GOVERNANCE
Giovanni Magra
Dicembre 2023
Rawpixel.com/Shutterstock
In uno scenario economico che si sta riprendendo dal grave impatto determinato dall’emergenza sanitaria e si trova ora ad affrontare le ripercussioni di una grave crisi politica internazionale, è importante approfondire due argomenti piuttosto attuali e che impattano lo studio del governo d’impresa sostanziale, ossia quei meccanismi che, in misura diversa per dimensioni e settore merceologico, governano di fatto le società al di là della formalizzazione che esse comunicano in varie forme.
Il primo aspetto riguarda il valore aggiunto rappresentato da un Consiglio di Amministrazione adeguatamente composto – quali e quantitativamente, secondo le indicazioni dei regolatori e, soprattutto, secondo gli stimoli più attuali che provengono dal contesto socio-economico in continua evoluzione.
Appare chiaro che un buon mix di competenze aggiornate e allineate alle reali esigenze gestionali della singola società può essere determinante; magari non sui risultati a breve termine, ma sicuramente nel successo sostenibile di medio-lungo periodo. Ma non si tratta di un assioma assoluto, né tantomeno condiviso, anche quando si esaminano le dinamiche aziendali attuali.
Per fare un esempio un po’ estremo, ai modelli di gestione di colossi quali le Big Tech americane, che hanno in passato riaperto il tema del “decisore unico”, fanno da contrappeso (per ragioni ovviamente opposte) le PMI che, proprio nel passaggio da un sistema imprenditoriale a un sistema consiliare basato su decisioni più collettive, pongono un problema addirittura di sussistenza e futuro per l’azienda stessa.
E, se è vero che nel primo caso permangono ancora forti perplessità per la circostanza per cui giganti economici coordinati da pochi possono così facilmente condizionare il mercato del risparmio (e indirettamente anche quello politico), nel secondo caso la difficoltà oggettiva di tradurre intuizioni geniali di un imprenditore in un sistema di governo in grado di affrontare il cambiamento continuo spesso comporta scelte discutibili, che non necessariamente rappresentano un’applicazione strategica dei principi di economia sostenibile. Anche perché, se è vero che le PMI hanno dimostrato maggiore resilienza rispetto al passato in questi difficili anni di congiuntura politico-economica, è pur vero che alla crescita dimensionale, se ben accompagnata da un processo di governance sostanziale, aumenta (e non fa certo diminuire) la resilienza stessa.
Il nostro sistema di gestione tradizionale (Assemblea, Consiglio di Amministrazione e Collegio Sindacale) in passato si è spesso conformato a sistemi di gestione reale non tanto differenti dai modelli di decisore unico (non solo in aziende di minore dimensione e/o a gestione prevalentemente familiare) con un CdA in genere “appiattito” sulle iniziative e decisioni assunte dall’amministratore delegato.
Comunque la si pensi, la complessità delle decisioni da assumere e soprattutto la necessità di possedere competenze diversificate per tenere in considerazione le sempre più numerose variabili decisionali delle aziende, raccomandano la presenza di competenze adeguate alle dimensioni e alla tipologia di azienda: in questo senso i regolatori si esprimono da tempo e, onestamente, molta strada è già stata fatta.
Il secondo tema riguarda, per così dire, l’altra faccia della medaglia, almeno per quanti come noi ritengono governo e controllo due aspetti inscindibili della gestione aziendale. In un recente convegno in cui sono state premiate PMI che hanno conseguito risultati e livelli di crescita straordinari, ci ha fatto molto riflettere l’intervento di un giovane ed eccellente imprenditore che ha giustamente rimarcato il successo di una operazione internazionale che, a suo dire, non sarebbe decollata fosse stato ascoltato il parere delle funzioni di controllo.
Il punto merita un approfondimento: i controlli interni, e segnatamente il monitoraggio del profilo di rischio in generale e relativo alle singole operazioni, quantomeno le più significative e “straordinarie”, dovrebbe sempre essere vissuto come un presidio fondamentale nella vita e soprattutto nella crescita di una realtà aziendale. Certo, l’esercizio della funzione deve essere vissuto, in primis dalle funzioni predette, come un supporto e un contributo allo sviluppo imprenditoriale e non come un’attività regolatoria – tema molto delicato e sensibile, che pretende competenza ed autorevolezza nell’esercizio della funzione stessa. In altre parole, un’attività di controllo propositiva.
Una volta ben chiarito il profilo di rischio relativo all’operazione, è chiaro che comunque la scelta sul procedere o meno spetta al management – e, specie nei settori più evoluti, andrà motivata l’eventuale decisione di procedere nonostante si ritenga che “valga la pena” affrontare il rischio inerente l’iniziativa stessa. Detto questo, sono comunque segnali di cattiva governance sia l’“appiattimento” non motivato sulle osservazioni delle funzioni di controllo, sia addossare il mancato successo di una decisione a un’assenza di approfondimento delle stesse, che spesso è conseguenza di un mancato o comunque insufficiente commitment da parte dei vertici aziendali.
Si tratta comunque di un equilibrio di funzioni necessario per un sano e prudente governo di impresa. La strada passa anzitutto da un rispetto reciproco delle attività da svolgere, dalla selezione di professionisti adeguati sia dal punto di vista professionale che personale, e dalla consapevolezza che solo attraverso la fiducia fra coloro che esercitano attività tra loro legate in modo imprescindibile nasce un sano sistema di governance sostanziale in grado di sostenere adeguatamente un coerente sviluppo dell’attività imprenditoriale.
Occorre auspicare che il “nuovo” ruolo che i Principi OCSE raccomandano al Consiglio di Amministrazione in tema di supporto competente alla gestione affidata all’amministratore delegato, in una prospettiva di crescita sostenibile, siano uno stimolo a fare ulteriormente riflettere sull’impegno che ogni amministratore si assume per contribuire a una strategia aziendale che tenga conto di tutte le opportunità e i rischi connessi alla specifica realtà aziendale.
Giovanni Magra, Director, Corporate Governance, Morrow Sodali.
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