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Il mercato delle illusioni tra sogni, branding e realtà economica

Dario Russo

Agosto 2025

Il mercato delle illusioni tra sogni, branding e realtà economica

 

Nell’era della finanza globalizzata e dell’economia digitalizzata, la narrazione ha assunto un ruolo centrale nella creazione di valore percepito. Aziende capaci di costruire una storia affascinante possono raccogliere capitali, attirare talenti e crescere in Borsa ben oltre i propri fondamentali economici. Ma fino a che punto questa “finanza narrativa” – alimentata da influencer, manager, social media e investitori istituzionali – rappresenta una vera creazione di valore? E quando invece diventa una bolla destinata a scoppiare? Questo articolo esplora le radici e le conseguenze di questo fenomeno, attingendo a contributi di economisti, accademici e studiosi internazionali. L’obiettivo è stimolare una riflessione critica sulla sostenibilità di un’economia sempre più dipendente dalle narrazioni e dalle aspettative, più che dai numeri.

Viviamo in un’epoca in cui le valutazioni di mercato delle aziende sembrano sempre più scollegate dai fondamentali economici – fatturato, utili, produzione, innovazione concreta – e invece legate alle narrazioni costruite dalle stesse aziende o dai loro investitori. Questo fenomeno, spesso descritto come “finanza narrativa” o “speculative storytelling”, è stato analizzato da numerosi esperti di economia, finanza e sociologia.

Un esempio emblematico è rappresentato dal divario di capitalizzazione di mercato tra Tesla e BYD: Tesla, con un fatturato inferiore rispetto a BYD, riesce a mantenere una valutazione di mercato multipla grazie alla sua capacità di vendere non solo auto, ma un’intera visione di futuro sostenibile. Non si tratta di un caso isolato. Saleh Alda, in un post su LinkedIn, descrive questo fenomeno come “la fabbrica dei sogni di Wall Street”, sottolineando come i mercati siano sempre più dipendenti da narrazioni piuttosto che da fondamentali economici. Aswath Damodaran sostiene che “una buona storia può gonfiare il prezzo di un’azione più dei fondamentali di bilancio”, evidenziando come la narrativa possa valere più dei numeri. Anche Michael Jensen della Harvard Business School sottolinea come la gestione delle percezioni sia diventata uno strumento di marketing finanziario: le aziende che controllano la narrazione riescono ad attrarre investimenti e attenzione, anche senza risultati concreti.

Questa dinamica si estende a tutti i settori: dalla moda alla tecnologia, dal turismo al food. Jean-Noël Kapferer definisce questo fenomeno “branding egemonico”: la capacità del brand di trasformare il prodotto in simbolo di status. Tesla è l’oggetto di lusso, mentre BYD è la sartoria artigianale. Il prodotto diventa un’esperienza, un’identità, una promessa di futuro.

Quando la finanza diventa un palcoscenico di aspettative, la disconnessione tra storytelling e valore reale diventa pericolosa. Donald MacKenzie dell’Università di Edimburgo, nei suoi studi sulla “performativity” dei mercati finanziari, evidenzia come le teorie economiche – e quindi anche le narrazioni – non descrivano soltanto la realtà, ma la creino, generando effetti concreti sui comportamenti di investitori e aziende.

Robert Shiller (Premio Nobel di Yale) aggiunge che le bolle speculative nascono da una psicologia collettiva di euforia e dall’illusione di partecipare a un cambiamento epocale. Le aspettative autoalimentate portano a valutazioni irrazionali, finché la realtà non bussa alla porta.

Questo ciclo di storytelling genera non solo investitori più ingenui, ma anche consumatori disposti a pagare premi per il brand, convinti che l’acquisto sia la chiave per appartenere a una “nuova era”. Zeynep Ton della MIT Sloan School of Management, studiando la grande distribuzione, ha dimostrato come spesso la percezione di un marchio influisca più dei reali indicatori di performance, alimentando margini di profitto basati su emozioni più che su qualità reale.

Anche i consigli di amministrazione si fanno sedurre dalla narrativa, scambiando la crescita del valore in Borsa per prova di superiorità manageriale. Ma come ricorda Damodaran, “non basta raccontare storie: servono anche i numeri”.

Un altro aspetto cruciale è il ruolo della regolamentazione. Secondo Raghuram Rajan della University of Chicago, la deregolamentazione dei mercati finanziari e l’eccessiva fiducia nella “mano invisibile” hanno contribuito a creare le condizioni per un’economia iper-narrativa e instabile. Una regolamentazione più attenta ai fondamentali e meno permissiva verso operazioni speculative potrebbe aiutare a riportare il mercato verso un equilibrio più sano.

Anche Joseph Stiglitz (Premio Nobel della Columbia University) denuncia da anni come la finanza, quando mal regolamentata, rischi di distorcere l’allocazione del capitale, privilegiando le narrazioni accattivanti rispetto alla produttività reale.

La storia economica è piena di bolle speculative: dai tulipani olandesi alle DotCom, fino ai subprime. Ogni volta, la logica è la stessa: un sogno collettivo alimentato dalla paura di restare indietro e dalla suggestione di partecipare al “prossimo grande cambiamento”. Poi, inevitabilmente, arriva la realtà. Shiller ricorda che “le bolle si alimentano con le parole, ma si sgonfiano con i numeri”.

Il valore reale – quello che costruisce aziende solide e un’economia resiliente – non ha bisogno di TED Talks né di influencer. Mariana Mazzucato della University College London insiste sul fatto che “la vera innovazione nasce dalla combinazione di ricerca, sviluppo, competenze e collaborazione tra pubblico e privato”. È il valore che si manifesta nelle filiere produttive, nelle supply chain, nei bilanci sostenibili, nei margini operativi.

Un’azienda sana è quella che genera margini coerenti, reinveste in innovazione, sviluppa prodotti che funzionano e soddisfa i clienti reali. Solo così si crea un’economia capace di reggere agli shock e alle correzioni.

Ma c’è anche un tema educativo. La finanza narrativa prospera dove manca la cultura economica. Secondo Annamaria Lusardi della Stanford University, l’educazione finanziaria è la chiave per immunizzare investitori e cittadini dalle illusioni di guadagni facili. Consumatori più consapevoli e investitori più informati sono meno propensi a farsi sedurre da bolle e narrazioni prive di sostanza.

La domanda cruciale è sempre la stessa: “La prossima volta che vedi una valutazione da un miliardo di dollari su un’azienda senza utili, stai comprando un’azienda o solo un sogno?” È una domanda per investitori istituzionali, risparmiatori, manager e regolatori.

In un’economia sempre più finanziarizzata, non possiamo vivere solo di storytelling. Prima o poi i conti tornano.

Per costruire un’economia sana, dobbiamo ridare centralità alla creazione di valore reale, alla regolamentazione efficace e alla cultura economica diffusa. Dobbiamo incentivare politiche che premiano la produttività sostenibile, la trasparenza e l’innovazione concreta, come suggerito da Stiglitz. E dobbiamo educare investitori e cittadini a distinguere la narrativa dall’economia reale, per evitare che il mercato delle illusioni si trasformi nell’ennesima bolla.

Perché, come ammoniscono gli studiosi più autorevoli, ogni bolla ha il suo ago. E un’economia sana è quella che riesce a trasformare i sogni in realtà – senza mai smettere di guardare in faccia il mondo reale.

 

Dario Russo è consulente strategico in innovazione digitale, organizzazione e finanza. Co-fondatore di RG3 Digital Consulting, ha ricoperto incarichi dirigenziali presso la Banca d’Italia, dove ha guidato per anni la Direzione Regolamento Operazioni Finanziarie e Pagamenti. Esperto di trasformazione digitale e competenze emergenti, ha collaborato con università, enti regolatori e imprese, progettando modelli per l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei contesti pubblici e privati. È consulente della Banca Mondiale e della Banca Africana di Sviluppo. Ha già pubblicato diversi articoli per Harvard Business Review Italia.

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