EDITORIALE

L’onestà paga

Dicembre 2023

L’onestà paga

Per le aziende, come per le persone, raccontare bugie è molto pericoloso. Può portare qualche vantaggio nel breve termine, ma enormi danni nel medio e lungo, se non altro perché è difficilissimo ricordarsi le bugie raccontate e mantenere coerenza nel tempo. In ogni caso, non è etico. E poi, nell’era della comunicazione ubiqua, onnipresente e in tempo reale è sempre più probabile che la menzogna salti fuori e che il furbetto di turno venga sottoposto alla gogna mediatica globale con danni esiziali.

Di tutto ciò, chi si occupa di comunicare l’impresa dovrebbe essere già ampiamente convinto. Non è più l’epoca dei Persuasori occulti. La tentazione di tagliare gli angoli c’è sempre, ma il rischio di giocare sporco è troppo grande. Invece, si allarga la platea di chi ha capito che l’onestà paga e che comunicare bene è un asset strategico fondamentale, non facile da realizzare ma altamente premiante quando ci si riesce; da qui l’importanza di riflettere sullo storytelling per realizzarlo adeguatamente e aiutare l’organizzazione a stare solidamente nel mercato.

Ciò vale in qualunque passaggio della vita dell’azienda, ma a maggior ragione in una fase di cambiamento. Come ricordano, nel loro articolo, Frei e Morriss, 7 su 10 delle operazioni di cambiamento organizzativo falliscono. Ma questa tragica proporzione può migliorare se si riesce a raccontare all’interno, ma con grande attenzione anche all’esterno, logiche e motivi del cambiamento, in modo da compattare e motivare i collaboratori e proiettare verso i clienti l’immagine corretta dell’organizzazione.

Di storytelling si parla da tempo e un po’ tutti cercano di praticarlo efficacemente. È piuttosto chiaro che creare e proporre la giusta narrativa sull’azienda predispone positivamente chi ci lavora e produce benefici presso gli stakeholder, e soprattutto presso i clienti. Ma riuscire a parlare in modo corretto, evitando furbizie e ammiccamenti e raccontando con empatia e sincerità è un esercizio assai più difficile di quanto si creda.

Alcuni esperti la mettono in termini veramente importanti, sostenendo che “lo storytelling è un’attività umana essenziale”, specie se in situazioni complesse come quelle che sono create da processi di cambiamento significativi. Di certo, al di là dell’enfasi, quando un’organizzazione deve mettere in atto un grosso cambiamento, i racconti aiutano a spiegare non solo perché ha bisogno di trasformarsi ma anche come si presenterà il futuro, rassicurando e motivando chi viene ricompreso nel processo.

Come, ci si può chiedere, lo storytelling si rapporta al purpose? È il primo che conduce al secondo o il secondo a creare la base per il primo? In ambedue i casi, è la risposta più ragionevole, occorre che la realtà e gli obiettivi dell’organizzazione siano esposti in modo autentico, che la storia si basi su fatti reali del presente ma anche del passato, delineando il punto di arrivo al quale si vuole tendere.

Anche qui l’onestà paga, perché il mercato è composto da persone che sono ogni giorno meglio informate, più consapevoli e maggiormente esigenti. Lo storytelling è una chiave essenziale, ma solo se si riesce a raccontare la storia vera, senza cedere alla voglia di gettare fumo negli occhi.

Questo vale anche per l’uso della tecnologia al servizio della comunicazione. Nell’incertezza, la tentazione di ricorrere a soluzioni miracolistiche può sempre nascere, ad esempio dando in pasto a qualche GenIA dati, informazioni e concetti sperando che dalla macchina fuoriesca un bel raccontino pronto per l’uso. E abdicando, dunque, alla funzione specifica dell’umano, che è quella di individuare la declinazione razionale, psicologica ed emotiva appropriata per rivolgersi come si deve ai propri simili.

Dunque, soluzione da bocciare, o da usare mantenendo consapevolmente il controllo. Insomma, lo storytelling è un’attività umana di relazione non appaltabile e richiede oggi come non mai capacità creative ben condite da onestà intellettuale. Scorciatoie non sono ammesse.

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