GIOVANI & CARRIERE

La “carriera” al tempo degli Zoomer

Claudio Ceper, Pietro Varvello

Novembre 2024

La “carriera” al tempo degli Zoomer

Un interessante articolo di Dino Galuppi pubblicato di recente su La Tecnica della Scuola, dal titolo “Generazione Z, giovani sotto accusa da parte dei datori di lavoro: sono ritenuti inappropriati e inaffidabili”, cerca di spiegare le evidenti difficoltà che incontrano tanti Direttori del Personale nel gestire i percorsi di carriera e a “trattenere” le migliori risorse di questi giovani, nati tra la metà degli anni ’90 e i primi 2010. È un contributo interessante che non si limita a descrivere questi giovani adulti alle loro prime esperienze lavorative, ma approfondisce il loro profondo disagio in un mondo ancora dominato dalle generazioni precedenti che lo hanno plasmato su valori che gli Zoomer fanno fatica ad accettare.

Parliamo di una generazione completamente diversa da quelle che l’hanno preceduta e che manifesta una visione del lavoro che combina idealismo e pragmatismo, cercando la differenza con lo status quo e attività in contesti flessibili, inclusivi e tecnologicamente avanzati, anche se consci delle difficoltà economiche e della precarietà del mondo di oggi.

Nel capitolo finale del libro che abbiamo recentemente scritto, La carriera perfetta (Edizioni Il Sole 24 Ore, 2024), abbiamo raccolto alcune delle loro principali richieste, insieme al disagio di tanti uomini d’azienda (non solo HR) nel “comunicare” e interagire con questi nuovi lavoratori. Ci è venuto, però, il dubbio che dietro questo disagio si nasconda un impianto di valori, esperienze ma anche procedure che aggravano questa frattura intergenerazionale che impedisce all’attuale classe dirigente di “capire” le aspettative di queste nuove generazioni. Per darci una risposta, ci siamo anche chiesti quanto queste nuove esigenze si discostino dai “nostri” tempi e cioè da quello che cercavamo noi, nati negli anni ‘50 e ‘60 e affacciati al mondo del lavoro nei “mitici” anni ’80. Siamo allora andati a ricercare negli archivi dei principali quotidiani di quegli anni articoli simili, scritti da sociologi e soprattutto da uomini di azienda di allora sugli atteggiamenti di quelli che erano considerati i nuovi giovani che si affacciavano al mondo del lavoro.

Abbiamo letto molti articoli che sottolineavano come negli anni ’80 i giovani neolaureati affrontassero una serie di preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro, alcune delle quali erano influenzate dal particolare contesto economico, sociale ma anche tecnologico (con l’arrivo dei primi PC che avrebbero “falcidiato” molti posti di lavoro tradizionali). In quali ambienti di lavoro si sviluppavano le “nostre” carriere e quali aspettative avevamo?

Al primo posto mettevamo stabilità e sicurezza: negli anni ‘80, cercavamo lavori stabili con la speranza di restare nella stessa azienda per tutta la carriera, con la prospettiva di crescere all’interno dell’organizzazione, con il mito del “posto fisso” a vita e con avanzamento graduale ma programmato delle responsabilità. Il lavoro di norma si svolgeva in un ufficio con una scrivania assegnata e orari di lavoro fissi, insieme a una chiara separazione tra lavoro e vita privata. In azienda vigeva una struttura gerarchica chiara e accettata, con modeste possibilità di flessibilità nel ruolo e nelle responsabilità. Si ricercava anche un buon salario per garantire sicurezza finanziaria per sé e in prospettiva per la famiglia che si sarebbe creata. Le assunzioni e gli avanzamenti di carriera dipendevano molto dai titoli di studio formali e da percorsi educativi tradizionali.

Questo “impianto” di aspettative è proseguito nei decenni successivi, subendo poche modifiche: anche la generazione dei Millennial (cioè i nati tra il 1981 e il 1996) che hanno preceduto gli Zoomer, manifesta una baricentratura più rivolta al passato rispetto a questa nuova generazione. Infatti, i Millenial cercano equilibrio tra lavoro e vita privata con una certa stabilità lavorativa, apprezzano ambienti collaborativi e feedback continuo, sono a proprio agio con la tecnologia, ma la vedono come un supporto e valutano positivamente la responsabilità sociale e le opportunità di sviluppo professionale tradizionali.

Questo quadro di aspettative e prospettive si “rivoluziona” con la Generazione Z che manifesta una maggiore personalizzazione negli orari e nei luoghi di lavoro, la possibilità di lavorare da remoto o di avere attività che consentano di conciliare meglio lavoro e vita privata. Questi atteggiamenti li portano a licenziarsi (quiet quitting) tutte le volte che non riescono a conciliare le loro esigenze o necessità personali e valoriali. Manifestano una forte preferenza per opzioni di lavoro flessibili, inclusi lavoro da remoto e orari flessibili. Grande importanza viene attribuita all’equilibrio tra vita lavorativa e privata, con priorità alla salute mentale e al benessere.

Nell’azienda in cui si andrà a lavorare si guarda più ai valori e alla cultura aziendale che non alla situazione economico-patrimoniale: ci s’informa se l’azienda manifesta una cultura aziendale inclusiva, collaborativa e innovativa e se le attività abbiano un impatto positivo sulla società, comunque in linea con i valori personali. La componente retributiva è molto importante (e forse questo è l’unico elemento che accomuna gli Zoomer alla generazione degli anni ‘50-60) insieme a un interesse per nuovi benefit come giorni di salute mentale, abbonamenti a palestra, e politiche di lavoro flessibile.

L’apprendimento continuo e lo sviluppo professionale tramite corsi online, certificazioni e workshop sono ulteriori richieste fatte al momento dell’assunzione. L’azienda che li assume deve adottare tecnologie avanzate, strumenti digitali all’avanguardia e mantenere una grande attenzione in settori emergenti come la tecnologia, l’innovazione digitale e le startup.

Nel nostro libro abbiamo sottolineato come gli Zoomer considerino la “carriera” in modo flessibile e dinamico, preferendo ruoli che offrano crescita rapida e opportunità di cambiamento frequente. Valutano molto la meritocrazia, aspettandosi che il riconoscimento e l’avanzamento siano basati sulle competenze e sui risultati, piuttosto che sull’anzianità. Cercano feedback costante e valorizzano la mentorship per migliorare le proprie performance e orientare le scelte di carriera. Inoltre, rispetto alle generazioni precedenti, curano la propria immagine professionale online e offline, costruendo un personal brand che evidenzia le loro competenze e successi. Infine, sono molto bravi nel costruire reti di contatti professionali attraverso piattaforme come LinkedIn, partecipando in modo attivo a eventi di settore.

Sono passati quasi 50 anni da quando la generazione degli anni ’50-60 si affacciava al mondo del lavoro, piena di speranze in un mercato del lavoro in crescita che prometteva grandi opportunità di sviluppo della carriera e stipendi in continuo aumento. Questa nuova generazione sembra, invece, maggiormente attratta da aspettative di tipo qualitativo anziché quantitativo. Questo atteggiamento non sarà forse il massimo per i conti delle aziende in cui lavorano, ma è una prospettiva per un mondo migliore. Forse.

Claudio Ceper ha maturato una solida esperienza come manager, raggiungendo le qualifiche di direttore generale e amministratore delegato. Per 28 anni è stato cacciatore di teste, in Italia e all’estero. Da 11 anni si dedica ad affiancare i manager nella gestione strategica delle loro carriere. Pietro Varvello, dopo una lunga esperienza di gestione aziendale nel corso della quale ha ricoperto posizioni di amministratore delegato di grandi imprese, si è dedicato al coaching e alla consulenza per lo sviluppo di opportunità di carriera e crescita professionale.

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