INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Questo articolo prosegue la serie di riflessioni avviate dall’articolo di Enrico Sassoon sull’IA senziente e proseguite con gli interventi di Cosimo Accoto, Luciano Floridi, Rosario Sica, Hamilton Mann, Luca De Biase, Joseph Sassoon e Paolo Cervini.
Andrea Granelli
Giugno 2025
L’intelligenza artificiale, come molte forme tecnologiche avanzate, è un pharmakon. Il concetto, molto utilizzato nell’Antica Grecia per indicare elementi potenti e complessi, ha progressivamente perso presa fino a diventare quasi dimenticato dall’attuale cultura contemporanea, sempre più adorante la tecnologia e alla ricerca della massima semplificazione anche concettuale – less is more.
Per questo motivo le parole polisemiche – pensiamo anche a techne, hostis … – infastidiscono l’uomo contemporaneo per la loro ambiguità nativa. Ritengo, invece, che il concetto di pharmakon – che indica sia il farmaco che il veleno – sia particolarmente adatto per descrivere e meglio comprendere le nuove forme del digitale.
Questa dimensione gianica del digitale è ovviamente nota da tempo. Mi torna in mente un’affermazione fatta da Klaus Schwab, il potente e influente fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, nel 2018: «la tecnologia è allo stesso tempo l’agente disgregatore e la forza motrice del progresso».
Ma il digitale non è solo apparentemente contraddittorio, è anche potentemente inquietante, perfino spiazzante. Può essere utile, allora, per cogliere le molteplici forme e dimensioni del digitale, integrare la nostra comprensione con un altro concetto che ci viene questa volta dalla psicoanalisi, e in particolare dall'ultimo Freud: il concetto di perturbante.
Una breve riflessione sulla scelta di questa parola: nel celebre saggio Das Unheimliche, Freud introdusse questo termine specificando che era difficilmente traducibile, rimandando al testo che lo aveva ispirato. Letteralmente potremmo tradurlo il “non di casa”… qualcosa di familiare, di domestico… che è ANCHE terrificante e spaventevole, qualcosa che ci terrorizza ma ci attrae anche, una sorta di sublime. Vi è naturalmente un forte richiamo al sublime efficacemente illustrato da Kaspar David Friedrich e analizzato da Kant (soprattutto quello che il filosofo tedesco chiama “dinamico”), ma questo concetto è più visceralmente psicologico e ci aiuta a meglio comprendere e prevedere le nostre possibili reazioni nei confronti di una tecnica sempre più potente e seducente.
Il perturbante nasce dalla constatazione di Freud che amore e morte figurano non come dualismo di forze antagoniste ma come intreccio irresolubile: la pulsione di vita è, insieme e indissolubilmente, anche pulsione di morte. La vita psichica rivela la sua ambivalenza, per la presenza di principi non contrapposti (dualismo) ma co-esistenti (duplicità). I concetti di specchio, di sosia, di zombie – e più in generale la difficoltà di capire se un oggetto è vivente o inanimato – attivano e alimentano il perturbante. È in questo ambito che agisce la “pareidolia semantica” richiamata da Floridi nella sua riflessione, anch’essa originata dall’articolo di Enrico Sassoon.
Ma questo è esattamente il digitale, sempre “inesorabilmente” duplice, che determina in chi lo usa (o anche lo studia) un profondo turbamento originato dalla continua alternanza di familiarità amichevole e alterità terrorizzante.
E questa alternanza genera due emozioni fortemente polarizzate che abitano la Rete: onnipotenza e paranoia.
Oltretutto l’inquietudine del perturbante deriva non solo dallo scoprire la dimensione terrificante di un oggetto, ma anche dal fatto che ciò che sembrava non appartenere alla "casa", in realtà proprio da essa proviene. Questo aspetto si collega con l’autoproduzione, tipica del mondo digitale. Siamo noi che possiamo anche produrre cose terrificanti.
D’altra parte, è indubbio il potere fascinoso della creazione infinita delle piattaforme generative, anche se si limitano a ricombinare oggetti noti. La stessa vita – nelle sue infinite forme – nasce ricombinando un ristretto numero di mattoni biologici. Lo dice bene Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane, riflettendo sulla “molteplicità”: «Il miracolo di una poetica, apparentemente artificiosa e meccanica, che tuttavia può dare come risultato una libertà e una ricchezza inventiva inesauribile».
Questa mirabile potenza creativa era stata studiata a fondo e praticata già qualche secolo fa dal padre dell’arte combinatoria – il teologo e filosofo catalano Raimondo Lullo (1235-1315) – nella sua Ars magna: servendosi anche di schemi e figure, egli riteneva di poter collegare, in una sorta di logica meccanica, i concetti fondamentali in modo di acquisire verità in ogni campo del sapere, esattamente come la ricombinazione di pochi amminoacidi rende possibile tutte le forme note del creato. Concetto ripreso da Jorge Luis Borges nella sua Biblioteca di Babele…
Un ulteriore collegamento a questa dimensione perturbante si ha nelle nuove estetiche nate nella Rete che riflettono sul fatto che spesso è colpa nostra se, pur navigando in ambienti conosciuti e sicuri, entriamo inavvertitamente nelle backdoor, e finiamo nelle trappole digitali o nel mondo inquietante del dark web.
È il mondo delle Backrooms, le «stanze sul retro»; luoghi misteriosi e inquietanti nati nei videogiochi ma che oggi popolano la Rete e in cui rischiamo di finire semplicemente premendo il link sbagliato. Veri e propri buchi neri che ci portano fuori dalla realtà intrappolandoci. Non si tratta solo di finzione: spesso l’ingresso in questi luoghi virtuali determina l’attivazione di programmi e virus che si installano nel nostro PC prendendone il controllo e – spesso – allungando quell’esperienza appena vissuta anche in uno spazio domestico e familiare (il nostro PC)!
La natura di pharmakon del digitale orienta anche il focus delle riflessioni etiche dall’oggetto al soggetto. Il tema non è tanto stabilire se un determinato oggetto è buono o cattivo, quanto piuttosto porsi la questione di come usare bene un oggetto. Come ci ricorda Paul Goodman, «dipenda o no dalla nuova ricerca scientifica, la tecnologia è un ramo della filosofia morale, non della scienza», perché ha intimamente a che fare con il nostro agire.
Questa domanda, infine, ci porta a sua volta in modo quasi ricorsivo a porci quella che, secondo me, è la vera questione dell’IA … e del digitale di cui l’IA è parte costitutiva e neanche la più rilevante: quali competenze, attitudini e valori ci servono per abitare questo mondo sempre più digitalizzato e come le fabbrichiamo?
Competenze, attitudini e valori sia per chi decide e somministra il farmaco (i decisori e amministratori) sia per chi lo assume (gli utenti).
E allora emerge con chiarezza il fatto che non si tratta solo di competenze tecniche, ma soprattutto umanistiche: pensiero critico, competenze psicologico-neuroscientifiche, abilità retorico-linguistiche. Meno Python e più Trattato dell’argomentazione.
Si tratta di sviluppare quegli anticorpi culturali già evocati in questa riflessione a più mani. Ma come si fabbricano? Come si rafforza il pensiero critico del digitale? MI ricordo quando scrissi la prima edizione de “il lato oscuro del digitale” nel 2013… quante sospettosità e polemiche, come se volessi fare l’apocalittico dopo aver praticato il mondo digitale da integrato; una sorta di traditore del progresso.
Va quindi rifondata una pedagogia adatta all’epoca dell’intelligenza artificiale, sensibile allo Spirito del Tempo ma fondata su basi solide, quelle che hanno accompagnato il genere umano nel suo sviluppo, positiva e costruttiva ma sempre in compagnia del dubbio cartesiano. Anche perché, come ci ricorda uno dei protogesuiti (Juan Bonifacio sj), Puerilis institutio est renovatio mundi, senza la formazione della futura classe dirigente non si trasforma il mondo, non lo si guida ma si viene guidati. Oggi servono leader e non follower.
Ripartiamo dunque dalla formazione, soprattutto quella umanistica.
Andrea Granelli, appassionato di leadership, sviluppo del talento e innovazione, si occupa spesso dei rapporti fra nuove tecnologie e scienze umane e combatte i lati oscuri del digitale. È stato in McKinsey, CEO di tin.it e dei laboratori di R&D del gruppo Telecom, direttore scientifico della scuola internazionale di design Domus Academy, presidente dell’archivio storico Olivetti e nel Consiglio del WWF. Ha fondato la società di consulenza Kanso, dove svolge assiduamente attività di mentorship, e contribuito alla nascita della fondazione Venture Thinking.