RISORSE UMANE
Filippo Accettella, Stefano Besana
Settembre 2025
In un mondo del lavoro in costante trasformazione, la formazione aziendale è sempre più sotto pressione. Il ritmo incessante dell’innovazione, l’obsolescenza delle competenze e la crescente automazione rendono sempre più complesso mantenere aggiornata la popolazione organizzativa. La formazione continua è diventata, quindi, una necessità dalla quale non si può prescindere. Non si tratta più solo di acquisire una qualifica iniziale, ma di mantenere e aggiornare costantemente le proprie competenze per rimanere competitivi e rilevanti.
Secondo il report Future of Jobs del World Economic Forum, il 44% delle competenze chiave cambierà nei prossimi cinque anni, e sei lavoratori su dieci necessiteranno di formazione entro il 2027; entro il 2025 il 50% dei dipendenti dovrà essere riqualificato, spinto dall’adozione massiva di tecnologie intelligenti. Inoltre, un’indagine condotta da LinkedIn Learning ha rilevato che il 94% dei dipendenti rimarrebbe più a lungo in un’azienda che investe nella loro formazione e sviluppo. Questo dimostra che la formazione continua non solo migliora le competenze, ma aumenta anche la soddisfazione e la fidelizzazione dei dipendenti.
Questo scenario impone una seria riflessione, non più rimandabile, non solo sui contenuti della formazione, ma sul suo stesso modello, ed evidenzia, casomai ce ne fosse bisogno, l’urgenza di un apprendimento continuo, situato, per mantenere la propria occupabilità. I benefici della formazione continua possono essere così sintetizzati:
· Miglioramento delle competenze: la formazione continua permette ai lavoratori di acquisire nuove competenze e aggiornare quelle esistenti, rendendoli più efficaci e produttivi. Ad esempio, l’apprendimento di nuove tecnologie o metodologie può migliorare significativamente le prestazioni lavorative.
· Aumento della competitività: in un mercato del lavoro sempre più competitivo, avere competenze aggiornate può fare la differenza tra ottenere una promozione o rimanere stagnanti. Le aziende cercano costantemente dipendenti che possano portare nuove idee e soluzioni innovative.
· Adattabilità ai cambiamenti: la formazione continua aiuta i lavoratori a rimanere flessibili e pronti ad adattarsi ai cambiamenti del mercato. Questo è particolarmente importante in settori in rapida evoluzione come la tecnologia e la sanità.
· Soddisfazione e motivazione: investire nella propria formazione può aumentare la soddisfazione personale e la motivazione. Sapere di essere aggiornati e competenti nel proprio campo può aumentare la fiducia in sé stessi e la propria autostima.
L’intelligenza artificiale, in questo senso, è destinata a diventare uno snodo strategico per questa trasformazione. Oggi molte aziende già la utilizzano per migliorare la formazione interna: personalizzazione dei contenuti, tutor virtuali, feedback in tempo reale, monitoraggio dei progressi, mappatura in tempo reale delle competenze e pianificazione strategica.
Studi recenti mostrano che le soluzioni basate su IA possono ridurre i tempi di formazione fino al 50% e i costi fino al 30%, sottolineandone – casomai ce ne fosse ancora bisogno – l’enorme potenziale di efficienza e produttività.
Tuttavia, provocatoriamente parlando, possiamo cominciare a chiederci: se avremo sempre in tasca un “oracolo” capace di rispondere a ogni nostra domanda, fugare ogni nostro dubbio, che senso avrà “imparare” nel modo tradizionale? Come rimarremo rilevanti? Come ci distingueremo dallo strumento macchinico? L’IA sfida l’idea stessa di apprendimento come accumulo di conoscenze, lo provoca e ne mostra l’inefficacia, spingendoci verso una formazione orientata alla scelta, al discernimento e all’interrogazione delle risposte in un’ottica riflessiva e metacognitiva. Un apprendimento, insomma, significativo e applicabile. Non basta, quindi, potenziare la formazione con l’IA. Serve prima di tutto pensare a una formazione all’IA. È qui che si gioca la sfida più profonda: non solo “integrare” moduli o chatbot nei percorsi, ma costruire una reale alfabetizzazione cognitiva e critica che prepari le persone a convivere e cooperare con sistemi intelligenti. La formazione all’IA deve possedere – almeno – tre caratteristiche fondamentali:
· Multimodalità e inclusività. I linguaggi, i codici e le modalità devono adattarsi alla pluralità delle competenze digitali delle persone, alle loro paure, ritrosie e alla diversa familiarità tecnologica. Servono percorsi scalabili ma non standardizzati: laboratori esperienziali, giochi di ruolo con l’IA, momenti di riflessione collettiva, casi studio e spiegazioni tecniche. Una pluralità che rende l’apprendimento flessibile, ma strutturato. L’IA può, qui, giocare una funzione di scaffolding che ben si adatta alle sue caratteristiche.
· Riflessività e pensiero critico. Non si tratta solo di “sapere come funziona” l’IA, ma di interrogare i suoi limiti, i bias, le logiche nascoste e gli effetti sulle nostre decisioni. La riflessività, come sottolineato da Schön, è la capacità di pensare su ciò che si pensa. Solo così si evita un uso passivo o strumentale della tecnologia. È un passaggio necessario, per evitare di paragonarsi e di competere con strumenti che saranno in grado di soppiantarci su tutte le caratteristiche cognitive che ci rendono “umani”.
· Dimensione etica e sistemica. Come osserva Simondon, ogni tecnologia non è solo un utensile, ma un mediatore di relazioni: essa configura nuovi spazi di senso e nuovi modi di abitare il mondo. L’IA non è neutra: incarna visioni del mondo, priorità e sistemi valoriali. Ignorarne l’impatto sociale ed epistemologico significa formare al buio.
L’IA, infatti, non è solo uno strumento, ma un vero e proprio dispositivo cognitivo. Estende e modifica la nostra capacità di pensare, selezionare, connettere e decidere. È una “mente estesa” che ci accompagna nel quotidiano, ma che proprio per questo richiede nuove competenze metacognitive. Formare le persone all’IA significa allora formarle a leggere le sue risposte, interpretarne le logiche, contestualizzarne i risultati.
In questo senso, la formazione aziendale ha oggi una doppia responsabilità: da un lato, sfruttare l’IA per essere più efficace e personalizzata; dall’altro, educare all’IA per non trasformare le persone in semplici consumatori di risposte automatiche. Solo un’alleanza tra efficienza e consapevolezza può costruire una cultura formativa all’altezza delle sfide che ci attendono.
IN CONCLUSIONE, l’intelligenza artificiale sta emergendo come un fattore cruciale per il futuro della formazione continua, rivoluzionando il modo in cui le competenze vengono acquisite e aggiornate. Questo cambiamento non è solo tecnologico, ma – come direbbe anche Manuel Castells – anche, e soprattutto, strategico e culturale. Le organizzazioni e i professionisti si trovano di fronte alla necessità di adattarsi rapidamente a un contesto in continua evoluzione, dove l’apprendimento non è più confinato a momenti specifici della carriera, ma diventa un processo continuo e integrato.
In passato i programmi di formazione erano spesso standardizzati, offrendo lo stesso contenuto a tutti i partecipanti, approccio ancora utile in alcuni contesti, ma che non teneva conto delle differenze individuali in termini di conoscenze pregresse, stili di apprendimento e obiettivi professionali. Attraverso l’analisi dei dati raccolti durante le attività di formazione, i sistemi basati su IA possono identificare le competenze già acquisite dai partecipanti e suggerire contenuti personalizzati per colmare eventuali lacune. Questo non solo migliora l’efficacia dell’apprendimento, ma consente anche di ottimizzare i tempi, concentrandosi su ciò che è realmente necessario per ogni individuo. Questo tipo di apprendimento adattivo permette ai partecipanti di affrontare il percorso formativo al proprio ritmo, ricevendo supporto specifico nei momenti di difficoltà.
Un altro ambito di applicazione è la creazione di esperienze immersive che migliorano significativamente l’apprendimento pratico. Questo è particolarmente utile in settori ad alto rischio, come la sanità o l’ingegneria, dove gli errori possono avere conseguenze gravi. Le simulazioni basate su IA permettono di replicare situazioni reali, migliorando la preparazione e la reattività dei partecipanti senza mettere a rischio persone o risorse. Le piattaforme formative basate su IA raccolgono grandi quantità di dati per analizzare il comportamento e le prestazioni degli utenti. È fondamentale che questi dati siano gestiti in modo trasparente e sicuro, rispettando le normative sulla privacy. Inoltre, gli algoritmi utilizzati devono essere progettati per evitare pregiudizi, garantendo che tutti i partecipanti abbiano pari opportunità di successo. In tutto ciò un ruolo fondamentale è il coinvolgimento della leadership aziendale.
L’adozione dell’IA nei programmi formativi non può essere vista come un semplice progetto tecnologico, ma deve essere parte integrante della strategia aziendale. I leader devono essere i primi a comprendere il valore dell’apprendimento continuo e a promuovere una cultura aziendale che lo supporti. L’efficacia dei programmi di formazione deve essere costantemente monitorata e valutata.
In sintesi, l’IA offre strumenti potenti per analizzare i risultati delle attività formative, fornendo insight preziosi che possono essere utilizzati per migliorare continuamente. L’intelligenza artificiale sta trasformando il panorama della formazione continua, offrendo opportunità senza precedenti per migliorare l’apprendimento e lo sviluppo delle competenze. Tuttavia, per sfruttare appieno queste potenzialità, è essenziale adottare un approccio strategico e responsabile.
Filippo Accettella è Head of People Empowerment Enel Italia. Stefano Besana è Partner Deloitte Human Capital, PhD in Psicologia.