ECONOMIA & SOCIETÀ
Philipp Carlsson-Szlezak, Paul Swartz, Martin Reeves
Marzo 2025
Klaus Vedfelt/Getty Images
Il calo del sentiment dei consumatori, l’instabilità dei mercati finanziari e una serie di deludenti dati macroeconomici stanno alimentando i timori di una recessione negli Stati Uniti. Persino il presidente Trump, pur dicendo che “detesta fare previsioni del genere”, non ha smentito quando Maria Bartiromo di Fox News gli ha chiesto se si aspetta una recessione quest’anno.
Al momento non ci sono prove che i fondamentali dell’economia statunitense siano peggiorati improvvisamente nelle otto settimane da quando il presidente Trump ha preso le redini. Ciò che è cambiato è l’introduzione di un’incertezza deliberata connessa ai cambiamenti politici come strategia politica. “Non voglio che la gente sappia esattamente cosa sto facendo o pensando”, ha scritto una volta Trump. “Mi piace essere imprevedibile”.
Tutto ciò significa che i leader di oggi operano in un panorama in cui i rischi sono in aumento e la visibilità in calo. L’incertezza deliberata di Trump ha aggiunto nuovi rischi, ma la prospettiva di fine dell’attuale fase di espansione economica non è così netta come l’attuale dibattito pubblico ama dipingerla.
I rischi sono in aumento, ma non decretiamo ancora la fine dell’economia
I dazi, quando arriveranno, dove arriveranno, quanto saranno e fino a che punto rimarranno o aumenteranno rappresentano un rischio considerevole per l’economia statunitense. Sono una tassa sui produttori stranieri che aggiunge alle importazioni costi che nella maggior parte dei casi si ripercuoteranno sui prezzi al consumo.
L’incertezza sulla portata e la durata dei dazi ha sollevato la questione di una nuova inflazione. I dazi che Trump ha introdotto nel 2018 hanno rappresentato una variazione una tantum dei livelli dei prezzi in un momento di bassa inflazione. Oggi, anche un dazio una tantum determina un aumento dei prezzi indesiderato e ripetuti aumenti spingerebbero la crescita dei prezzi per periodi più lunghi.
Ma per coloro che si affrettano ad annunciare il collasso economico, potrebbe essere saggio considerare la recente serie di falsi allarmi, che hanno vaticinato l’arrivo di una “inevitabile” recessione nel 2022, 2023 e 2024, come abbiamo segnalato in precedenti articoli di HBR. Queste previsioni di recessione sono state spesso fondate sui comportamenti attesi dei consumatori che sarebbero arrivati a limitare la spesa per timore dell’inflazione. (Non è stato così). I consumatori avrebbero esaurito i risparmi e le disponibilità accumulati nel periodo della pandemia. (Non è stato così). E i tassi d’interesse più elevati avrebbero innescato un’ondata di fallimenti e insolvenze delle carte di credito. (Non è successo nulla di più del normale).
Uno sguardo equilibrato ai fondamentali dei consumi suggerisce che, sebbene i rischi siano in aumento, la recessione rimane un ostacolo relativamente alto. È opportuno ridurre le attese relative alla crescita economica, ma non dare per scontato che una recessione sia inevitabile. Il mercato del lavoro in buona salute è la pietra angolare dell’attuale espansione e le assunzioni continuano a crescere in un mercato del lavoro limitato. Questo ha mantenuto forte la crescita dei salari e si è tradotto in un aumento dei salari reali dato che l’inflazione è diminuita.
Di conseguenza, i consumi sono cresciuti di 2,2 trilioni di dollari rispetto ai livelli del 2019, raggiungendo i 16,3 trilioni di dollari, in termini corretti per l’inflazione. Le aziende hanno pagato salari più alti senza intaccare i margini e i profitti, ma grazie alla crescita della produttività: anche se non abbiamo ancora registrato i mirabolanti aumenti di produttività promessi dall’IA, abbiamo visto innumerevoli variazioni che hanno portato a progressi nella produzione, nelle operazioni e nell’amministrazione, a volte con l’aiuto dell’IA stessa. Questo non significa che una recessione sia improbabile, ma suggerisce che la base di partenza è che l’espansione continua.
Non solo dazi
Il probabile vento contrario dei dazi deve essere visto anche nel contesto di altre misure di policy in grado di alleviare il peso imposto ai consumatori. I dazi ridurrebbero i consumi, ma dei tagli fiscali avrebbero l’effetto opposto. Da notare che il prolungamento dei tagli fiscali del Tax Cuts and Job Act (TCJA) del 2017 non avrebbe un impatto incrementale perché sarebbe un’estensione basata sulle attuali aliquote. Ma altre proposte, come l’esenzione dalle tasse di mance, reddito da previdenza sociale e straordinari, potrebbero compensare in parte, in gran parte o del tutto i danni causati dai dazi.
Una componente favorevole a cui famiglie, aziende e investitori si sono abituati negli anni 2010 sarà tuttavia meno presente: la Federal Reserve. Negli anni 2010, è stato facile per i responsabili della politica monetaria correre in soccorso a un ciclo vacillante tagliando i tassi in modo preventivo. Il cosiddetto “Fed put”, ovvero la prospettiva che la Federal Reserve avrebbe allentato la sua politica ogni volta che i mercati fossero scesi in modo sostanziale, era gratuito perché l’inflazione era molto bassa, forse anche troppo. Con l’inflazione ancora chiaramente al di sopra dell’obiettivo del 2%, ora non c’è più il lusso di un Fed put gratuito.
Nel complesso, sebbene la recessione non sia ancora da ritenersi scontata, i rischi sono aumentati e la visibilità ridotta. Dazi del 25% su Canada e Messico e un ulteriore 20% sulla Cina potrebbero aggiungere oltre 100 punti base all’inflazione e sottrarre forse 80 punti base alla crescita: un serio ostacolo, ma non necessariamente recessivo di per sé. Le tariffe globali sull’acciaio e sull’alluminio, i dazi reciproci e un’ulteriore escalation aumenterebbero questi effetti, mentre le esclusioni (come quelle sull’energia canadese), i rinvii (come quelli per le case automobilistiche) o i rollback (come quelli riguardanti le merci nell’ambito dell’accordo USA-Messico-Canada) hanno tutte il potenziale per diminuire l’impatto. Allo stesso modo, gli sgravi fiscali potrebbero aiutare i consumatori in modo graduale (estendendo il TCJA) o in modo sostanziale eliminando le tasse sulle mance o sulla previdenza sociale, o aumentando il tetto di deduzione SALT (tasse statali e locali), fornendo un impulso favorevole alla crescita.
Raramente ci sono stati così tanti elementi in movimento con così poca visibilità. Come possono i leader gestire questo ambiente di deliberata incertezza politica?
Affrontare una deliberata incertezza richiede scelte strategiche
Gli economisti spesso ritengono che una “pausa” degli investimenti (da parte delle aziende) e dei consumi (da parte dei consumatori) sia la risposta naturale all’incertezza. In effetti, a volte viene descritta come un’attenuazione della spinta economica e quindi un indebolimento del ciclo.
Questo non corrisponde esattamente ai fatti: la risposta è più complessa. Si pensi all’aumento delle importazioni per accumulare scorte prima che le tariffe aumentino o a un consumatore che anticipa un acquisto per evitare prezzi più alti o alla corsa dei produttori per trovare nuovi fornitori e iniziare a rendere flessibile la loro produzione. L’azione evasiva è l’opposto della pausa.
Quando si ha a che fare con uno shock una tantum, potrebbe avere senso fare una pausa. Ma se l’incertezza politica è strategica, superare la tempesta non può essere la strategia di base. Una questione apparentemente risolta può essere ribaltata o aggravata. Oppure i leader possono essere costretti a confrontarsi con un’area di incertezza completamente diversa.
Ciò che stiamo vedendo in risposta all’incertezza deliberata è un passaggio alla “opzionalità strategica”. Come minimo, questo approccio richiede di investire in una seria preparazione, ad esempio ideando piani di approvvigionamento alternativi, accumulando maggiori scorte e creando riserve finanziarie.
Prepararsi è un inizio, ma non è sufficiente. Adattarsi a un mondo di incertezza deliberata può comportare un ripensamento del mix di prodotti, del design e del marketing. Tutto questo può essere fatto se la catena del valore viene ripensata in modo proattivo. Sviluppare le capacità per affrontare l’incertezza a costi ragionevoli e trovare opportunità nell’incertezza può persino diventare una nuova fonte di vantaggio competitivo.
Poiché gli approcci esistenti sono messi in discussione, le aziende dovrebbero sforzarsi di creare più opzioni che possano migliorare la loro capacità di operare all’interno di una varietà di risultati politici. L’incertezza istituzionalizzata deve essere affrontata con opzioni istituzionalizzate.
Immaginate le sfide per qualsiasi settore competitivo con catene di fornitura e operazioni globali (pensate a pneumatici, macchinari, mobili e così via). Alcune aziende con una modesta impronta produttiva negli Stati Uniti stanno attivamente esplorando (cioè cercando terreni e sedi per le fabbriche) e anticipando un processo che richiederà anni per essere realizzato. Questo potrebbe favorire gli investimenti, ma probabilmente aumenterà i prezzi dei pneumatici e peggiorerà la situazione dei consumatori. Altre opzioni potrebbero essere uscire dal mercato statunitense e cercare di aumentare le quote di mercato in aree geografiche in cui le tariffe di ritorsione potrebbero creare opportunità, oppure transazioni strategiche, come le fusioni e acquisizioni, per adeguare le catene del valore globali. O ancora più radicalmente, le aziende potrebbero anche ripensare il prodotto e il processo di produzione stesso per renderlo più modulare, localizzato e flessibile. Per alcuni questo non sarà possibile, ma coloro che sapranno esercitare in modo creativo l’opzionalità si troveranno in una posizione di vantaggio.
Il costo dell’opzionalità ora vale più spesso la pena
Gli economisti hanno un detto: “l’opzionalità ha un valore”. Il rovescio della medaglia è che spesso, se non sempre, ha un costo. Man mano che il valore dell’opzionalità strategica aumenta, le aziende dovrebbero diventare più disposte a pagare quel costo. L’azienda che riesce a integrare l’opzionalità strategica nel modo più efficace ha maggiori probabilità di trovare un modo per prosperare.
Affrontare l’incertezza deliberata comporterà un aumento dei costi a livello di sistema, indipendentemente dagli esiti recessivi, e un declassamento del potenziale economico e dei redditi. Man mano che le aziende passeranno dalla ricerca dell’efficienza all’opzionalità, produrranno di meno.
Ma le nuove sfide portano nuove opportunità. Col tempo, la capacità di creare opzioni a basso costo costituirà il nuovo piano competitivo che determinerà vincitori e vinti. Chi riesce a essere più acuto nel valutare dove assumersi dei rischi (ad esempio, contratti a prezzo fisso) e chi è meglio posizionato per trasferire i rischi (ad esempio, prezzi dinamici, prodotti o input sostitutivi)? Tutto questo avrà più importanza in un mondo più incerto e volatile.
Nell’operare in questo nuovo mondo di deliberata incertezza, i leader dovrebbero tenere a mente alcuni punti:
Abbracciare l’opzionalità. Riconoscere che, in un mondo più incerto, ciò che prima non valeva il prezzo ora lo vale.
L’impatto della politica e delle politiche sulle imprese non è una novità. I leader aziendali sanno che le normative sono importanti e da secoli contribuiscono a elaborarle. E le condizioni vigenti tra politici e leader aziendali vanno e vengono.
Ciò che è diverso oggi è l’incertezza deliberata che, nelle ultime settimane, ha raggiunto volumi e ritmi eccezionalmente elevati, che offusca la visibilità economica e rende più difficile la programmazione aziendale. La strategia di base non può essere quella di fermarsi, ma di andare avanti con un occhio attento alle opzioni.
Philipp Carlsson-Szlezak è amministratore delegato e partner dell’ufficio di New York di BCG e capo economista globale dell’azienda. È coautore di Shocks, Crises, and False Alarms: How to Assess True Macroeconomic Risk (Harvard Business Review Press, 2024). Paul Swartz è direttore esecutivo ed economista senior del BCG Henderson Institute, con sede presso l’ufficio di New York di BCG. È coautore di Shocks, Crises, and False Alarms: How to Assess True Macroeconomic Risk (Harvard Business Review Press, 2024). Martin Reeves è presidente del BCG Henderson Institute del Boston Consulting Group. È coautore, con Jack Fuller, di The Imagination Machine (Harvard Business Review Press, 2021) e coautore, con Bob Goodson, di Like: The Button That Changed the World (Harvard Business Review Press, aprile 2025).