RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
Un appello ai leader d’impresa a perseguire con maggiore coraggio la strada di una sostenibilità ampia ed equilibrata
di Paul Polman e Andrew Winston
Settembre 2024
Thomas Jackson/Getty Images
ALL’APPARENZA si trattava di una grossa svolta. Nel 2019, i membri della Business Roundtable (BRT), 181 amministratori delegati delle maggiori aziende statunitensi, avevano rilasciato una dichiarazione che ridefiniva lo “scopo di un’azienda” (purpose of a corporation). Dopo decenni di ossessione per i profitti a breve termine e i rendimenti per gli investitori, si erano impegnati a servire cinque stakeholder, ossia portatori d’interesse: clienti, dipendenti, fornitori, comunità (compreso l’ambiente) e azionisti.
I titani dell’economia affermarono, implicitamente, che Milton Friedman si sbagliava. La dichiarazione era stata accolta come una svolta verso il capitalismo degli stakeholder e una nuova focalizzazione sul ruolo dell’impresa nella società.
Il momento, come poi si è visto, si rivelò propizio: l’annus horribilis del 2020 era dietro l’angolo. La pandemia fece sì che le aziende si concentrassero sugli stakeholder e l’omicidio di George Floyd ha portato a nuovi impegni a favore dell’equità razziale.
I CEO avevano pienamente ragione. Servire solo gli azionisti non tiene conto di una realtà fondamentale: per creare imprese di valore è necessario soddisfare i clienti, attrarre e trattenere i talenti e collaborare con le comunità e i fornitori. La resilienza a lungo termine e la sopravvivenza dell’azienda dipendono dalla capacità di servire in modo sostenibile gli stakeholder e la società. Le imprese non possono prosperare su un pianeta compromesso e con persone non sane.
Mentre le aziende BRT facevano autonomamente questa scelta e iniziavano ad adottare un pensiero orientato agli stakeholder, il loro impegno si è diffuso e ha registrato un discreto progresso. Di recente, però, soprattutto negli Stati Uniti, l’entusiasmo che ha circondato le idee di una priorità da attribuire alla sostenibilità e a stakeholder diversi – per esempio, il cambiamento climatico o il DEI (diversità, equità e inclusione) – sembra essersi notevolmente affievolito. Vale, dunque, la pena di riflettere su ciò che è successo dopo la dichiarazione e su dove stiamo andando.
Le buone notizie: i progressi
Anche se con minore evidenza, la sostenibilità è ora saldamente nei programmi delle imprese e il lavoro va avanti. Prendiamo, ad esempio, la decarbonizzazione. Dopo la dichiarazione della BRT c’è stata un’impennata nella definizione di obiettivi aggressivi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Si è passati da piccolo gruppo di organizzazioni di un decennio fa a impegni significativi dei due terzi delle aziende Fortune Global 500 oggi.
Il cambiamento nell’economia a favore della sostenibilità rende difficile e dannoso tornare indietro. Quest’anno gli investimenti globali in tecnologie pulite supereranno i 2.000 miliardi di dollari – il doppio degli investimenti totali nei combustibili fossili – e riguarderanno i trasporti, l’energia, gli edifici e altro ancora. Le industrie dell’energia e dell’auto sono all’inizio di una grande transizione, che in gran parte reagisce ai segnali del mercato. Il vero problema è se ci stiamo muovendo con la velocità e la scala necessarie per superare il cambiamento climatico e i suoi significativi costi umani e finanziari (indizio: non lo stiamo facendo).
Altri progressi: un’espansione significativa degli sforzi e dell’educazione alla diversità, all’equità e all’inclusione (che, peraltro, stanno oggi affrontando un contraccolpo), una maggiore attenzione alla natura e alla biodiversità e cambiamenti strutturali all’interno delle aziende, come un aumento significativo della percentuale di grandi imprese che legano la retribuzione dei dirigenti alla diversity o a parametri di riduzione delle emissioni di carbonio. Sebbene alcuni temi della sostenibilità, come i diritti umani, non siano mai decollati, nel complesso si sono registrati progressi significativi.
Tuttavia, dato il miglioramento dell’economia delle tecnologie pulite, l’aumento della legislazione e i segnali più favorevoli alla sostenibilità da parte del mercato e della società, quanto credito dovrebbero realmente avere le aziende BRT? Ancora una volta, dal punto di vista del business il capitalismo degli stakeholder continua ad avere senso.
Le notizie non così buone
Per quanto riguarda il clima, le aziende sono in ritardo rispetto agli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015 di contenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C (e preferibilmente di limitarlo a 1,5°C). Molte sono in ritardo anche rispetto ai loro stessi obiettivi. Inoltre, sono troppo poche quelle che hanno una buona conoscenza dell’impatto e della dipendenza delle loro attività dalla biodiversità e dalle risorse naturali, come ad esempio il modo in cui una carenza d’acqua potrebbe interrompere le operazioni e le catene di approvvigionamento delle aziende alimentari o di prodotti di consumo. In breve, i progressi complessivi sono insoddisfacenti e lenti rispetto a ciò di cui il mondo ha bisogno.
Sfortunatamente, due tendenze che sono un segno di progresso – l’aumento delle normative sulle pratiche operative e sulla rendicontazione, e la crescita degli investimenti ESG (ambientali, sociali e di governance) nel mondo della finanza – hanno contribuito alla recente battuta d’arresto. Le normative hanno spinto alcune aziende a ritornare a una mentalità di “semplice rispetto della legge” (che ne rallenta le ambizioni). Inoltre, se da un lato l’assenso degli investitori è stato un fatto positivo, dall’altro ha accentuato l’attenzione sulle loro esigenze rispetto a quelle di altri stakeholder.
Poi è arrivato il contraccolpo e la crescita del movimento anti-ESG, un vento impetuoso di pressioni concorrenti sulle aziende affinché svolgano un lavoro di sostenibilità più legittimo ed evitino di usare l’ESG per fare greenwashing oppure, dall’altro lato, di abbandonarlo a causa delle sue radici percepite come liberal e della presunta deviazione dall’obiettivo del ritorno finanziario (evocato soprattutto dalla destra politica). In questo nuovo ambiente, molte aziende sembrano credere di doversi limitare a soddisfare soltanto i requisiti di rendicontazione e di non dover più perseguire obiettivi di sostenibilità più avanzati. Ad esempio, il gigante minerario Glencore stava per vendere le attività nel settore del carbone ma, motivando la scelta con uno “spostamento del pendolo” in materia di ESG, sta ora raddoppiando le attività in ambito old tech.
In tutti i settori, l’impegno delle aziende ha vacillato, soprattutto per quanto riguarda l’ESG. Alcuni ex leader, come Nike, hanno licenziato personale addetto alla sostenibilità. Alcune aziende, come Tractor Supply Company e John Deere, hanno addirittura rilasciato dichiarazioni anti-sostenibilità: niente più DEI, niente più obiettivi sul carbonio, hanno detto. Poche aziende sono state così aggressive. Nel nostro lavoro e nelle conversazioni con molte decine di multinazionali, vediamo che la stragrande maggioranza sceglie invece di tacere sui propri sforzi di sostenibilità (il cosiddetto “greenhushing”).
Solo poche aziende hanno reagito agli attacchi politicamente orientati contro ESG e DEI. Anzi, molte aziende (compresi i membri di BRT) continuano a fare donazioni a politici profondamente coinvolti negli attacchi anti-ESG e persino a quelli che hanno sostenuto attivamente le richieste di rovesciare le elezioni libere ed eque degli Stati Uniti del 2020. Alcune potenti associazioni di categoria continuano ad attaccare le politiche climatiche e le normative sulla diffusione di informazioni. Gli stipendi degli amministratori delegati continuano a superare nettamente i salari dei dipendenti. I dirigenti, gli investitori e i media continuano a celebrare la performance azionaria – una misura grossolana del successo per un singolo stakeholder – come la principale misura del successo di un’azienda.
Forse la recente ritirata non è troppo sorprendente. Guardando indietro, c’erano importanti crepe nella logica della BRT. Il chiaro impegno della dichiarazione a favore del libero mercato ignora i difetti fondamentali del sistema: i mercati perfettamente liberi non affrontano le esternalità (come l’inquinamento da carbonio scaricato nell’aria) né ottimizzano il benessere degli stakeholder. Il vero capitalismo degli stakeholder richiede un cambiamento di mentalità più profondo, passando dal considerare la sostenibilità come qualcosa in contrasto con i profitti – il mito più antico – a una visione più sfumata della creazione di valore attraverso i valori e la sostenibilità.
Gli ultimi cinque anni si sono chiaramente rivelati un’esperienza contrastante. Sebbene le aziende che conosciamo continuino a lavorare sulla sostenibilità, l’urgenza, la velocità e la portata del cambiamento sono in forte ritardo. La maggior parte delle aziende sembra voler restare a testa bassa e negli Stati Uniti è quasi scomparso il desiderio di assumere un ruolo guida a livello pubblico.
Si tratta di un errore colossale. Dire che questo è un brutto momento per rallentare è un profondo e storico understatement. Le maggiori sfide del mondo – cambiamento climatico, disuguaglianza, distruzione della biodiversità – si stanno aggravando. Il pianeta ha stabilito il record del giorno più caldo mai registrato... e lo ha ri-superato il giorno successivo. Gli incendi senza precedenti, le gravi siccità, un caldo pericoloso e le tempeste causate dal clima sono ormai la norma. Per anni, gli scienziati del Stockholm Resilience Centre hanno definito e misurato nove “confini planetari” che, se violati, creano gravi rischi per l’umanità – misure come la quantità di carbonio immessa nell’atmosfera, i tassi di perdita di specie o di acidificazione degli oceani e l’uso di acqua dolce. Secondo le loro migliori misurazioni, abbiamo superato sei dei nove limiti e stiamo rischiando di raggiungere punti di svolta negativi. Tutte queste tendenze pericolose aumentano i costi per le imprese, ad esempio quando il clima estremo o la scarsità d’acqua interrompono le catene di approvvigionamento o la produzione.
A peggiorare le cose, la democrazia è a rischio e l’ambiente politico è tossico, con rivolte nel Regno Unito, tentativi di assassinio di leader politici in tutto il mondo, guerre continue in Ucraina e nel Medio Oriente e crescenti attacchi alla democrazia, ai diritti delle persone e alla moralità. Gli stessi problemi che la sostenibilità aiuta a risolvere, in particolare le disuguaglianze, creano un terreno fertile per un populismo rabbioso che minaccia il progresso.
In questo momento di estrema instabilità, le aziende hanno più potere che mai, con un’influenza che si avverte in ogni angolo del mondo. Il silenzio dei leader, mentre i sistemi sociali e planetari si stanno disgregando, lascia senza parole.
Che cos’è davvero la leadership
Cinque anni fa, abbiamo tutti celebrato il manifesto BRT, ma anche allora era in ritardo rispetto alle esigenze. Si trattava di un miglioramento, ma per lo più di natura incrementale, una risposta insufficiente alle sfide esponenziali che richiedono cambiamenti più sistemici rispetto al semplice riconoscimento delle parti interessate. Dato lo stress cui sono sottoposti i nostri maggiori sistemi naturali e sociali, abbiamo bisogno di un’azione accelerata, di un lavoro più profondo per costruire aziende migliori e più rigenerative. Dobbiamo costruire aziende positive, cioè che si assumono la responsabilità del loro impatto sul mondo e migliorano il benessere di tutti coloro che toccano.
I veri leader prosperano e traggono profitto contribuendo a risolvere i problemi del mondo. Agiscono in linea con quanto richiesto dalla scienza e dall’etica e lavorano su questioni sistemiche, comprese le politiche giuste. Chiedono impegni più ambiziosi per il clima, difendono i principi dell’ESG, creano collaborazioni pubblico-privato per ripristinare la biodiversità e proteggono i diritti umani. Soprattutto, ora, si esprimono per difendere la democrazia e proteggere chi ha di meno.
Eppure, con poche eccezioni, c’è stato silenzio sulla maggior parte di questi temi. In un ambiente politico avvelenato, la maggior parte delle aziende ha scelto la strada che ritiene di minor resistenza (come qualsiasi cosa possa abbassare le tasse ed evitare di essere un bersaglio). Abbiamo meno leader e più manager.
La conclusione è che, celebrando le aziende BRT per il fatto di essere incrementalmente migliori di altre, ci siamo autoelogiati e non abbiamo colto il punto. L’attenzione dovrebbe concentrarsi sul fatto che le aziende si stiano muovendo abbastanza velocemente – per la scienza e la società – verso un modello di business positivo, riparativo e rigenerativo.
E questo richiede, se non altro, coraggio: la forza d’animo per affrontare ciò che la scienza e i tempi richiedono.
Un appello al coraggio
Quando le cose vanno fuori strada, è utile tornare ai fondamentali. Le aziende dovrebbero rivedere le loro posizioni di business generali a favore di un’azione sostenibile. Costruire aziende positive è la strada migliore per ottenere valore, resilienza e rilevanza a lungo termine. A livello macro, visto che siamo di fronte al collasso dei sistemi, è l’unica strada percorribile. Il costo del non fare nulla supera di gran lunga il costo del fare qualcosa.
Le aziende dovrebbero riprendere in considerazione la voce degli stakeholder – ascoltare i dipendenti, gli investitori ESG, la società civile, i clienti, i consumatori e altri ancora – e valutare realmente i costi del silenzio di fronte agli attacchi ai diritti umani e alla libertà. Ci si concentra troppo sul rischio di fare qualcosa, invece di pensare all’impatto sugli stakeholder se non si fa nulla.
Seguire il gregge – dapprima impegnandosi pubblicamente nei confronti degli obiettivi e degli stakeholder, e poi arrendendosi di fronte ai contraccolpi e all’oscurantismo – è, nella migliore delle ipotesi, complicità rispetto a qualsiasi cosa possa accadere. E questo è, chiaramente, assai poco coraggioso. Continuare a tacere e andare dove porta il vento politico del momento è dannoso per gli affari, la società e la nostra anima. Siamo in un periodo cruciale per l’umanità e non bastano pochi leader coraggiosi: ci vuole un’azione coraggiosa da parte di tutti.
Lo stato attuale delle cose non è solo deludente, è allarmante. Il tempo delle mezze misure e dei progressi incrementali è finito. Non bastano le dichiarazioni. Abbiamo bisogno di una leadership e di un’azione coraggiose e decisive per garantire un futuro sostenibile ed equo per tutti.
Paul Polman è stato amministratore delegato di Unilever dal 2009 al 2019 e ha contribuito allo sviluppo degli Obiettivi globali delle Nazioni Unite. È coautore di Net Positive. Andrew Winston è uno dei maggiori esperti mondiali di strategia aziendale sostenibile. Tra i suoi libri ricordiamo Green to Gold, The Big Pivot e Net Positive.