LAVORO
Marcello Russo
Luglio 2023
NEL MONDO (timidamente in Italia) è scoppiata la mania della settimana corta, in inglese four-day work week. Tutti richiedono la settimana corta, anche le associazioni sindacali, spinti da alcune esperienze di successo che riguardano soprattutto la Gran Bretagna, l’Australia o l’Islanda (dove è stato coinvolto meno dell’1% della forza lavoro). La banca Atom Bank ha registrato un aumento del 500% di candidature spontanee, dopo aver annunciato la decisione di adottare la settimana corta per i suoi 430 dipendenti senza alcuna riduzione dello stipendio.
Si tratta effettivamente di una novità? Timothy Campbell, in un recente articolo sul tema, afferma che l’interesse per la settimana corta ha più di 50 anni. Siamo di fronte a un revival, come dimostra la figura 1, in cui Campbell analizza l’attenzione che i quotidiani americani hanno dato al tema negli ultimi 42 anni.
Figura 1
Ricerca dell’espressione four-day work-week sui quotidiani nazionali americani nel periodo 1980-2022

Fonte: Campbell, T. T. (2023), “The four-day work week: a chronological, systematic review of the academic literature”, Management Review Quarterly.
Campbell apre il suo contributo con una dichiarazione di una collega, Janice Hedges, che sostiene che la settimana corta «abbia catturato l’immaginazione di tutti, manager, sindacati e lavoratori».
La dichiarazione risale al 1971! Addirittura, ci sono alcune evidenze dell’adozione della settimana corta negli Stati Uniti già negli anni Quaranta, quando i camionisti addetti alla fornitura di gas e benzina lavoravano soltanto quattro giorni alla settimana. Hedges conclude il suo passaggio introduttivo chiedendosi se questo cambio di paradigma epocale fosse imminente! La risposta fornita dalla storia è semplice: “no”.
Campbell afferma che questo entusiasmo recente è legato alla pressione esercitata dai gruppi che sostengono questa iniziativa, come il think-thank indipendente Autonomy.work o il gruppo 4dayweek.com, piuttosto che da reali evidenze empiriche. Il suo pensiero è supportato da Spencer, economista inglese, che afferma come l’entusiasmo verso la riduzione dell’orario lavorativo è controproducente poiché devia l’attenzione dalla reale questione che dovremmo affrontare con urgenza: prevedere una paga più alta e migliorare le condizioni di lavoro per milioni di lavoratori nel mondo.
L’esperienza più citata in questi mesi riguarda la Gran Bretagna e il progetto che ha coinvolto circa 2.900 lavoratori. Secondo il report realizzato da Autonomy.work, la produttività complessiva delle imprese non ne ha risentito e in alcuni casi è addirittura aumentata. Il report sottolinea che il 92% delle imprese che hanno preso parte al progetto ha continuato con la sperimentazione, mentre diciotto imprese hanno deciso di adottare la settimana corta in modo permanente. Ancora più significativo è l’apprezzamento dei dipendenti: oltre il 15% dei partecipanti ha dichiarato di non voler più tornare indietro neanche a fronte di una paga più bassa. Questo dato non è tuttavia confermato in una ricerca, condotta nel 2012 da parte di Golden, in cui emerge che, quando la settimana corta è associata a un calo del reddito, l’entusiasmo dei lavoratori si riduce sensibilmente.
I gruppi che sostengono questa iniziativa ritengono che la settimana corta sia uno strumento utile per ridurre le diseguaglianze di genere sul lavoro. Nell’esperienza inglese è stato riscontrato che il numero di ore dedicato alla cura dei figli è raddoppiato tra gli uomini che hanno partecipato a questo progetto pilota. I sostenitori di questa politica tendono, spesso, a richiamare il pensiero di Marx o di Keynes, nell’idea che il progresso nella nostra società avrebbe richiesto un’estensione del tempo libero a disposizione degli individui e il miglioramento delle condizioni di lavoro.
Alcuni (anche il Governo, secondo un recente articolo pubblicato il 2 luglio) ritengono che la riduzione dell’orario di lavoro possa anche contribuire alla riduzione dell’emissione di CO2, aiutandoci a raggiungere i nostri obiettivi futuri di carbon neutrality.
Campbell ritiene questo entusiasmo esagerato e non fondato su reali evidenze empiriche, sottolineando che si tratta di dinamiche già vissute in passato. Nel 1970 si attribuirono alla settimana corta vantaggi eccessivi, quasi fantasiosi a volte, spesso frutto di altri fattori o di errori di misurazione. A un’azienda che vendeva pneumatici fu attribuito addirittura un aumento delle vendite pari al 400% dopo l’adozione della settimana corta.
Un punto importante dei sostenitori della settimana corta riguarda la capacità dei lavoratori di raggiungere una migliore efficienza complessiva sul lavoro. Con un’agenda più compatta, si ritiene sia possibile eliminare gli sprechi di tempo ed essere più concentrati ed efficienti, avendo più tempo ed energie da dedicare alla nostra vita privata e al nostro benessere.
La produttività complessiva, secondo alcuni, aumenterebbe. Tuttavia, non siamo dei robot che possono garantire sempre lo stesso livello di produttività e la realtà dei fatti è molto più complessa. L’economista Wernette, nel 1968, dichiarò che se tutte le aziende americane avessero optato per la settimana corta, riducendo di un quinto l’orario di lavoro, la produttività complessiva di beni e servizi e il modello di vita americano sarebbero crollati rapidamente. Anche se è possibile produrre di più ogni ora, è veramente impossibile, secondo Wernette, produrre in 32 ore la stessa quantità di merci prodotta in 36 o 40 ore settimanali. I primissimi studi empirici condotti negli Stati Uniti non registrarono aumenti significativi di produttività per effetto dell’introduzione della settimana corta.
Non è sempre tutto così semplice. Alla settimana corta si attribuiscono tensioni che potrebbero peggiorare anziché migliorare il work-life balance, per una maggiore intensificazione del lavoro e l’eccessiva pressione che potremmo subire quando siamo chiamati a raggiungere gli stessi obiettivi in un lasso di tempo inferiore.
Personalmente, concordo con questa visione: concentrando tutti gli impegni personali e familiari in un unico giorno della settimana potremmo essere ancora più stressati e indaffarati di prima. Immaginando che il mio giorno libero possa essere il venerdì, e che negli altri giorni della settimana sia impegnato dal mattino al tardo pomeriggio, dovrei concentrare al venerdì la spesa, la cura della casa, la gestione dei figli, l’attività sportiva, lo shopping, l’aperitivo con gli amici, la cena romantica con mia moglie, la lettura, il corso di disegno che rimando da anni, e così via. Non è uno strumento che si addice perfettamente alla mia organizzazione familiare perché, per fare un semplice esempio, l’attività sportiva delle mie bimbe si articola su due giorni alla settimana, senza parlare dei compiti su cui c’è bisogno di aiuto quasi tutti i giorni.
Certo, è possibile scegliere una diversa configurazione di settimana corta tra le varie opzioni disponibili. La settimana corta prevede infatti diverse configurazioni che un’azienda può scegliere di adottare, anche in modo non alternativo:
· la riduzione dell’orario giornaliero ogni giorno della settimana, uscendo dall’ufficio una o due ore prima ogni giorno;
· la chiusura totale dell’azienda per un giorno alla settimana;
· la definizione di un giorno alla settimana (lunedì o venerdì) libero da assegnare, a rotazione, ad alcuni membri del team divisi in sottogruppi per assicurare la continuità del business;
· la definizione di un monte ore lavorativo settimanale (pari a 32) con la possibilità di rispettare questo parametro nei vari periodi dell’anno, alternando settimane più intense e altre meno intense.
Campbell conclude la sua review con alcune importanti osservazioni che è necessario considerare se si vuole affrontare in modo serio questo tema, al netto di facili entusiasmi anche di alcuni colleghi accademici. Il quadro è complesso.
· La relazione tra la settimana corta e l’aumento della produttività è, nei fatti, inconsistente e non ci sono evidenze empiriche rigorose, con dati longitudinali, che attestano un aumento della produttività a seguito dell’introduzione di questo strumento.
· Alcuni studi evidenziano una riduzione dello stress e una maggiore capacità di conciliazione a seguito di questo strumento. Tuttavia, ne esistono in egual numero, che dimostrano come lo stress possa essere costante, se non aumentare – specialmente nel giorno in cui rientriamo in ufficio, quando c’è da smaltire il lavoro pregresso.
· Gli effetti positivi sulla salute sono inconsistenti.
· I lavoratori preferiscono la settimana corta prevalentemente se non associata a una riduzione del salario; in caso contrario l’entusiasmo generale mediamente si riduce.
· Se non è possibile godere di un weekend lungo, con il giorno libero che coincide con il venerdì o lunedì, la possibilità di lavorare su quattro giorni alla settimana riscontra un entusiasmo minore.
Qualora, alla luce di queste considerazioni, si decida di avviare una sperimentazione, Autonomy.work fornisce una serie di consigli su come implementare correttamente questo strumento.
· Consultare i dipendenti – attraverso specifiche indagini survey – per verificare le loro preferenze in merito a possibili configurazioni alternative di settimana corta;
· Preparare un protocollo d’intesa da far firmare ai dipendenti, definendo regole precise per la gestione di eventuali emergenze lavorative che dovessero verificarsi nel giorno di assenza dal lavoro;
· Predisporre un sistema informatico che aiuti a monitorare i giorni di lavoro e di riposo dei dipendenti;
· Informare i clienti dell’avvio di questa nuova organizzazione del lavoro;
· Sviluppare un sistema di metriche che possa permettere di monitorare gli effetti sulla produttività e sulla motivazione/benessere/soddisfazione dei dipendenti a seguito dell’implementazione della settimana corta;
· Avviare una revisione di alcune prassi lavorative «time consuming» e che erodono la produttività dei lavoratori, come l’organizzazione delle riunioni, la comunicazione via e-mail, la gestione di alcuni progetti con un numero troppo elevato di persone coinvolte, la necessità di istituzionalizzare dei blocchi di tempo «senza interruzione» e «focalizzati» che possano aiutare i lavoratori a completare il proprio lavoro meglio e in tempi più efficienti.
A volte, i lavoratori guardano alla settimana corta con speranza, come un modo per fuggire da dinamiche lavorative tossiche, caratterizzate da mancanza di fiducia, micro-management e scarsa autonomia nello svolgimento del proprio lavoro. Se questo fosse il problema, la soluzione allora non sarebbe quella di ricorrere a questo strumento di flessibilità oraria del lavoro ma tentare di migliorare la qualità complessiva dell’esperienza lavorativa e, spesso, le abilità di leadership dei nostri capi.
Nota bene: questo articolo è estratto da un mio libro che sarà pubblicato nel 2024, dal titolo Il buon equilibrista. Un buon work-life balance è possibile.
Marcello Russo, Professore ordinario di Comportamento organizzativo, Università di Bologna; Direttore del Global MBA, Bologna Business School.
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