chalmers (1998) ci offre una chiave di lettura: strumenti e artefatti, se integrati stabilmente nei nostri processi cognitivi, diventano parte della nostra mente. Molti hanno esperienza del fatto che un blocco per appunti o un motore di ricerca sono già estensione della nostra mente che pensa; allo stesso modo, un chatbot può funzionare come estensione cognitiva, aiutando a riorganizzare pensieri, simulare scenari ed esplorare possibilità. Non è un’altra mente che condivide il nostro mondo, ma la nostra stessa mente che si rielabora. Di conseguenza, il surplus non è automatico. Nasce solo attraverso l’intenzione umana: è il leader che decide se l’IA deve restare un semplice strumento o diventare un vero partner cognitivo.

 

Sospensione del giudizio e abitudine

Visto che mancano giudizio e autocensura, l’IA può diventare un amplificatore della voce interiore: in un board meeting ogni idea è filtrata dal potere, dalla carriera e dalle dinamiche di status. Con l’IA non c’è imbarazzo né rischio reputazionale: si può provare, osare e perfino sbagliare con serenità. È come avere a disposizione una stanza insonorizzata dove esplorare pensieri non detti e ipotesi difficili da formulare.

La fiducia cresce con l’abitudine. Se un chatbot risponde in modo coerente e disponibile alla prima domanda, poi alla seconda e a molte altre sempre più spregiudicate, il leader può iniziare a esplorare con l’IA idee che non porterebbe in un contesto tradizionale. All’inizio sa che sta ricevendo risposte statistiche; poi, gradualmente, dimentica che sta interloquendo con un sistema di creazione di stringhe di testo e inizia a dialogare con un interlocutore che funziona come un’estensione del proprio pensiero. In questo spazio sospeso il manager può articolare intuizioni ancora grezze, trasformarle in scenari e far emergere insight strategici che in un contesto ordinario non verrebbero alla luce.

 

Il surplus che nasce dal vissuto statistico

Resta un limite strutturale: la creazione di senso autenticamente nuovo, il surplus, sembra richiedere sempre un’esperienza incarnata. Eppure, l’IA porta con sé un vissuto statistico: la media fertile di milioni di testi che condensano esperienze e prospettive che in origine erano incarnate. Se questa massa di sapere viene attivata dall’intenzione dell’interlocutore umano, può produrre non solo testi ben formulati, ma anche nuovo senso situato, insight che emergono nella specifica conversazione.

In questo sta forse la vera concretizzazione di intelligenza artificiale generativa: non generazione di documenti, ma generazione di intelligenza. È ciò che la letteratura più avanzata sulla co-creativity (Eapen et al., 2023; Haase & Pokutta, 2024) sta cominciando a mostrare: un “partner IA” può ampliare la creatività umana e persino generare creatività autonoma, producendo risultati nuovi e di valore. Per un leader, questo significa avere a disposizione un interlocutore che non sostituisce il pensiero, ma lo costringe a superare se stesso. Il valore più alto dell’IA non sta nel suo sapere, ma nel modo in cui ci obbliga a rielaborare il nostro.

Dato che l’uso dell’IA come interlocutore strategico è ancora in una fase pionieristica, le conversazioni che i manager intrattengono con essa restano private. Ma una conferma indiretta delle potenzialità viene anche da evidenze sperimentali. Uno studio condotto da Boston Consulting Group (Dell’Acqua et al., 2023) su 750 knowledge workers ha mostrato che i team supportati dall’IA generativa hanno prodotto output significativamente più creativi e di qualità superiore in attività di innovazione: dalla generazione di nuove idee di prodotto, allo sviluppo di business case, fino alla definizione di piani di lancio. In altre parole, l’IA ha potenziato il pensiero. È un esempio concreto di come l’interazione profonda con i modelli linguistici possa creare surplus cognitivo.

 

Essere in cerca è già raggiungere

L’IA può diventare uno strumento di leadership cognitiva solo se l’interazione è guidata da un’intenzione forte: andare oltre le prime risposte con l’obiettivo di creare qualcosa di nuovo, utile e meraviglioso. Se ti accontenti ottieni frasi; se spingi in alto, apri un campo semantico trasformativo.

Il punto non è usare l’IA, ma usarla per costruire una strategia che abbia peso. Serve un’intenzione di risultato chiara, e non fermarsi finché non si manifesta una visione soddisfacente. Il fallimento può nascere soltanto dal non aver avuto intenzione di raggiungere il risultato straordinario e aver interrotto il dialogo troppo presto, non dalla mancanza di risposte che l’IA è in grado di fornire.

Milton Glaser (2012), forse il designer più influente del Novecento, l’autore del logo I NY, mostra che il miracolo creativo nasce dalla capacità di seguire il flusso fino a quando non siamo arrivati a destinazione. Allo stesso modo, chi usa l’IA non deve accontentarsi di risposte, deve spingersi avanti finché non vede emergere senso autentico.

È ciò che in filosofia del linguaggio si definisce intenzione performativa: il fatto stesso di dichiararsi in cerca crea le condizioni di esistenza di ciò che si cerca. L’intenzione non è neutra, è una forza che riorienta percezioni, energie e decisioni. Nel momento in cui il leader dichiara a sé stesso di cosa è in cerca – del miracolo creativo, per esempio, o di un’idea capace di aprire mondi – cambia il proprio campo di attenzione e creazione: coglie connessioni, opportunità e segnali, e trova spunti e parole che altrimenti non sarebbero esistiti, e li inserisce nel dialogo con l’IA.

Il senso non è già presente nella mente del manager: nasce dall’agire nell’interazione con l’IA. È lo stesso principio che Karl Weick descrive con il concetto di enactment: l’organizzazione non scopre la realtà ma la costruisce agendo. Così essere in cerca non è un passaggio preliminare, ma parte integrante del raggiungimento.

 

Da risposte a visione

Immaginiamo un manager che vuole lanciare una nuova linea di prodotti bio. Chiede all’IA alcuni slogan non banali. Ottiene: La tecnologia migliore è la fotosintesi; Ogni ingrediente ha un albero genealogico; Coltivato dal tempo, non dalla chimica. Originali, ma niente di straordinario. D’altra parte, è la prima risposta.

Allora insiste: “Dammi slogan che nessuna azienda del settore oserebbe usare.” L’IA risponde: La carezza che la Natura ti restituisce con gli interessi; Quando la fotosintesi incontra l’igiene; L’unico lusso che la Terra approva. C’è qualcosa, ma non basta se l’intenzione è ambiziosa.

Il manager rilancia: “Come potrei cambiare completamente cornice per inquadrare il concetto sotto una luce mai vista?” L’IA attinge alla sua base statistica e sposta il piano: Non pulizia ma purificazione; Non un gesto domestico ma un micro-atto di ecosistema; Non una commodity ma un atto di resistenza; Non un prodotto contemporaneo ma un archetipo; Un rito liturgico; Un simbolo estetico.

A questo punto il manager spinge ancora: “Riscrivili come testi religiosi e come titoli di opere d’arte.” L’IA restituisce: Beati i gesti piccoli, perché grandi saranno le loro conseguenze; Rinascimento verde. Il primo si scarta, il secondo diventa una rivelazione.

Il manager non vede più un claim pubblicitario, ma una visione, un Rinascimento verde della propria organizzazione, un progetto completo in cui il termine “Rinascimento” è il fulcro: evoca la stagione in cui l’Italia seppe fondere arte e scienza, riscoprire l’antico per proiettarsi verso il nuovo e creare bellezza come motore di progresso. Il “Rinascimento verde” diventa allora una metafora potente: non più bio come etichetta di prodotto, ma come cornice culturale capace di ispirare linguaggio interno, modelli di leadership e relazioni con il mercato.

Sulla creazione degli slogan il manager ci tornerà in un secondo momento. Il miracolo sta nell’aver fatto emergere un nuovo campo semantico che può diventare visione.

 

IA al rallentatore

Il manager che comprende queste possibilità trasformative non tratta la macchina come un assistente cui delegare, ma come un vero partner. La tecnologia più impersonale costruita dall’uomo può diventare, per un leader, l’interlocutore più personale con cui avverare le proprie intenzioni più alte e generare visione e strategia.

Non è questione di rapidità o di efficienza, e neppure solo di insistenza: è l’intenzione di raggiungere il miracolo, di trasformare una chat di brainstorming in strategia viva. È questo impegno che consente all’IA di cessare di essere solo uno strumento per diventare un partner strategico-cognitivo.

 

Junio Caselli - junio@juniocaselli.it, www.linkedin.com/in/juniocaselli.

 

 

Bibliografia

 

Clark, A., & Chalmers, D. (1998). The extended mind. Analysis, 58(1), 7–19. https://doi.org/10.1093/analys/58.1.7

Dell’Acqua, F., McFowland III, E., Mollick, E., Lifshitz-Assaf, H., Kellogg, K., Rajendran, S., Krayer, L., & Candelon, F. (2023). Navigating the Jagged Technological Frontier: Field Experimental Evidence of the Effects of AI on Knowledge Worker Productivity and Quality. Harvard Business School Working Paper No. 24-013. https://www.hbs.edu/ris/Publication%20Files/24-013_d9b45b68-9e74-42d6-a1c6-c72fb70c7282.pdf

Eapen, T. T., Faruquie, T., Mukherjee, A., Nori, H., Ribeiro, M. T., & Shokri, R. (2023). How Generative AI Can Augment Human Creativity. Harvard Business Review. https://hbr.org/2023/07/how-generative-ai-can-augment-human-creativity

Farri, E., & Rosani, G. (2025). How AI Can Help Managers Think Through Problems. Harvard Business Review.

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Farri, E., & Rosani, G. (2025). HBR Guide to Generative AI for Managers. Harvard Business Review Press.

https://store.hbr.org/product/hbr-guide-to-generative-ai-for-managers/10775

 

Geertz, C. (1973). The Interpretation of Cultures. New York: Basic Books. https://web.mit.edu/allanmc/www/geertz.pdf

Glaser, M. (2012). In Search of the Miraculous: Or, One Thing Leads to Another. New York: Overlook Press / Abrams.

Haase, J., & Pokutta, S. (2024). Human–AI Co-Creativity: Synergies Between Human Ingenuity and AI Capabilities. arXiv preprint.

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Merleau-Ponty, M. (1945). Phénoménologie de la perception. Paris: Gallimard.

 

Rockmore, D. (2025, August 9). What it’s like to brainstorm with a bot. The New Yorker. https://www.newyorker.com/culture/the-weekend-essay/what-its-like-to-brainstorm-with-a-b ot

Schön, D. A. (1983). The Reflective Practitioner: How Professionals Think in Action. New York: Basic Books.

https://www.basicbooks.com/titles/donald-a-schon/the-reflective-practitioner/978046506878 4/

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Weick, K. E. (1979). The Social Psychology of Organizing (2nd ed.). Reading, MA: Addison-Wesley.

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