INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Come l’IA sfida il primato umano e perché la ricerca del significato potrebbe essere la nostra ancora di salvezza
di Paolo Lobetti Bodoni
Gennaio 2025
In un’epoca di notevoli cambiamenti e salti quantici dovuti a innovazioni tecnologiche quali l’intelligenza artificiale (IA), domandarsi se l’uomo manterrà ancora il primato su mondo e macchine non è solo lecito, ma urgente. L’intelligenza e le capacità cognitive hanno sempre rappresentato un vantaggio competitivo per l’essere umano, consentendogli di primeggiare nel regno animale. Tuttavia, questo vantaggio è ora messo alla prova dall’emergere delle nuove intelligenze artificiali. Il linguaggio, in particolare, è stato uno degli strumenti chiave – insieme alla scrittura – che hanno permesso agli umani di evolversi e di distinguersi dagli altri animali. Oggi, il linguaggio è diventato un campo in cui l’intelligenza artificiale ha fatto enormi progressi. Le macchine non solo gestiscono il linguaggio in modo efficace e multimodale, ma sono anche in grado di superare quasi tutte le barriere linguistiche analizzando e interpretando informazioni da una vasta gamma di fonti digitali.
Restano la cultura e l’apprendimento sociale, la capacità di costruire nuovi strumenti, il desiderio forse innato, ma in parte assopito, di conoscere cose nuove, di esplorare nuovi mondi. Basteranno all’uomo?
In realtà a ben analizzare l’evoluzione dell’uomo e la sua reazione alle più grandi innovazioni o cambiamenti è stato la ricerca del significato, un motore fondamentale dell’evoluzione umana sia in termini biologici che culturali. Questa ricerca ha spinto gli esseri umani a cercare risposte alle domande fondamentali dell’esistenza, a comprendere il proprio posto nel mondo e a trascendere i limiti della sopravvivenza quotidiana. Questo ha spinto l’umanità a esplorare, innovare e riflettere, influenzando profondamente l’evoluzione culturale e sociale. Ha portato a grandi realizzazioni e anche a profonde crisi, dimostrando che la ricerca del significato è un processo dinamico e in continua evoluzione.
In ogni epoca, l’umanità ha guardato alle stelle, ha scrutato l’orizzonte e ha sondato le profondità della mente, assetata di risposte. La ricerca del significato è stata la fiamma che ha acceso il motore dell’evoluzione umana, spingendoci oltre i confini della sopravvivenza verso le vette della realizzazione. In questa esplorazione, ogni disciplina ha danzato al ritmo del suo tamburo, tessendo un ricco arazzo di comprensione che definisce la nostra specie.
L’umanità ha sempre avuto una sete insaziabile di significato. Questa ricerca ha guidato l’evoluzione delle nostre discipline, è stata la molla che ha scatenato rivoluzioni nel pensiero e nelle pratiche in ogni campo del sapere, dalla matematica alla medicina, dall’economia all’arte.
Ora, mentre ci avviciniamo all’era dell’intelligenza artificiale, la ricerca del significato assume un ruolo ancora più cruciale. L’IA ha il potenziale per superare l’umanità in molte attività cognitive, ma la nostra ricerca incessante di significato potrebbe essere la chiave per mantenere il dominio su questa potente tecnologia.
L’IA può elaborare dati e riconoscere schemi a velocità e con precisione inimmaginabili, ma non può comprendere il significato come noi. La nostra capacità di porci domande profonde, di valutare la moralità e l’etica, di apprezzare la bellezza e di esplorare l’ignoto ci distingue dalle macchine. È attraverso queste qualità umane che possiamo guidare l’IA verso scopi che arricchiscono la nostra esistenza, piuttosto che minacciarla.
L’uomo è, quindi, chiamato a un mestiere antico, quello che gli è appartenuto da sempre: insaziabile ricercatore di significato. Per farlo, nei tempi moderni, deve abbandonare alcune comodità che lo stanno assopendo. Confondere una ricerca da una googlata, una comprensione di un fenomeno dalla sua descrizione, scambiare la socialità fatta di interazione reale con i social media sono tutti pericolosi anestetici. Qui sì l’uomo rischia di soccombere e di cedere il timone a tecnologie e algoritmi. Educare alla curiosità, quella del “mai provato prima”, crescere nell’apertura mentale della pluralità delle idee e del multicolore, allenarsi al pensiero critico (non esistono più fonti completamente attendibili) e sviluppare la propria empatia; perché comprendere e apprezzare le prospettive e le esperienze degli altri può arricchire la propria ricerca del significato e contribuire a una visione più olistica dell’esistenza umana.
La ricerca del significato è fondamentale non solo per gli individui, ma anche per le organizzazioni, inclusi gli ambienti aziendali. Quando un’azienda o un’organizzazione si impegnano in una ricerca del significato, spesso si concentrano sullo sviluppo e l’articolazione di un “purpose” o scopo, che serve come bussola strategica e fonte di motivazione per i dipendenti, i leader e gli stakeholder.
Il concetto di “purpose driven organization” (organizzazione guidata da uno scopo) è stato discusso e sviluppato da vari autori e pensatori nel corso degli anni. Uno dei principali contributi a questo concetto viene da Simon Sinek, che ha introdotto l’idea del “Golden Circle” e del “Start With Why” nel suo libro Start with Why: How Great Leaders Inspire Everyone to Take Action, pubblicato nel 2009. Sinek sostiene che le organizzazioni e i leader dovrebbero iniziare comunicando il loro scopo (il “perché”) prima di descrivere il “come” e il “cosa” fanno.
Inoltre, Robert E. Quinn e Anjan V. Thakor hanno scritto sull’importanza di avere uno scopo organizzativo nel loro articolo “Creare un’organizzazione guidata da uno scopo”, pubblicato su Harvard Business Review nel luglio 2018.
La ricerca del significato attraverso il purpose è quindi un potente catalizzatore per l’evoluzione e il successo delle organizzazioni. Non solo migliora la cultura interna e la coesione, ma si traduce anche in benefici tangibili che possono essere percepiti dai clienti, dai dipendenti e dalla società nel suo insieme. Questo è ancora più attuale ai tempi dell’IA, in cui le organizzazioni oltre a chiedersi il Why prima del What si confrontano ogni giorno anche sul “Is it right?”, se è giusto. Il purpose costituisce uno strato valoriale comune ed utile a tutta l’organizzazione nelle scelte e nei limiti da attuare nell’utilizzo dell’IA.
Sarà capace l’uomo (e le organizzazioni aziendali) di mantenere il suo primato sulle emergenti tecnologie? La risposta è sì, se sarà in grado di mantenere acceso il sacro fuoco della ricerca del significato, se educherà le nuove generazioni a questa ricerca mai banale, se premierà la vera creatività e l’esercizio dell’empatia e se oltre ad avere purpose chiari non smetterà mai di chiedersi cosa è giusto per sé e per gli altri.
Siamo all’alba di un’era in cui l’umanità può trionfare, non perché domina la tecnologia, ma perché la guida con saggezza e cuore. Questo è il nostro momento per brillare, per dimostrare che il primato umano non è definito dalla superiorità cognitiva, ma dalla nostra straordinaria capacità di dare significato a ciò che facciamo, di amare, di sognare e di creare un futuro che celebri la bellezza dell’esistenza umana. Siamo i poeti dell’evoluzione, i narratori del cosmo, e il nostro racconto è appena iniziato.
Paolo Lobetti Bodoni, EY Consulting Leader Italia.