INNOVAZIONE

IA e competenze: navigare il paradosso tra potenziamento e perdita di expertise

Francesco Bolici

Giugno 2025

IA e competenze: navigare il paradosso tra potenziamento e perdita di expertise

 

L’intelligenza artificiale (IA) promette alle aziende una rapida accelerazione della produttività e una significativa riduzione dei costi. Secondo lo Stanford Human-Centered AI Institute, il tasso di adozione dell’IA nelle aziende è passato dal 55% nel 2023 al 78% nel 2024, con investimenti privati nell’IA generativa che sfiorano i 34 miliardi di dollari a livello globale (+19% sul 2023). L’adozione massiva di questa tecnologia non è, però, priva di rischi, specialmente per lo sviluppo sostenibile delle competenze interne.

Si delinea un paradosso manageriale: l’IA consente di colmare rapidamente il gap di performance tra lavoratori principianti ed esperti (performance-leveling effect) ma rischia di compromettere i meccanismi naturali di apprendimento e crescita delle competenze (deskilling). Questo trade-off pone i manager di fronte a dilemmi decisionali complessi. I principianti possono beneficiare dell’IA, raggiungendo rapidamente livelli di performance elevati, senza passare per il consolidamento delle basi teoriche e pratiche del mestiere. Gli esperti, al contrario, possono potenziare le proprie capacità, ma devono vigilare per non perdere gradualmente le proprie competenze distintive affidandosi eccessivamente a tali strumenti.

Goldman Sachs ha introdotto il “GS AI Assistant”, utilizzato da circa 10.000 dipendenti per attività come redazione di documenti e analisi finanziarie. Mentre ciò ha prodotto un immediato aumento della produttività, la banca deve ora affrontare il compito di garantire che le competenze distintive dei suoi analisti non vengano indebolite nel lungo periodo dall’uso massiccio di supporti automatici.

Per navigare efficacemente in questo contesto, i manager devono promuovere lo sviluppo di competenze specifiche: capacità analitiche per identificare e comprendere gli elementi chiave di un problema; abilità nel formulare richieste precise per ottenere risposte utili dall’IA (prompting efficace); capacità di valutare e raffinare gli output dell’IA (interpretazione critica); competenze nella gestione dei rischi associati all’IA, come errori, bias e allucinazioni.

Un segnale di questa crescente consapevolezza arriva da Uber, dove il CEO ha sottolineato la necessità di diffondere competenze legate all’IA in tutta l’organizzazione. Non si tratta solo di saper usare gli strumenti, ma di comprenderne a fondo logiche, limiti e potenzialità (alfabetizzazione dell’IA). In quest’ottica, Uber ha avviato programmi di formazione per trasformare l’IA da tecnologia accessoria a leva di crescita consapevole, promuovendo una capacità critica che permetta ai dipendenti di interagire con l’IA in modo efficace e sostenibile. Un approccio che punta a ridurre il rischio di deskilling e ad ancorare i guadagni di produttività a una base solida di competenze evolutive.

Per affrontare efficacemente tali trade-off, è essenziale sviluppare euristiche decisionali che guidino i manager attraverso territori poco esplorati. Un primo passo è la valutazione sistematica delle attività candidate all’automazione tramite IA, analizzando variabili come il grado di analizzabilità dell’attività, la varietà dei casi, il livello di informazioni disponibili per l’addestramento dell’IA e il rischio di errori nelle risposte automatizzate. Tale assessment permette di calibrare meglio l’introduzione dell’IA, bilanciando i vantaggi immediati con i rischi di lungo periodo.

Inoltre, non basta analizzare singole attività isolate. Un errore comune è trattare le attività come mattoncini modulari, facilmente sostituibili uno ad uno con soluzioni tecnologiche. In realtà, nelle organizzazioni, ogni attività è parte di un processo dinamico, in cui molteplici componenti interagiscono continuamente. L’introduzione dell’IA deve essere valutata in una prospettiva di processo più ampia, considerando gli effetti sistemici e non solo gli impatti puntuali.

In conclusione, l’integrazione dell’IA rappresenta per i manager non solo un’opportunità di crescita immediata, ma soprattutto una sfida strategica a lungo termine. Le organizzazioni vincenti non saranno quelle che semplicemente adotteranno più rapidamente l’IA, ma quelle capaci di anticipare i suoi effetti sulle competenze interne, di governare con efficacia il bilanciamento tra automazione e sviluppo umano e di cogliere opportunità emergenti attraverso un’attenta analisi dei processi organizzativi nel loro insieme. È in questa capacità di gestione anticipatoria e strategica che si giocherà il vero vantaggio competitivo nel prossimo futuro.

 

Francesco Bolici è professore di Organizzazione Aziendale e direttore di OrgLab (Università di Cassino). Studia come l’IA e le tecnologie digitali trasformano lavoro, collaborazione e coordinamento nelle organizzazioni, con un approccio che intreccia teoria organizzativa, sistemi informativi e scienze sociali. Ha pubblicato numerosi contributi su future of work, design organizzativo e modelli di business digitali.

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Commenti all'articolo

  • Vinz74

    09 Giugno 2025 - 22:09

    Bella l’idea che l’adozione dell’IA vada vista in chiave sistemica. Troppo spesso si testa a caso, senza pensare agli effetti che si accumulano e diventano irreversibili. Ma ha senso continuare così? E chi dovrebbe pensarci per tempo: i manager, le HR o serve un altro modo di governare questa transizione?

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  • Vinz74

    09 Giugno 2025 - 22:08

    Bella l’idea che l’adozione dell’IA vada vista in chiave sistemica. Troppo spesso si testa a caso, senza pensare agli effetti che si accumulano e diventano irreversibili. Ma ha senso continuare così? E chi dovrebbe pensarci per tempo: i manager, le HR o serve un altro modo di governare questa transizione?

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