ECONOMIA & SOCIETÀ

I dazi di Trump: protezionismo nazionalistico o riequilibrio commerciale?

Antonio Acunzo

Febbraio 2025

I dazi di Trump: protezionismo nazionalistico o riequilibrio commerciale?

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Il presidente Trump ha siglato il 13 febbraio il Presidential Memorandum per lo sviluppo di un piano per ripristinare l’equità nelle relazioni commerciali degli Stati Uniti e contrastare gli accordi commerciali squilibrati. Il termine “tariffe” inquieta molti, ma pochi si chiedono quali siano i motivi per cui vengono implementate. È un tipico capriccio protezionistico trumpiano? O ha radici più profonde? Cerchiamo di fare chiarezza.

Il “Fair and Reciprocal Plan”, che entrerà in vigore dal 2 aprile 2025, mira a correggere squilibri di lunga data nel commercio internazionale e a garantire maggiore equità mettendo al primo posto la competitività americana in ogni settore industriale, allo scopo di ridurre il deficit commerciale, cresciuto sistematicamente dal 1975 a oggi, per superare nel 2024 il trilione di dollari, e per rafforzare la sicurezza economica nazionale. Il punto di partenza è, d’altronde, molto chiaro: gli Stati Uniti sono una delle economie più aperte al mondo ma, ciononostante, sono molti i partner commerciali che tengono chiusi i loro mercati ai prodotti americani e questa assenza di reciprocità non solo viene considerata ingiusta, ma contribuisce al crescente deficit commerciale. Vediamo qualche esempio.

Unione Europea. L’UE può esportare negli USA tutta la categoria di crostacei, dalle aragoste agli scampi, ma vieta a 48 dei 50 stati USA di esportare crostacei verso la UE (solo gli stati di Massachusetts e Washington esportano dal 2022). Il deficit, in questo caso, vede gli USA importare nel 2024 crostacei per 274 milioni di dollari dall’UE contro un export di solo 38 milioni. L’UE impone tariffe del 10% sull’import dagli USA di automobili contro il 2,5% applicato dagli USA sulla stessa categoria di veicoli importati dai Paesi UE. Alla fine del 2024 il trade deficit di USA con la UE ammontava a ben 235,6 miliardi di dollari, un incremento del 12,9% rispetto al 2023.

Brasile. Gli Stati Uniti hanno importato dal Brasile etanolo per oltre 200 milioni di dollari nel 2024 e ne hanno esportato solo per 52 milioni. Ragione del divario, la differenza tariffaria: gli USA impongono il 2,5% mentre il Brasile il 18%.

India. Nella relazione USA-India, gli Stati Uniti applicano dazi del 5% sui prodotti agricoli indiani e del 2,4% sull’import di motocicli. Da parte dell’India, si applicano rispettivamente il 39% e il 100% su queste due categorie di prodotto.

Su scala globale, sono ben 600.000 le linee di prodotto dove gli USA sono penalizzati dai reciproci partner commerciali in termini di tariffe. Ma il Fair and Reciprocal Plan non contempla solo dazi sui prodotti, ma anche la tassazione sui servizi digitali: in quest’ambito, il Canada incassa oltre 500 milioni di dollari l’anno da imprese americane tech quali Amazon a fronte della DST, Digital Services Tax. Una simile tassa è applicata, in Europa, anche da Austria, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito, in totale violazione sia degli accordi bilaterali che delle regole WTO.

Alluminio e acciaio. Su questi prodotti, le tariffe all’import USA saranno rispettivamente del 25% e 10% ed entreranno in vigore dal 12 marzo 2025. Anche in questo caso, sarà il Canada il mercato target poiché è da lì che gli USA importano il 20% dell’acciaio e il 50% dell’alluminio.

Anche l’UE subirà qualche impatto in questo settore e particolarmente esposte saranno Germania e Italia, rispettivamente sesto e decimo maggior fornitore degli USA per questi prodotti. Va, però, considerato che questi due Paesi esportano materiali di maggiore qualità per applicazioni in segmenti dove la domanda è meno sensibile a fluttuazioni di prezzo e ai dazi: per l’acciaio (high value specialty steel) i settori interessati sono costruzioni, edilizia, ponti, trasporti, elettronica, aeronautica, nautica.

Italia. Per il nostro Paese, gli USA sono il principale mercato di destinazione al di fuori dall’UE e la prospettiva di impatto del ventilato 10% di tariffe sui prodotti italiani preoccupa gli operatori soprattutto dei settori che distinguono il lifestyle italiano: design e food&wine. Il prodotto italiano di arredo di design vive di export, che corrisponde al 53% del fatturato complessivo: gli USA non solo sono il secondo mercato di sbocco (dopo l’UE) ma anche l’unico che ha registrato una crescita nel 2024. Dall’8 al 13 aprile si svolgerà a Milano il Salone del Mobile, l’evento più importante a livello globale per il settore, e lo spettro di dazi del 10% incombe oggi su ogni strategia di business development.

Anche per il vino italiano, che attualmente non è soggetto a dazi negli USA (e non era stato contemplato nemmeno dalla precedente presidenza Trump), gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di sbocco ed eventuali tariffe impatterebbero a livello di riduzione di market share e di fatturato. A oggi non è valutabile l’impatto di tariffe verso Italia e UE perché la Casa Bianca non si è ancora espressa in merito, ma in vista della prospettiva di possibili dazi, gli importatori americani di vino stanno facendo incetta di Prosecco DOC per aumentare le scorte. Il Prosecco, che rappresenta il 90% dello sparkling wine italiano esportato negli Stati Uniti, ha subito un’impennata del 41% di import subito dopo l’elezione di Trump a nuovo Presidente non solo per prevenire la crescente richiesta americana per il Prosecco, la cui domanda ha superato quella di Champagne, ma anche in virtù di un prezzo più contenuto e per versatilità del prodotto, consumato in situazioni diverse come brunch, eventi indoor e outdoor e cocktail, spritz in primis.

Quando si arriverà alla definizione ed eventuale applicazione delle tariffe per i prodotti Made in Italy (e per i prodotti UE), è probabile la reciproca implementazione da parte di Italia e UE verso prodotti Made in USA (a tariffe sul vino italiano si risponderebbe con dazi sul bourbon americano e altro) in una sorta di “tit for tat”, di compensazione del danno reciproco.

Strategico sarà il ruolo negoziale da parte UE in una sorta di tiro alla fune per tutelare posizioni e mantenere vantaggi di quota. Quali potrebbero essere questi ambiti negoziali? Probabilmente una riduzione del 10% relativa ai dazi sulle auto, anche se ciò rischierebbe di esporre maggiormente l’UE all’export di veicoli elettrici cinesi. Un’altra area negoziale potrebbe riguardare l’incremento degli acquisti di prodotti agricoli USA, così come di armamenti ed equipaggiamenti di difesa USA. Inoltre, anche l’acquisto di LNG americano (più economico di quello russo) e di cui gli USA già forniscono il 45% del fabbisogno UE. Possibile, infine, la richiesta di condizioni fiscali più favorevoli per le high-tech americane.

Se la negoziazione non dovesse funzionare, l’UE si vedrebbe nella posizione di imporre dazi su una lunga serie di prodotti USA classici, tra cui prodotti Tesla e Starlink, Levi’s, Harley Davidson, bourbon, cranberry juice, burro di arachidi.

Certamente il Presidente Trump, forte dell’International Economic Emergency Powers Act, ha la piena autorità nell’imporre dazi su tutti i prodotti importati negli USA e nella sua campagna presidenziale ha addirittura ventilato dazi universali del 10%-60%. Ma dalle dichiarazioni elettorali ai fatti concreti passa una discreta differenza. Per esempio, infatti, su Messico e Canada è già stata imposta una tax del 25% che, però, al momento è stata messa in stand-by per un mese, per dare spazio a una negoziazione più strutturata.

 

Antonio Acunzo è CEO di MTW GROUP, società di advisory di international business con sede a Miami in Florida che offre consulenza manageriale strategica per il mercato USA integrata con servizi di Marketing Communication, Brand Marketing, Business Development e Corporate alle aziende PMI e Mid-Market del Made-in-Italy che guardano al mercato americano con obiettivi di crescita ed espansione attraverso piani di internazionalizzazione strutturata come Joint-Venture, M&A, FDI e piani di Direct Export (antonio.acunzo@mtw.group * www.mtw.group).

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