EDITORIALE
Enrico Sassoon
Dicembre 2024
Il dato può sorprendere. Secondo Gallup, il 20% dei lavoratori nelle organizzazioni ha un problema di solitudine, si sente isolato/a, poco seguito, poco compreso, alle prese con capi e colleghi distanti e disinteressati, qualche volta ostili o comunque poco empatici o amichevoli. Ovviamente, come sempre, si può vedere il bicchiere mezzo vuoto invece che mezzo pieno e considerare che, specularmente, 4 lavoratori su 5 questa sindrome d’abbandono non ce l’hanno e vivono passabilmente bene la loro situazione lavorativa.
Sarebbe però riduttivo, perché ben sappiamo, da altre frequenti indagini, che oltre l’80% dei dipendenti delle aziende si dichiara poco coinvolto e poco motivato, scarsamente in sintonia con l’azienda e i suoi obiettivi. Tema che diventa ancora più sensibile se si fa riferimento alle nuove generazioni, i millennial e la GenZ, che esprimono un distacco ancora più accentuato, il desiderio di una vita lavorativa meno impegnativa e di uno spazio per la vita personale maggiore rispetto alle precedenti coorti del lavoro.
Dunque, il tema della solitudine non può essere né circoscritto né sottovalutato, anche perché il futuro del lavoro si manifesta ormai in termini di un’incidenza crescente di forme di lavoro ibrido, ossia con componenti sempre più ampie di lavoro da remoto, più o meno strutturato. È ben vero che le autrici dell’articolo sulla solitudine nel lavoro, Hadley e Wright, esprimono l’opinione che il lavoro in presenza non attenua il senso di isolamento quando questo esiste per i motivi più vari. Né la buona disposizione dei gruppi di lavoro modifica sostanzialmente gli equilibri.
Ma il punto più rilevante è probabilmente quello che identifica l’origine del problema nell’organizzazione e non negli individui, e mette l’accento sulla necessità che una maggiore responsabilità e consapevolezza ricada sulla prima e non sui secondi. L’invito ai manager è di creare un ambiente di lavoro più inclusivo e collaborativo, inserendo sistematicamente momenti di socialità e pause di alleggerimento dai ritmi di lavoro troppo stressanti, creando insomma un clima da famiglia felice dove ciascuno possa trovare una dimensione appropriata alla propria personalità e ai propri obiettivi personali e professionali.
C’è chi può trovare una formula di questo tipo un po’ troppo spostata verso le responsabilità dell’ambiente in cui ci si muove, vive e opera e troppo poco centrata sulle responsabilità individuali. È ben vero, si argomenta in non poche direzioni HR, che occorre avere sempre la barra ben orientata sul coinvolgimento e la motivazione, ma è bene anche evitare di considerare i lavoratori come privi di una propria autonomia professionale e psicologica, costruendo situazioni che alla fine possono risultare poco stimolanti ed eccessivamente deresponsabilizzanti.
Lo Speciale di questo numero affronta in modo estensivo le tematiche del coinvolgimento e dell’employee experience, all’interno di un filone di pensiero che, una volta di più, pone il centro dell’osservazione sull’incapacità di molte aziende di creare un ambiente nel quale i dipendenti possano trovare il senso del lavoro, la possibilità di esprimersi e di partecipare e di mettere in equilibrio armonico vita personale e professionale. Bernstein, Horn e Moesta scrivono in modo assai chiaro che spesso “i dipendenti che decidono di cambiare lavoro lo fanno perché sentono che non stanno realizzando i progressi che vorrebbero nella carriera e nella vita”. Da qui, si dice, i passi inevitabili arrivano in successione, procedendo da un iniziale senso di solitudine verso un progressivo logoramento, una stanchezza che porta al burnout, un esaurimento che conduce all’abbandono e alla ricerca, più o meno realistica, di nuove situazioni più consone e incentivanti.
In effetti, i dati che le ricerche propongono ci dicono che i trend emersi nei tre anni scorsi, in primo luogo quello della great resignation, si sono attenuati ma non sono per nulla scomparsi. È dunque un quadro realistico quello che emerge dalle ricerche, anche se occorre sempre riuscire a leggere e valutare i dati in modo equilibrato. Così fa, per esempio, l’indagine realizzata da Apaform e Federmanagement, che i lettori possono consultare sia in questa rivista sia, in modo integrale, nella versione online.