SPECIALE / RIPENSARE L’EFFICIENZA
Eliminare gli sprechi è il santo graal della scienza manageriale, ma enfatizzare eccessivamente questo obiettivo causa un’infinità di problemi. Le aziende dovrebbero preoccuparsi almeno altrettanto della resilienza.
DI ROGER L. MARTIN
Gennaio 2019
Nel suo capolavoro del 1776, il Saggio sulla ricchezza delle nazioni, Adam Smith dimostrò che una intelligente divisione del lavoro avrebbe potuto rendere un’impresa industriale molto più produttiva che se ciascun operaio si fosse incaricato personalmente di costruire un prodotto finito. Quattro decenni dopo, nei Principi di economia politica e dell’imposta, David Ricardo corroborò la tesi di Smith con la teoria dei vantaggi comparati, affermando che siccome era più efficiente per gli operai portoghesi produrre vino e per gli operai inglesi produrre tessuti, ognuno dei due gruppi avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulla propria area di vantaggio competitivo e a commerciare con l’altro.
Entrambe le intuizioni riflettevano, e guidavano al tempo stesso, la rivoluzione industriale, che mise al centro sia innovazioni di processo che riducevano gli sprechi sia l’applicazione di nuove tecnologie. L’idea che il modo in cui organizziamo il lavoro possa influenzare la produttività più di quant
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