SELF MANAGEMENT
Amy Gallo
Luglio 2025
Anton Vierietin/Getty Images
Siete dei buoni ascoltatori al lavoro? Potreste pensare di esserlo perché, quando qualcuno vi parla, non vi distraete, restate in silenzio e date segni di assenso. Siete anche in grado di ripetere i punti principali del vostro interlocutore per dimostrare di averlo ascoltato e compreso. Sono tutte cose intelligenti da fare, ma possono comunque far sentire l’interlocutore non ascoltato o addirittura respinto.
Un ascolto attivo implica la padronanza di tutta una serie di altre abilità: dall’imparare a leggere gli indizi più sottili al controllare la propria reazione emotiva. Richiede sia empatia che consapevolezza di sé.
In questo articolo vi spiegherò le vere caratteristiche dell’ascolto attivo e in che modo migliorare questa abilità comunicativa essenziale.
CHE COS’È L’ASCOLTO ATTIVO?
L’ascolto attivo è quando non solo si ascolta ciò che qualcuno dice, ma ci si sintonizza anche con i suoi pensieri e sentimenti. Trasforma la conversazione in un’interazione attiva, non competitiva e bidirezionale.
Robin Abrahams e Boris Groysberg della Harvard Business School descrivono i tre aspetti che caratterizzano l’ascolto attivo: cognitivo, emotivo e comportamentale. Ecco come definiscono ogni aspetto nel loro articolo “Come diventare un ascoltatore migliore”:
-Cognitivo: prestare attenzione a tutte le informazioni, sia esplicite che implicite, che si ricevono dall’interlocutore, comprenderle e integrarle.
-Emotivo: mantenere un atteggiamento calmo ed empatico durante la conversazione, controllando anche eventuali reazioni emotive come fastidio e noia.
-Comportamento: trasmettere interesse e comprensione in modalità verbale e non verbale.
Scrivono poi: “Diventare bravi nell’ascolto attivo è uno sforzo che dura tutta la vita. Tuttavia, anche piccoli miglioramenti possono fare una grande differenza nell’efficacia dell’ascolto”.
Anche questa metafora dei consulenti di leadership Jack Zenger e Joseph Folkman può essere utile per capire cos’è l’ascolto attivo: “Non sei una spugna che assorbe semplicemente le informazioni. Pensa piuttosto a te stesso come a un trampolino che dà ai pensieri dell’oratore energia, accelerazione, altezza e amplificazione”, scrivono. Ecco come diventare un cosiddetto “ascoltatore trampolino”.
COME PRATICARE L’ASCOLTO ATTIVO
Una delle idee sbagliate su questa soft skill è che ci sia un solo modo di farlo: o si ascolta o non si ascolta. Ma, come scrivono gli autori Rebecca Minehart, Benjamin Symon e Laura Rock, esistono diversi stili che bisogna saper alternare a seconda delle esigenze dell’interlocutore.
Innanzitutto, è importante riflettere e chiedersi: “Come ascolto di solito?”.
Minehart e i suoi coautori, nel loro lavoro in ambito sanitario, hanno osservato quattro stili di ascolto distinti:
- Un ascoltatore orientato al compito si concentra sull’efficienza e modella la conversazione sul trasferimento di informazioni importanti.
- Un ascoltatore analitico mira ad analizzare un problema da un punto di partenza neutrale.
- Un ascoltatore relazionale cerca di creare un legame e di capire e rispondere alle emozioni che stanno alla base di un messaggio.
- Un ascoltatore critico giudica in genere sia il contenuto della conversazione sia l’interlocutore stesso.
È probabile che per abitudine, nella maggior parte delle situazioni finiate per scegliere una di queste modalità. E va bene così. La chiave è essere consci di quale modalità si utilizza di solito. Essere coscienti del vostro stile predefinito può aiutarvi a scegliere consapevolmente e deliberatamente se utilizzare quello stile o scegliere una modalità diversa, più adatta alla situazione specifica.
Per determinare il modo migliore di ascoltare in una particolare conversazione, ponetevi queste domande:
Perché ho bisogno di ascoltare in questo momento?
Riflettere sugli obiettivi di ogni particolare conversazione – sia su ciò che si vuole sia su ciò di cui l’altra persona ha bisogno – può aiutare a determinare il modo migliore di ascoltare in quel frangente. Potreste rendervi conto che una modalità diversa (o una combinazione di modalità) sarebbe migliore. Un familiare ha bisogno di sostegno emotivo o un collega spera in una critica onesta? Praticare l’empatia per pensare a ciò di cui l’altra persona potrebbe avere bisogno dalla vostra conversazione può fornire indizi su come ascoltare al meglio in quel particolare momento.
CHI È AL CENTRO DELL’ATTENZIONE NELLA CONVERSAZIONE?
Condividere le proprie storie personali può aiutare a stabilire connessioni e convalide, ma è importante evitare di allontanare la conversazione dall’interlocutore per evitare che si senta poco ascoltato o respinto. Troppo spesso ci impediamo di essere davvero in grado di ascoltare profondamente a causa delle nostre insicurezze o dei nostri pensieri, come il disagio emotivo o la preoccupazione di sembrare sicuri o preparati agli occhi dell’interlocutore. Con la pratica, mettere a tacere il monologo interno lascerà più spazio per ascoltare ciò che l’altra persona sta effettivamente dicendo.
PERCHÉ PARLO?
Sebbene tutti noi a volte iniziamo a provare la nostra risposta mentre l’altro sta parlando, questo è controproducente per una comunicazione efficace. Questa domanda ci ricorda di ascoltare senza un ordine del giorno, in modo da poter elaborare ciò che l’altro sta dicendo. Ricordate a voi stessi che potrete formulare i vostri pensieri una volta che avrete ascoltato appieno ciò che l’interlocutore ha da dire.
Allo stesso tempo, non bisogna farsi distrarre dal tentativo di essere presenti. Come scrivono Abrahams e Groysberg, “il contatto visivo, una postura attenta, cenni e altri segnali non verbali sono importanti, ma è difficile prestare attenzione alle parole di qualcuno quando si è impegnati a stabilire un contatto visivo continuo. Se questo tipo di comportamenti richiede un cambiamento significativo delle abitudini, può invece essere più facile far sapere all’inizio della conversazione di essere disponibili ad ascoltare ciò che l’altro ha da dire e richiedere pazienza e comprensione”.
A un certo punto della conversazione, è probabile che dobbiate introdurre il vostro punto di vista, ma all’inizio ascoltate ciò che hanno da dire. Evitate di influenzare l’interazione. È molto meglio fare domande: fa sentire l’altra persona ascoltata e aumenta la vostra capacità di comprensione. Se riuscite a essere presenti senza giudicare o avere un ordine del giorno, avrete maggiori possibilità di ascoltare veramente ciò che viene detto.
STO ANCORA ASCOLTANDO?
Una delle mie peggiori abitudini di ascolto è quella di decidere di aver capito il punto di vista dell’interlocutore prima che abbia finito di parlare e quindi smettere di ascoltare. Potrei anche cedere alla tentazione di fare multitasking. La mia logica? Ho già sentito le sue idee più importanti, non c’è niente di male a dare una veloce controllata alle mie e-mail. Sbagliato! Non basta evitare le distrazioni più evidenti (i telefoni cellulari) all’inizio della conversazione. È necessario rimanere concentrati.
E ricordate che non sono solo i dispositivi o altri oggetti esterni a distrarci. Potrebbero essere i vostri stessi pensieri o emozioni. Quindi, se vi accorgete che la vostra mente vaga, riportate la vostra attenzione. Trovo utile un mantra: “Posso occuparmene dopo. Adesso sono qui”. Anche la meditazione può migliorare la vostra capacità di farlo.
Se la vostra attenzione viene distolta e vi è sfuggito qualcosa che l’altra persona ha detto, non cercate di andare avanti come se sapeste di cosa sta parlando (un’altra mia cattiva abitudine). È giusto interromperli e dire: “Credo di aver perso quello che ha appena detto. Potrebbe ripetere il suo ultimo punto?”.
COSA MI STO PERDENDO?
Ricordate che l’ascolto attivo è molto più che annuire, dire “Mm-hmm” e ripetere a pappagallo i punti della persona. Intervenire e fare buone domande indica all’interlocutore che non solo abbiamo ascoltato ciò che ha da dire, ma che lo si è capito abbastanza bene da volere ulteriori informazioni.
Può anche cambiare profondamente la conversazione se si presta attenzione agli indizi verbali e non verbali che potrebbero rivelare se l’interlocutore sta dicendo qualcosa di più di quello che sembra a prima vista. Può darsi che l’interlocutore tema di essere vulnerabile o che non si renda nemmeno conto di esprimere emozioni incontrollate. Porre domande basate su ciò che potrebbe essere rimasto non detto può far sentire l’altra persona supportata e portare alla comprensione di entrambi.
Ecco un esempio.
Un dipendente dice: “Sono preoccupato per la mia presentazione alla riunione del consiglio di amministrazione”.
Potreste naturalmente cercare di rassicurarlo e di entrare in relazione dicendo: “Stai andando benissimo. Mi ci sono voluti anni prima di riuscire a presentare senza essere nervoso”.
Sfortunatamente, mentre cercate di creare un legame, questa risposta tende a negare la sua preoccupazione senza fornire ulteriori dettagli. Sposta l’attenzione su di voi e ignora quello che potrebbe essere un problema molto più importante alla base della sua affermazione.
Per dimostrare che state ascoltando in modo più profondo, potreste dire: “Anch’io ero nervoso quando ho iniziato a presentare. Cosa ti preoccupa?”.
Una bella differenza, no?
L’IMPERATIVO PER I SENIOR LEADER
Se siete un leader di alto livello la cui posizione ha effetti importanti sulla realtà dell’organizzazione, è saggio porsi un’ulteriore domanda nell’affrontare una conversazione: “Sono immerso in una bolla informativa?”.
Molti leader si trovano intrappolati in questa “bolla” perché i dipendenti hanno paura di metterli in discussione, sfidarli, giudicarli o deluderli. Tendono a girare le informazioni mettendole sempre in una luce positiva per evitare conversazioni difficili sui problemi dell’organizzazione. Come ha detto Keven Sharer, ex CEO e presidente di Amgen, in questo articolo su come i leader possono diventare migliori ascoltatori: “Se ti guardi in giro e vedi un mucchio di facce sorridenti e ti accontenti di quel che vedi, vuol dire che non stai veramente ascoltando”.
I leader devono sviluppare la disciplina di ascoltare solo per comprendere – senza una lista di argomenti, evitando di distrarsi o di giudicare anzitempo – e cercare attivamente i contributi di tutti a ogni grado e livello. Inoltre, creare un’atmosfera che privilegi la fiducia rispetto alla gerarchia significa che idealmente chiunque potrà sentirsi a proprio agio nel condividere informazioni, buone o cattive che siano. I segnali di rischio o di opportunità possono provenire da punti inaspettati, quindi bisogna creare opportunità e canali per stimolare i feedback, assicurarsi che le persone si sentano a proprio agio nel parlare ed essere presenti e disponibili ad ascoltare ciò che hanno da dire.
PONENDO LE DOMANDE di cui abbiamo parlato quando si entra in una conversazione che richiede l’ascolto (e, diciamolo, ogni conversazione lo richiede!), si aumentano le probabilità non solo di ascoltare e raccogliere informazioni preziose, ma anche che l’altra persona si senta ascoltata. Le ricerche dimostrano che chi si impegna nell’ascolto attivo è visto come più competente, simpatico e affidabile dagli altri.
Ma non è solo un bene per voi e per l’altra persona. Le ricerche hanno dimostrato che è vantaggioso anche per l’organizzazione. I comportamenti di ascolto attivo sono stati messi in relazione positiva con la percezione che i dipendenti hanno del sostegno dei loro manager, che a sua volta indica livelli più elevati di soddisfazione sul lavoro e di impegno organizzativo.
Dati tutti questi vantaggi, è chiaro che l’investimento di tempo e fatica per migliorare le proprie capacità di ascolto sarà ripagato.
Amy Gallo è collaboratrice della Harvard Business Review, co-conduttrice del podcast Women at Work e autrice di Getting Along: How to Work with Anyone (Even Difficult People) (Harvard Business Review Press, 2022) e di HBR Guide to Dealing with Conflict (Harvard Business Review Press, 2017).