GLOBALIZZAZIONE

La geopolitica sta cambiando. E anche il capitale di rischio dovrà cambiare

Hemant Taneja, Fareed Zakaria

Febbraio 2023

La geopolitica sta cambiando. E anche il capitale di rischio dovrà cambiare

Dilok Klaisataporn/Getty Images

L'ERA DELL'EGEMONIA AMERICANA STA FINENDO. Sta per essere sostituita da un nuovo ordine geopolitico mondiale definito dalla competizione tra grandi potenze e da crescenti nazionalismi, una transizione che avrà enormi conseguenze per l'economia globale. Questo nuovo contesto significherà la fine, o almeno un distanziamento, dalle condizioni uniche che hanno alimentato la crescita e lo sviluppo globale negli ultimi 30 anni, e introdurrà sfide sempre più complesse e sistemiche che richiederanno nuovi tipi di tecnologia, innovazione e collaborazione per essere risolte.

In poche parole, le tecnologie e le aziende che prospereranno in questa nuova era richiederanno più capitale, più pazienza e maggiori livelli di governance rispetto al passato. Per costruire e sostenere la prossima generazione di imprese capaci di performance durature, dobbiamo sviluppare un nuovo approccio alla creazione di imprese, che trascenda e, in ultima analisi, ridefinisca il capitale di rischio.

 

Il ritorno della politica e l'ascesa della ri-globalizzazione

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 sembrò segnare quella che Francis Fukuyama definì la "fine della storia", ovvero la fine di secoli di conflitti su quale potesse essere il miglior modello politico ed economico per i Paesi. Poco dopo, il crollo dell'Unione Sovietica riconfermò il ruolo degli Stati Uniti come unica e incontrastata superpotenza mondiale e, per quasi tre decenni, il mondo ha sperimentato qualcosa di molto raro: l'assenza di competizione tra grandi potenze. Ciò ha portato all'adozione dei caratteri peculiari dell’esperienza politica americana in molte parti del mondo: economia e commercio in un libero mercato, politica democratica e piattaforme tecnologiche aperte. Questi sviluppi hanno alimentato un'enorme crescita globale, portando i Paesi ad attenuare il perseguimento privilegiato dei propri interessi politici nazionali nella ricerca di una prosperità economica, un fenomeno che Thomas Friedman ha definito "camicia di forza dorata". In questo periodo, persino la Cina ha dato priorità alle riforme economiche rispetto al controllo governativo centralizzato, aprendo la propria economia agli investimenti esteri e al commercio globale – uno spostamento tettonico nell'ideologia di governo del Partito Comunista Cinese.

Questo periodo di riforme del libero mercato, di globalizzazione e di trasformazione tecnologica ha avuto anche l'effetto di abbassare i prezzi e contenere l'inflazione. Queste forze, insieme a una politica monetaria generalmente accomodante in tutto il mondo, hanno prodotto un ambiente macroeconomico insolito, favorevole all’introduzione di nuovi prodotti finanziari che hanno stimolato l'innovazione e la crescita. Per settori come il private equity e il venture capital, la possibilità di acquistare, rifinanziare e vendere attività è diventata un potente moltiplicatore di profitti che ha permesso anche a investimenti marginali di generare forti rendimenti positivi. In un contesto di performance altrimenti basse, questi rendimenti hanno stimolato nuovi livelli di investimento con una grande abbondanza di capitali, alimentando una nuova generazione di aziende e tecnologie.

Come tutte le vacanze, però, anche la "vacanza dalla storia" del mondo è finita. Il dominio americano ha iniziato a scemare e la competizione tra grandi potenze è in aumento, come dimostra soprattutto l'ascesa della Cina, ma anche di blocchi regionali come l'UE e di Paesi come l'India e il Brasile. Allo stesso tempo, l'impatto e la maggior frequenza delle crisi globali hanno messo a nudo le vulnerabilità critiche di un sistema strettamente connesso che ha privilegiato l'apertura e la velocità rispetto alla sicurezza e alla stabilità. A loro modo, la crisi finanziaria dell'Asia orientale, lo scoppio della bolla tecnologica, l'11 settembre, la crisi finanziaria globale, la pandemia di Covid-19 e, più recentemente, la guerra in Ucraina hanno tutti dimostrato i rischi di un mondo dinamico e globalizzato, in cui gli eventi locali diventano rapidamente crisi globali con enormi ramificazioni economiche, sociali e geopolitiche. Mentre i Paesi di tutto il mondo cercavano di riprendersi da ognuna di queste sfide e di proteggersi da quelle successive, e mentre aumentava la competizione tra le grandi potenze, molti di questi hanno iniziato a guardare oltre gli obiettivi di economia ed efficienza globali e a dare nuove priorità alla politica interna e alle capacità di resilienza. Gli esempi di questi comportamenti abbondano, dalla Brexit ai controlli sull'immigrazione, dalle sanzioni economiche al reshoring della catena di approvvigionamento.

Sebbene molti abbiano ipotizzato che questi cambiamenti possano portare a un periodo di de-globalizzazione – in cui saranno molti i Paesi che cercheranno di annullare tutte le interdipendenze degli ultimi 30 anni per rafforzare i propri sistemi nazionali - queste previsioni non tengono conto di una verità fondamentale: la maggior parte delle economie dipende dalla globalizzazione per sostenere le proprie industrie nazionali. I rapporti tra commercio e PIL di Messico e Germania, ad esempio, superano l'80%, rispetto al 25% degli Stati Uniti.

È troppo tardi e troppo poco desiderabile eliminare del tutto la globalizzazione, ma una rinnovata attenzione alle politiche nazionali farà sì che essa assuma una forma diversa: quella della ri-globalizzazione. In un ordine mondiale ri-globalizzato, i Paesi cercheranno di bilanciare i benefici della globalizzazione con l’obiettivo di costruire una maggiore indipendenza e resilienza nei loro settori più complessi e d’importanza sistemica: sanità, difesa, energia, produzione e servizi finanziari. Ciò richiederà enormi quantità di capitale e di pazienza, mentre i Paesi e le aziende cercheranno di rafforzare e riorganizzare le proprie reti nazionali di R&S, produzione e distribuzione. La natura profonda di queste sfide richiederà un approccio completamente nuovo alla creazione di imprese e all'innovazione, alterando il modello e la natura stessa del capitale di rischio.

 

Oltre il capitale di rischio

Nell'era della supremazia dell'economia sulla politica, sembrava che ci stessimo muovendo verso un mondo senza confini, dove il digitale regna sul fisico e dove le tecnologie possono proliferare facilmente in tutto il mondo attraverso mercati liberi. Queste condizioni, insieme ai benefici associati di prezzi bassi, bassa inflazione e bassi tassi di interesse, hanno portato a nuove forme di ingegneria finanziaria che hanno reso il capitale un punto di leva e hanno consentito alle promesse delle leggi di Moore e Metcalfe di fiorire.

È in questo periodo che è nato il moderno venture capital, come lo intendiamo oggi. Le aziende hanno potuto accedere a capitali relativamente poco costosi per finanziare modelli di business non provati e non ancora redditizi, mentre la tecnologia cercava di digitalizzare un mondo connesso a livello globale. I requisiti di capitale e tecnologia per questa digitalizzazione erano relativamente leggeri e le opportunità sembravano illimitate, data la limitata interferenza politica nei confronti del progresso economico. Per trarre vantaggio da queste dinamiche, la tecnologia e l'innovazione avevano la tendenza a (se non l'intenzione di) "muoversi velocemente e rompere gli equilibri" e per un venture capital il successo era definito da una rapida scalata, uscite rapide, rendimenti elevati e una governance limitata.

In questa nuova era di ri-globalizzazione, invece, la tecnologia sarà chiamata a risolvere sfide strutturali molto più complesse e ad alto rischio senza i vantaggi di mercati senza restrizioni, bassi tassi di interesse e "denaro facile". Ciò richiederà un nuovo modello di venture capital, che preveda impegni di capitale più consistenti, orizzonti di investimento più lunghi, maggiori livelli di collaborazione e una governance più significativa e profonda.

In nessun altro settore le complessità della ri-globalizzazione e il loro impatto sul futuro della creazione di imprese sono più evidenti che nell'industria globale dei semiconduttori. Dopo che il Covid ha messo a nudo le vulnerabilità della catena di fornitura globale, e mentre le tensioni tra Cina e Taiwan divampavano, gli Stati Uniti hanno annunciato l'intenzione di investire 280 miliardi di dollari per rafforzare le proprie capacità interne di ricerca e sviluppo e produzione di semiconduttori, nonché una serie di restrizioni all'esportazione di input avanzati per semiconduttori, al fine di rafforzare e sostenere il proprio vantaggio competitivo nei confronti della Cina.

La realizzazione di una riorganizzazione così ambiziosa di questo complesso settore non comporterà semplicemente la creazione di nuove aziende statunitensi tecnicamente sofisticate in grado di produrre rapidamente chip avanzati su vasta scala. Saranno necessari ingenti capitali e la cooperazione con le agenzie governative e gli operatori industriali esistenti per ristrutturare completamente la catena di approvvigionamento, dalla ricerca e sviluppo ai materiali e alla produzione dei componenti, fino alla distribuzione e al commercio.

Le nuove aziende che affrontano queste sfide nasceranno con livelli di ambizione, modelli di business e reti di distribuzione completamente diversi da quelli che abbiamo visto prima, e i progressi per raggiungere questi obiettivi richiederanno anni, se non decenni. E, in questo nuovo ordine mondiale, le dimensioni e la complessità di tali sfide non riguarderanno solo i semiconduttori. Dopo aver sperimentato l'impatto e le vulnerabilità della carenza di vaccini durante il Covid, molti Paesi stanno ora lavorando per rafforzare le proprie capacità di ricerca e produzione biotecnologica interna, in modo da non dover dipendere dal successo e dalla generosità di altri Paesi per proteggere i propri cittadini. Creare una tale resilienza globale, costruendo, o anche solo rafforzando, un'industria biotecnologica nazionale in qualsiasi Paese, comporterà un'enorme quantità di sviluppo e richiederà decenni, molto di più dei dieci anni di vita dei fondi che definiscono l'attuale modello di venture capital.

Inoltre, mentre i requisiti di finanziamento per queste sfide aumentano in un contesto economico globale sempre più rigido, la tecnologia dovrà fornire l'effetto leva che l'ingegneria finanziaria e i finanziamenti pubblici non possono più garantire. Il ritmo e la portata degli investimenti richiederanno alla tecnologia di collaborare con le aziende e i sistemi esistenti in modi mai visti prima. Si pensi all'energia: l'anno scorso, i governi del Regno Unito e dell'UE hanno annunciato una serie di sussidi energetici di emergenza per combattere l'aumento dei costi dell'energia a causa dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, portando il costo totale di tali misure a oltre 500 miliardi di dollari. Tuttavia, con un rapporto debito/PIL superiore al 100% nel Regno Unito e in gran parte dell'Europa, i Paesi non potranno permettersi un sostegno finanziario di questa portata all'infinito. Laddove un tempo i finanziamenti avrebbero potuto contribuire a sostenere i piani di resilienza energetica nazionale, ora la tecnologia dovrà assumere un'efficienza e un impatto molto maggiori.

Lo stesso vale per la sanità statunitense. Mentre la popolazione invecchia e si ammala di più, il rischio di un'altra pandemia globale incombe e il costo del capitale aumenta, né le aziende private né il Governo saranno in grado di spendere centinaia di miliardi di dollari per lo sviluppo di nuovi farmaci o di finanziare continuamente modelli di assistenza non redditizi. L'innovazione tecnologica nell'IA per la scoperta di farmaci, nelle infrastrutture e nei sistemi di pagamento, e nell'assistenza digitale sarà l'unico modo per piegare materialmente la curva dei costi in questi settori complessi e di importanza sistemica, e il cambiamento può avvenire nella scala richiesta solo in base alle risorse e alle partnership dei sistemi esistenti.

Se da un lato le sfide della ri-globalizzazione richiederanno nuovi modelli di finanziamento e collaborazione, dall'altro il loro impatto più significativo riguarderà il livello di responsabilità e la profondità della governance che i venture capitalist dovranno assumersi data l’ampiezza di queste sfide e le loro potenziali implicazioni sulle persone e sulle società. Questa responsabilità diventa sempre più forte man mano che cerchiamo di costruire sistemi di difesa di nuova generazione, reti finanziarie decentralizzate e di utilizzare l'intelligenza artificiale in aree precedentemente lasciate al ragionamento e al giudizio umano.

In passato, requisiti di capitale più limitati e orizzonti di investimento più brevi hanno purtroppo consentito agli investitori di abdicare alla governance e ai piani di innovazione responsabile dei team di gestione o di scaricare tali preoccupazioni su altri investitori. Ciò ha avuto effetti dannosi sulla sostenibilità ambientale e, in molti casi, ha ostacolato la diffusione di una prosperità più inclusiva. In futuro, le sfide di questo nuovo ambiente richiederanno orizzonti di investimento molto più lunghi e maggiori livelli di impegno finanziario e intellettuale, con un maggiore allineamento ai risultati, obbligandoci a governare più attivamente le tecnologie, i sistemi e le aziende che cercheremo di innovare.

 

Una nuova era di investimenti

Negli ultimi 30 anni, il venture capital è stato sia contributore sia beneficiario del rapido ritmo dell'innovazione che ha definito l'era del "primato dell'economia sulla politica". I partecipanti al settore si aspettano un rapporto rischio/rendimento ampiamente favorevole, definito da ritorni elevati su investimenti di durata relativamente breve che richiedono una governance limitata. Nell'era della ri-globalizzazione e della resilienza globale, tuttavia, questi modelli non saranno più sufficienti. La complessità delle sfide odierne e la gravità delle implicazioni dell'innovazione renderanno necessario un nuovo paradigma per gli investimenti che dia la priorità a una maggiore collaborazione e a una mentalità di lungo termine per costruire aziende durature. Questo non deve essere motivo di pessimismo o di nostalgia per una "età dell'oro" ormai scomparsa. Costruire aziende in questo nuovo ambiente garantirà un successo duraturo. Il venture capital potrà continuare a prosperare se abbraccerà le nuove sfide e opportunità di questa epoca e le sfrutterà come occasioni uniche per ridisegnare il mondo.

 

Hemant Taneja è CEO e amministratore delegato della società globale di venture capital General Catalyst, finanziatrice di aziende leggendarie come Stripe, Snap, Samsara, Airbnb, Kayak e Gusto. Hemant è anche un autore di best seller e sostenitore dell'innovazione responsabile; il suo ultimo libro Intended Consequences è stato nominato da Forbes uno dei dieci libri tecnologici del 2022. Fareed Zakaria è il conduttore di Fareed Zakaria GPS sulla CNN e un editorialista del Washington Post. È autore di quattro bestseller del New York Times: Ten Lessons for a Post-Pandemic World (2020), In Defense of a Liberal Education (2015), The Post-American World (2008) e The Future of Freedom (2003).

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