SUCCESSION PLANNING

Il vostro prossimo CEO dovrebbe venire dal board?

In alcuni casi è un’opzione che vale certamente la pena considerare

Reshmi Paul, Heidi Smith, Samantha Hellauer, Shoma Hayden

Dicembre 2024

Il vostro prossimo CEO dovrebbe venire dal board?

Quando un’azienda assegna il ruolo di CEO a uno dei suoi consiglieri di amministrazione, la gente pensa spesso che ci debba essere qualcosa che non va.

Forse l’azienda sta tentando disperatamente di tirarsi fuori da un periodo prolungato di difficoltà. Forse l’uscita del CEO precedente è stata inattesa o forzata, e solo un consigliere di amministrazione esperto e navigato può mantenere la nave in assetto finché non si riesce a trovare un sostituto. O forse l’uscita del CEO era programmata e prevista, ma in qualche modo il succession planning non ha funzionato secondo le attese.

Sono tutte spiegazioni ragionevoli. Negli ultimi 10 anni, tuttavia, data la sempre maggiore complessità del ruolo di CEO, alcune imprese hanno scelto come leader un membro del board per un’altra ragione: era l’opzione migliore.

Le organizzazioni che fanno questa scelta sono sempre più numerose. Tra il 2018 e il 2023, le nomine di CEO provenienti dal board si sono triplicate tra le aziende che compongono gli indici S&P 500 e Russell3000. In questo periodo 213 nuovi CEO (il 10% del totale) provenivano dal board, facendo del ruolo di consigliere di amministrazione il quarto più comune prima dell’ascesa al vertice dopo quelli di chief operating officer (32%), direttore di divisione (16%) e presidente (14%). Inoltre, la maggior parte di quei 213 CEO erano stati assunti a tempo indeterminato. In effetti il numero di membri del board selezionati come CEO in via permanente, non ad interim, è aumentato dell’88% dal 2018 al 2023. Esempi recenti di alto profilo sono Larry Culp di GE, Carol Tomé di UPS, Richard Dickson di Gap e Jim Taiclet di Lockheed Martin.

Selezionare il CEO tra i membri del board è ancora più l’eccezione che la regola, ma ci sono ragioni più che valide per prendere in considerazione questa possibilità. Soprattutto, i membri del board possono spesso adottare in modo efficace sia prospettive interne sia prospettive esterne. In quanto insider, hanno una preziosa sensibilità nei confronti della cultura, della storia e della strategia dell’azienda; e, in quanto outsider, possono metterne più facilmente in discussione le logiche operative.

Ma il passaggio da consigliere di amministrazione a CEO è particolarmente delicato. Possono insorgere parecchie difficoltà. Gli altri membri del board potrebbero non conoscere il loro collega bene quanto credono, avendo lavorato insieme a lui o a lei in un unico contesto, e sovrastimare il suo livello di comprensione dei meccanismi organizzativi. Quando vengono scavalcati in favore di un membro del board, i candidati interni possono demotivarsi o addirittura andarsene. Se viene gestita senza la necessaria cura, la transizione da board member a CEO può intaccare il morale e distruggere valore a tutti i livelli.

Ma qual è il modo giusto per valutare i rischi e le ricompense della selezione di un consigliere di amministrazione come prossimo CEO? E, se decidete di assegnare la posizione a un director, come potete – voi e la persona che scegliete – massimizzare le vostre probabilità di successo?

Sono interrogativi su cui abbiamo riflettuto approfonditamente. Ne abbiamo parlato diffusamente con dei CEO che provenivano dal board – e con i CdA che li hanno assunti. Abbiamo anche analizzato le transizioni board-CEO che hanno avuto luogo negli ultimi anni tra le aziende degli indici S&P 500 e Russell3000. Attingendo a ciò che abbiamo appreso nel lavoro con i clienti e nelle nostre ricerche, offriremo in questo articolo utili indicazioni per tutti i soggetti coinvolti – board che stanno valutando la possibilità di nominare CEO uno dei loro componenti, consiglieri di amministrazione che sono stati selezionati per la posizione di vertice, e leader delle risorse umane che devono gestire le tante dinamiche sensibili in gioco.

 

Quando ha senso?

Con l’intensificarsi dei livelli di disgregazione in campo socioeconomico e geopolitico, tre fattori sono divenuti predittori importanti di successo per i nuovi CEO: efficacia dimostrata in passato in un ruolo analogo, conoscenze istituzionali e, nella maggior parte dei casi, esperienza significativa nel settore.

I membri del board hanno spesso questi requisiti. Come ci ha detto un director che ha preso parte alla selezione di un membro del CdA per la nomina a CEO, «Sì, il tour di ascolto è ancora necessario, ma il nuovo CEO che proviene dal board non sta familiarizzando con il settore, con l’azienda, con la cultura o con il contesto partendo da zero, perciò i primi 90 giorni sono molto più pianificati e molto più mirati».

La maggior parte dei consiglieri di amministrazione chiamati a ricoprire il ruolo di CEO negli ultimi cinque anni (il 73%) aveva un’esperienza pregressa in un ruolo analogo, il che non avveniva per i loro omologhi in uscita (ce l’aveva solo il 38%). Ciò si deve certamente anche ai livelli di incertezza senza precedenti che hanno dovuto affrontare le imprese in questo periodo, inclusa la pandemia da Covid-19 e i suoi postumi. Affidandosi a leader collaudati, hanno potuto infondere un senso di sicurezza in tutti gli stakeholder. Ma non era solo per fare scena: noi abbiamo scoperto che i consiglieri di amministrazione nominati CEO con un’esperienza pregressa in questo ruolo avevano il 10% di probabilità in più di fare meglio del mercato nei cinque anni successivi rispetto ai CEO di prima nomina selezionata dal board. L’esperienza conta.

Prendete il caso di una public company alla ricerca di un nuovo leader con esperienza nel ruolo e nella tecnologia, ma anche in grado di contribuire a preservarne la cultura specifica. Con questi vincoli, ha scelto un board member di lungo corso che era già stato CEO di una public company.

Il CEO neoeletto ha cominciato a svolgere il suo lavoro con le idee chiare su ciò che sapeva e non sapeva dell’azienda. Era consapevole di quanto dovesse apprendere ancora. All’inizio del suo mandato ha dedicato visibilmente del tempo a studiare il business e ad ascoltare i dipendenti. Ciò gli ha permesso di definire un’agenda condivisa per migliorare la strategia dell’azienda e sviluppare un legame più profondo con i suoi prodotti e con la sua cultura. E ha mantenuto solide relazioni con il CEO in uscita e con altri leader in pensione, che gli hanno fornito indicazioni importanti sulla cultura e sulla strategia dell’organizzazione.

Quando gli abbiamo chiesto una riflessione su cosa volesse dire essere selezionato dal board per la posizione di CEO, ci ha detto che non era poi così diverso rispetto a essere assunto dall’esterno. «Provenire dal board non è radicalmente diverso rispetto a provenire dall’esterno», ci ha spiegato, «anche se si potrebbe percepire diversamente. Per svolgere effettivamente questo lavoro, mi è servito più o meno lo stesso tempo di familiarizzazione con l’azienda di cui avevo avuto bisogno nell’azienda che avevo guidato anni prima».

Ha aggiunto che secondo lui potrebbe essere facile per i director che diventano CEO sovrastimare il valore propedeutico dell’esperienza che hanno maturato nel board. «Il ruolo di CEO è molto diverso da quello di consigliere di amministrazione», ha detto. «Aver fatto parte del CdA è pressoché irrilevante una volta che sei entrato in carica. Il lavoro del CEO è uno sport di contatto al 100%».

Ciò nonostante, è fermamente convinto che la sua esperienza nel board dell’azienda gli abbia conferito dei vantaggi importanti: il lungo rapporto interpersonale con il CEO in uscita, le relazioni con il gruppo dirigente e l’esperienza maturata con gli altri consiglieri gli hanno permesso di agire rapidamente su questioni spinose, senza la necessità di ottenere l’approvazione del board, specie nelle fasi di turbolenza. «Quando le cose si mettono male», ci ha detto, «ho il beneficio di relazioni più prolungate»,

Quando un’azienda è abituata ad assumere i CEO dall’interno e quindi ritiene che possa essere rischioso prenderne uno dall’esterno, un membro del board può rappresentare un buon compromesso. In una delle nostre aziende clienti, una società di investimenti quotata in borsa che non ha mai avuto un CEO esterno, c’è un gap considerevole di reattività tra i suoi leader emergenti e il CEO attualmente in carica, che dovrebbe andare in pensione tra quattro o cinque anni. Per colmare la lacuna, l’azienda ha iniziato a prendere in considerazione non solo candidati esterni ma anche consiglieri di amministrazione. «Abbiamo cominciato a simulare diversi scenari», ci ha detto la chief human resources officer. «Dedichiamo più tempo di quanto non faremmo normalmente a discutere il profilo dei candidati provenienti dal board e a domandarci se hanno molti degli elementi che cerchiamo in un futuro CEO». Inoltre, ha specificato, «vediamo nei tre posti resisi vacanti quest’anno nel board un’altra opportunità per accrescere le opzioni che avremo a disposizione in futuro».

Questo approccio può essere particolarmente utile quando il CEO in uscita è un fondatore alla ricerca di un successore in grado di mantenere e rafforzare le conoscenze istituzionali e la cultura dell’organizzazione. In effetti, nella nostra analisi abbiamo scoperto che il 12% dei consiglieri nominati CEO sostituivano fondatori uscenti

Quale che sia l’esperienza pregressa dei director che vengono chiamati a ricoprire il ruolo di CEO, abbiamo scoperto che la durata della permanenza in consiglio fa la differenza nella loro performance – senza dubbio perché più tempo trascorso nel board significa maggiore esposizione alla strategia, alla cultura e agli stakeholder principali dell’azienda. In media, nella nostra analisi, i CEO selezionati all’interno del board avevano trascorso poco più di quattro anni nel ruolo di director, e quelli che avevano preso il timone di aziende incluse nell’indice S&P 500 potevano vantare una militanza ancora più lunga: mediamente, sei anni. Curiosamente, quelli che avevano passato un anno in più nel CdA (rispetto ai loro omologhi) avevano fatto meglio del mercato nei primi due anni del loro mandato al vertice.

Il caso di UPS è istruttivo. Nel 2020, quando si preparava alla successione del CEO, l’azienda cercava un leader in grado di apportare all’organizzazione una visione trasformativa di lungo termine pur rispettandone le tradizioni. UPS ha sempre allevato internamente i suoi candidati alla posizione di CEO, dando la priorità a quelli che ne conoscevano a fondo le complesse operations dell’azienda e la fedele e longeva forza lavoro. Il CEO uscente, David Abney, aveva lavorato 40 anni in UPS prima di prenderne il timone nel 2014. Il suo predecessore, Scott Davis, ci aveva lavorato 22 anni prima di diventarne il leader nel 2008. Tuttavia, date le dinamiche competitive, i problemi di profittabilità dell’azienda e l’entità del cambiamento che avrebbe dovuto attuare il prossimo CEO, nel 2020 la scelta è caduta su un candidato meno tradizionale: Carol Tomé, che faceva parte del consiglio di amministrazione da 17 anni ed era stata per 18 anni la chief financial officer di Home Depot. Fin dalla sua nomina, Tomé ha fatto da ponte tra il passato e il futuro di UPS, portando avanti una strategia focalizzata sulla profittabilità e sull’efficienza, sfruttando la tecnologia per aumentare la penetrazione nel mercato delle piccole e medie imprese, accrescendo le capacità dell’azienda nella logistica sanitaria e sviluppando una visione più articolata di Amazon come concorrente e come cliente. I suoi sforzi vengono elogiati sia all’interno sia all’esterno.

Tomé merita un grande apprezzamento per i suoi successi – ma lo merita anche il board di UPS, che ha intrapreso una serie di azioni ponderate per assicurare una transizione efficace. «Ci vogliono uno sforzo effettivo e un lavoro improbo per gestire bene questo passaggio», ci ha detto Bill Johnson, il chairman di UPS. «Non puoi solo abbracciare con lo sguardo la sala consiglio e dire: "Quella persona potrebbe fare al caso nostro". Non sarebbe nell’interesse dei nostri azionisti, dei nostri dipendenti e dei nostri stakeholder. Noi volevamo che la persona designata passasse attraverso l’intero processo e sapesse di rappresentare la miglior scelta possibile tra tutte le opzioni a disposizione».

Il board di UPS ha dato anzitutto ai candidati la possibilità di partecipare al processo di assessment del CEO, che consisteva nel valutarne obiettivamente la preparazione per le esigenze future dell’azienda, e poi investire nello sviluppo di ciascun executive. Avendo capito che i leader interni dovevano acquisire più esperienza per far bene nel ruolo di vertice, il CdA ha inserito Tomé nel novero dei possibili candidati. Poi lei si è autoesclusa da tutte le conversazioni sulla successione. Il board l’ha valutata con lo stesso processo che aveva usato con i candidati interni, e nonostante la piena convinzione dei consiglieri sulle sue qualità, ha intervistato anche diversi candidati esterni. Alla fine, Tomé si è imposta come candidata ideale per la missione da realizzare. Da parte sua Tomé, che all’epoca era già in pensione, ha usato il processo per accertarsi di essere pronta a raccogliere la sfida. «Quel processo è stato utile anche per me», ci ha detto, «perché mi ha spinto a chiedermi se volessi veramente assumere quell’incarico».

Avendo fatto parte del board per quasi due decenni, Tomé conosceva già le leve strategiche, la cultura e i valori dell’azienda, il che le ha consentito di concentrarsi più rapidamente sull’obiettivo di indirizzare stabilmente UPS verso una crescita duratura e profittevole. Negli anni immediatamente successivi, ha affrontato la pandemia, problemi sociali e geopolitici, trattative sindacali e un ambiente competitivo dinamico con un approccio ultra-determinato, incentrato sulle persone e guidato dall’innovazione che metteva al primo posto il cliente. E i suoi sforzi sono stati ripagati: UPS ha raggiunto con un anno di anticipo i target finanziari che aveva fissato per il triennio 2021-2023.

 

Cosa può andare storto?

Poiché i membri del board sono persone note, i problemi specifici che si associano alla loro elevazione a CEO potrebbero venire trascurati. Nei casi in cui la nomina avviene in una prospettiva di lungo termine (anziché ad interim), è fondamentale tener conto di quattro rischi potenziali.

Confondere l’expertise maturata nel board con la piena preparazione al ruolo. «Non devi illuderti che la militanza nel board ti dia automaticamente un vantaggio», ci ha detto un CEO che proveniva dal CdA. Il solo fatto di essere stati nel board non implica necessariamente lo sviluppo di una conoscenza approfondita del business. E anche se ce l’avete, non assicura una performance soddisfacente nella posizione di CEO. Il 25% dei consiglieri di amministrazione nominati a CEO permanenti che abbiamo studiato è durato meno di un anno in quel ruolo, e solo il 53% ha tagliato il traguardo dei due anni. Il candidato giusto dovrebbe avere un mix di esperienza operativa, familiarità con il settore e disponibilità a migliorare la conoscenza del business con una immersione totale e un attento ascolto dei dipendenti.

Competizione all’interno del board. È un meccanismo insito nella natura umana: quando i membri del board si rendono conto di far parte di un pool di candidati alla posizione di CEO, alcuni di loro potrebbero iniziare a brigare per conquistarla. Questo atteggiamento può inquinarne il ruolo fondamentale di partner sostenitori e consiglieri obiettivi dei leader aziendali.

Reazioni negative dei candidati interni. Fanno parte anch’esse della natura umana: come abbiamo osservato in precedenza, quando vengono scavalcati in favore di un membro del board, i candidati interni possono demoralizzarsi e persino decidere di andarsene – il che può avere un effetto a cascata sull’intera organizzazione. Vale la pena di riflettere a lungo e intensamente sulle possibili conseguenze dell’assunzione dal board. Come ci ha detto un CEO, «I costi potrebbero essere superiori ai benefici».

Decisioni inquinate dalla pressione orizzontale. Nessun consigliere di amministrazione dovrebbe assumere la carica di CEO per fare un favore ai colleghi del board o per fare la figura del salvatore ai loro occhi. I CEO eletti dovrebbero accettare la nomina perché la desiderano e perché sanno di essere le persone giuste al posto giusto. La pressione per indurli ad accettarla è spesso più elevata – e più facile da subire – in presenza di una crisi. È essenziale distinguere l’adulazione dalla realizzazione. La posta è troppo alta per agire in qualsiasi altro modo.

Le aziende che non tengono conto di questi pericoli possono ritrovarsi facilmente in cattive acque. È accaduto recentemente a un’azienda tecnologica quotata in borsa in cui facevamo coaching a un senior executive. L’azienda ha selezionato il CEO all’interno del board prendendo un clamoroso abbaglio.

Il processo ha avuto inizio quando il fondatore ha annunciato la decisione di lasciare per diventare executive chairman con l’obiettivo di focalizzarsi sull’innovazione e sulla strategia di lungo termine. A quel punto, il board ha chiamato a succedergli uno dei suoi membri. La scelta sembrava corretta: il nuovo numero uno, che sedeva nel CdA da poco tempo, aveva ricoperto più volte le cariche di CEO e di CFO e conosceva a fondo il settore. Agli altri colleghi del board sembrava un collega fidato che aveva spuntato, per così dire, tutte le caselle.

Sfortunatamente, il board non aveva stabilito come il nuovo CEO avrebbe dovuto collaborare con il fondatore, che non condivideva la sua visione sullo sviluppo dei prodotti e sull’innovazione e non era disposto a cedere il controllo del processo decisionale. Inutile dire che ciò impediva al nuovo amministratore delegato di svolgere efficacemente il suo lavoro. Dopo sei mesi dalla nomina si è dimesso, e il fondatore ha riassunto la carica di CEO pur rimanendo anche executive chairman. La notizia del cambiamento intervenuto al vertice ha fatto calare del 6% il prezzo dell’azione. E ci sono state altre implicazioni negative: il primo candidato interno alla successione se n’è andato poco dopo l’assunzione del consigliere di amministrazione, e il morale degli altri leader ad alto potenziale è crollato. Alla fine del processo l’azienda si è ritrovata al punto di partenza, ancora una volta alla ricerca di un CEO.

 

Come potete accrescere le vostre probabilità di successo?

La transizione da membro del board a CEO può essere una mossa vincente, ma richiede uno sforzo meditato, non solo prima, ma anche dopo la selezione del nuovo capo-azienda. Conviene tenere a mente quattro regole.

Pianificate presto e spesso. Quando è ora di sostituire il CEO, date al board abbastanza tempo per essere dinamico, strategico, ben informato e ponderato nelle sue decisioni. Ciò vale per tutto, dalla predisposizione delle liste dei candidati alla previsione degli scenari per la successione. Una pianificazione tempestiva vi aiuta a evitare di assumere dal board per disperazione. Per esempio, nella società di investimenti che abbiamo menzionato prima, la CHRO dedicherà i prossimi quattro o cinque anni a sviluppare deliberatamente dei candidati interni alla posizione di CEO, collocandoli in ruoli-chiave e investendo abbondantemente sulla loro preparazione – valutando nel contempo il potenziale di crescita dei tre nuovi consiglieri di amministrazione.

Trattate i candidati del board esattamente come tutti gli altri. Troppo spesso, poiché si sentono in imbarazzo nel valutare rigorosamente i propri componenti, i board evitano di investigare sugli aspetti più critici. È un errore. Nel momento in cui un director diventa candidato alla posizione di CEO, va escluso da tutte le discussioni sull’argomento, proprio come è avvenuto per Tomé in UPS. Nella valutazione di quel candidato, dovreste usare la stessa scheda di misurazione del potenziale e delle competenze che usate per tutti gli altri candidati, interni ed esterni.

Restate credibili agli occhi del gruppo dirigente e dell’organizzazione. Quando i board selezionano un CEO al proprio interno, è fondamentale che comunichino proattivamente con gli altri candidati interni, spiegando chiaramente perché non sono stati selezionati e quale sarà l’impatto di quella decisione sul loro percorso di carriera. Se possibile, dovreste dargli personalmente la notizia prima dell’annuncio ufficiale – e fargli sapere che avvierete immediatamente il processo di succession planning del prossimo CEO. Enfatizzare la volontà di continuare a sviluppare dei talenti all’interno è un ottimo sistema per rimotivare i leader ad alto potenziale e prevenire il rischio di un vuoto inatteso al vertice dell’azienda.

Quanto al CEO che è stato selezionato in seno al board, quella persona deve focalizzarsi al massimo sull’obiettivo di ottenere consenso e seguito. Uno di questi CEO ha fatto anzitutto un tour di ascolto di cento giorni, proprio come aveva fatto quando aveva assunto la carica di CEO in un’altra azienda provenendo dall’esterno.

Fissate ruoli chiari e ben delimitati per il presidente e per il CEO subentrante. La relazione tra il consigliere di amministrazione nominato CEO e gli altri membri del board deve evolversi e modificarsi. Per agevolare la transizione, il presidente del CdA o il consigliere anziano dovrebbe adoperarsi per creare una sana separazione tra il nuovo CEO e i suoi ex colleghi del board. E i nuovi CEO dovrebbero fare la stessa cosa. «Devi dedicarti totalmente al ruolo di CEO», ci ha detto un ex director che si è trasferito nell’ufficio angolare. «Non puoi cercare di essere un po’ membro del board e un po’ CEO».

 

Qualunque azienda che stia prendendo in considerazione un consigliere di amministrazione come prossimo CEO deve riflettere molto attentamente sui pericoli e sulle linee guida che abbiamo descritto in questo articolo. Quando le transizioni da membro del board a CEO hanno successo, di solito è perché hanno avuto luogo all’interno di un processo di successione estremamente accurato che teneva conto non solo dell’anzianità in CdA, dell’esperienza pregressa nel ruolo di CEO e dell’expertise di settore, ma anche di dinamiche organizzative altamente specifiche.

Occorre anche guardare sempre al quadro complessivo. I membri del board non dovrebbero mai rappresentare la vostra opzione di default per la selezione del CEO. Le strategie di successione efficaci massimizzano la gamma delle vostre possibili scelte. Quando vogliono assumere un nuovo CEO, le aziende devono attingere a un ecosistema il più vasto possibile di senior executive esperti per identificare la persona più idonea a guidare l’organizzazione e a raggiungerne gli obiettivi. È un ambiente competitivo, e dovrebbe vincere la persona più adatta a guidare l’azienda nella successiva fase di crescita. In alcuni casi potrebbe già essere un membro del board.

 

RESHMI PAUL è partner, consulente di CEO e board sui temi della leadership e coleader della CEO succession practice di ghSmart. È laureata in Strategia aziendale e in Psicologia clinica. HEIDI SMITH è una coleader della CEO succession practice di ghSmart. SAMANTHA HELLAUER è senior manager, ricercatrice e strategist di ghSmart. SHOMA HAYDEN è partner di ghSmart, nonché la sua esperta di sviluppo della leadership.

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