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Micro-management e under-management: due problemi molto simili

Victor Lipman

Maggio 2025

Micro-management e under-management: due problemi molto simili

Chalermphon Kumchai/EyeEm/Getty Images

IL MICRO-MANAGEMENT riceve sempre una grande attenzione, ma l’under-management può essere un problema altrettanto grave. Under-management è il termine che ho dato a una costellazione di comportamenti che ho visto verificarsi spesso tutti assieme durante i miei 24 anni di attività manageriale: una gestione debole delle performance, la tendenza a evitare i conflitti con i dipendenti e, in generale, una scarsa responsabilità. Come suggerisce il nome, non si fa abbastanza gestione e i risultati spesso ne risentono. Ma l’under-management può spesso passare inosservato perché i manager che hanno questa tendenza non sono necessariamente incompetenti; al contrario, spesso conoscono bene la loro attività, sono buoni collaboratori e benvoluti.

Un dirigente delle Risorse Umane con cui ho parlato del problema ha stimato che tra il 10% e il 25% dei manager della sua azienda non è in grado di gestire al meglio. E ricordo bene uno dei vicepresidenti delle risorse umane della mia stessa azienda che esclamava frustrato: “Il problema dei nostri manager è che troppo spesso non gestiscono!”.

Prendiamo Jamie, un responsabile dello sviluppo prodotto (non è una persona reale, ma un insieme di varie persone che ho conosciuto). Conosceva bene i dettagli tecnici dei prodotti del suo gruppo e andava d’accordo con gli altri capi reparto della sua divisione. Era un buon comunicatore – a differenza di molti altri responsabili dello sviluppo prodotti della divisione, più bravi sul piano tecnico che nel trattare con gli esseri umani – e al suo team piaceva lavorare per lui. Il morale era superiore alla media, a differenza di molti dipartimenti dell’azienda.

Ma il suo gruppo faticava a ottenere risultati. Per esempio, su progetti di grandi dimensioni avevano sempre problemi a rispettare le scadenze. Quando il capo e i colleghi di Jamie ne parlavano durante le riunioni, lui sosteneva che il suo gruppo non avrebbe potuto lavorare di più, anche se gli altri manager non erano sempre d’accordo. Quando il capo di Jamie o altri membri del gruppo dirigente facevano pressione su Jamie riguardo ai suoi collaboratori che potevano costituire degli anelli deboli, Jamie li difendeva con forza. “Non ci sono anelli deboli nella mia squadra”.

Le cause di questo fenomeno sono diverse e interconnesse. Il desiderio troppo forte di piacere può ostacolare una gestione pienamente produttiva, perché può rendere riluttanti a fare le cose necessarie. Voler evitare un conflitto è un elemento correlato dell’equazione; il conflitto è intrinsecamente stressante e sgradevole, ed è facile pensare che, se si riesce a farne a meno, tanto meglio!

È vero che spronare i propri collaboratori e renderli responsabili di prestazioni elevate non farà vincere nessuna gara di popolarità e richiede un certo livello di confidenza con il conflitto. Ma se mantenere relazioni positive con i propri dipendenti è una buona cosa, nel lungo periodo la priorità è ottenere risultati.

Se pensate di avere una gestione insufficiente, ecco tre passi concreti da compiere. La buona notizia è che è possibile migliorare le proprie prestazioni in queste aree; anche se ci vuole pratica, si tratta soprattutto di una questione di volontà, più che di capacità. Bisogna innanzitutto impegnarsi!

Non cercate di evitare i conflitti. Cominciamo con la gestione dei conflitti. All’inizio della mia carriera manageriale ho avuto la fortuna di avere un mentore che mi ha preso da parte e mi ha detto chiaramente che, se avessi voluto avere successo nella gestione, avrei dovuto diventare più efficace nella gestione dei conflitti. Ricordo ancora le sue parole esatte. Lodò le mie capacità (la mia conoscenza della nostra attività e la mia etica lavorativa), ma aggiunse: “Francamente, non so se vuoi gestire i conflitti. Non so se hai lo stomaco per farlo”. Mi resi conto che, se avessi voluto avere successo nella gestione, questa sarebbe stata un’area problematica e che dovevo lavorarci su. Così l’ho fatto, diligentemente. Ho preso coscienza dei conflitti e non li ho più evitati. A dire il vero, non mi piace ancora averci a che fare (alla maggior parte delle persone non piace), ma ho capito che si tratta di una parte cruciale del ruolo manageriale e con il tempo sono diventato più a mio agio e competente.

Considerate la definizione degli obiettivi come una missione centrale. Se non state ottenendo i risultati necessari, che è il rischio alla base dell’under-management, assicuratevi innanzitutto che gli obiettivi che i vostri dipendenti devono raggiungere siano ben concepiti e chiari. La maggior parte dei manager non dedica abbastanza tempo alla definizione degli obiettivi; troppo spesso l’affrontiamo come un fastidioso esercizio burocratico (perché le Risorse Umane mi torturano in questo modo, facendomi compilare questi moduli infiniti?). Ma gli obiettivi ponderati e condivisi dai dipendenti possono essere i migliori amici di un manager, perché si possono gestire: diventano una tabella di marcia che guida il lavoro con il team per tutto l’anno.

“È questo il lavoro migliore che riuscite a fare?”. È una domanda semplice ma potente che ho imparato da un collega e amico di lunga data, colonnello in pensione dell’esercito americano, che l’aveva imparata da uno dei suoi ufficiali. Se ce la si pone quando si accetta un incarico, ci si rende conto che si è tenuti a rendere conto del proprio operato. È anche una buona domanda da porre a sé stessi se si sospetta di essere gestiti troppo poco, come esercizio di auto-responsabilizzazione. È questo il meglio che riuscite a fare? State facendo tutto il possibile per fissare obiettivi appropriati, responsabilizzare le altre persone e ottenere i risultati che vi servono?

In definitiva, superare l’under-management è la proverbiale situazione win-win: meglio per la vostra organizzazione e meglio per la vostra carriera.

 

Victor Lipman lavora nella formazione manageriale; ha pubblicato The Type B Manager (Prentice Hall Press). Ha più di vent’anni di esperienza manageriale in aziende Fortune 500.

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