STRATEGIE NEGOZIALI
Horacio Falcão, Thomas Wiegelmann
Aprile 2025
In un mondo globalizzato, le imprese per crescere guardano sempre più frequentemente ai mercati internazionali. Ma concludere affari su più Paesi è difficile. Team di persone provenienti da culture diverse devono riuscire a negoziare avendo aspettative diverse non solo sul risultato, ma anche sul processo: a volte le parti mancano sia di un linguaggio comune sia di norme operative condivise, il che viene a complicare uno sforzo già abbastanza complesso.
Di fronte a queste criticità, i negoziatori vengono spesso abbandonati a sé stessi, per cui devono rifarsi a precedenti storici non pertinenti o a una logica convenzionale che c’entra poco con la trattativa in questione, oppure si richiamano a teorie accademiche o di altro tipo che sembrano spiegare le differenze culturali ma si basano su generalizzazioni che ignorano le specificità del caso. Tutto ciò potrebbe indurre i dealmaker ad attribuire impropriamente le difficoltà negoziali a differenze culturali.
In una trattativa contrattuale che abbiamo studiato, il negoziatore tedesco attribuiva i problemi che si erano creati con la controparte cinese, e lo stallo che ne derivava, alla propria scarsa conoscenza della cultura cinese. Il cinese rifiutava costantemente le condizioni offerte dal tedesco, anche quando erano in linea con gli standard internazionali: tentava invece di imporre condizioni che, a suo dire, aderivano agli standard del suo Paese. Quando l’altro gli ha chiesto di documentare quelle affermazioni, il cinese si è mostrato offeso e ha detto che il tedesco avrebbe dovuto fidarsi della sua parola.
In una fase successiva del negoziato, dopo aver trovato un’intesa con la controparte su diversi punti, il cinese continuava a riaprire la discussione senza fornire alcuna giustificazione legittima per questo suo comportamento. Cercava costantemente di migliorare a proprio vantaggio le condizioni già concordate e rifiutava tutte le controproposte, sottraendo lentamente ma risolutamente valore al tedesco. Tutte le volte che quest’ultimo obiettava, il cinese rispondeva che era necessario per costruire una partnership di lungo termine come usava nel suo Paese. Solo a distanza di tempo, grazie al coaching di un esperto negoziale, il tedesco si è reso finalmente conto che la controparte aveva usato le differenze culturali come cortina fumogena per mettere in atto comportamenti discutibili e antagonisti.
Ma come possono i negoziatori affrontare con successo le complessità della cultura? Noi abbiamo studiato, insegnato e fatto consulenza sulla negoziazione interculturale e sul teamwork multiculturale, oltre a condurre trattative in prima persona per cinque decenni complessivi. Con questo lavoro, abbiamo scoperto che il segreto per ottenere buoni risultati nei contesti interculturali si fonda sul rispetto di quattro regole di base: primo, superare le differenze culturali e concentrarsi invece sui player individuali. Secondo, capire se la controparte cerca di sfruttare un vantaggio percepito o è interessata a creare valore per entrambi i contraenti. Terzo, creare norme condivise per la negoziazione (anziché adattarsi ai rituali dell’altra parte). Infine, sfruttare la diversità di preferenze tra le parti per migliorare i risultati a beneficio di tutti. Il rispetto di queste regole vi aiuterà a creare un rapporto negoziale stabile e duraturo.
Vediamo anzitutto perché conviene concentrarsi sulla persona invece che sulla cultura.
REGOLA N. 1
Negoziate con la persona, non con la cultura
La cultura si può definire come il sistema operativo attraverso il quale diamo significato al mondo e interagiamo con esso. La cultura influenza i nostri comportamenti e le nostre percezioni man mano che portiamo avanti le attività quotidiane. Una cultura molto forte può favorire l’etnocentrismo – la presunzione che le proprie norme siano, o debbano essere, condivise da tutti. È la ricetta giusta per il conflitto.
Ci sono molte dimensioni lungo le quali possono variare le culture, come la tolleranza del rischio e le modalità di gestione del conflitto. La comunicazione è un’altra dimensione critica: gli israeliani, per esempio, sono generalmente diretti e lineari nella comunicazione, mentre i messicani tendono a dare feedback in modo indiretto, specie su argomenti sensibili. Naturalmente, gli individui potrebbero conformarsi alle proprie culture in misura maggiore o minore: certi messicani, infatti, sono molto diretti, e certi israeliani sono tutt’altro che espliciti. In alcuni contesti, le varie dimensioni possono fungere da quadro di riferimento per l’interpretazione e per la fissazione dei comportamenti. Per esempio, la professoressa dell’INSEAD Erin Meyer dice che nell’adattarsi a una nuova cultura, le persone dovrebbero cercare di posizionarsi nel punto intermedio del range locale su una determinata dimensione culturale.
Ma in un contesto molto specifico come la negoziazione, la conoscenza della cultura locale serve a poco perché la vostra controparte potrebbe non rappresentarne le norme. Immaginate di prepararvi a negoziare con una executive angolana, e di aver letto a questo fine tutto quello che potevate sulle norme culturali del Paese africano. Ma non potete sapere che la vostra prossima interlocutrice è nata in Angola da genitori stranieri, ha studiato in una scuola inglese, si è laureata in Francia, ha sposato un indiano, si è convertita all’Islam, ha lavorato prima nelle vendite di un’azienda americana e poi negli acquisti di un’azienda giapponese, e vive in Cina da undici anni. Ben difficilmente questa executive sarà rappresentativa della sua cultura nazionale, perciò dovreste andarci piano nell’usare le vostre ricerche per fare delle supposizioni sul suo comportamento.
In un negoziato, voi cercate di capire la persona che avete di fronte. E in questo contesto, la focalizzazione sulle differenze culturali potrebbe incoraggiare una stereotipizzazione inconscia – la tendenza a classificare rigidamente i comportamenti attesi e ad attribuirli agli altri. Ciò crea due rischi:
Percezioni negative. Gli stereotipi potrebbero indurre percezioni di superiorità o inferiorità culturale, creando un senso di condiscendenza o la mancanza di empatia nei confronti della controparte, il che può alimentare una razionalizzazione del conflitto.
Presunzione di universalità. La stereotipizzazione ignora l’individualità e la diversità che sono presenti in qualunque cultura, il che potrebbe far perdere di vista ai negoziatori opportunità significative e occasioni di apprendimento dalla controparte.
Un’altra ragione per focalizzarsi sull’individuo anziché sulla cultura in un negoziato è l’impossibilità di diventare esperti delle tradizioni e delle norme culturali di tutte le aree geografiche in cui ci si potrebbe trovare a operare. Per esempio, una dirigente responsabile della regione EMEA potrebbe negoziare al mattino con controparti turche e sudafricane, a pranzo con il suo capo, un expatriate sudcoreano, poi con degli executive etiopi, e infine, nel tardo pomeriggio, concludere un accordo con una delegazione proveniente dagli Emirati Arabi Uniti. L’agenda del giorno successivo potrebbe prevedere incontri con persone di nazionalità diverse; e anche quando avete a che fare con rappresentanti di un solo paese estero, quei team potrebbero includere persone di varie estrazioni e culture.
In queste situazioni, è praticamente impossibile memorizzare e sfruttare tutte le dimensioni culturali rilevanti per ciascuna interazione. Per giunta, tentare di essere tutto per tutti non fa che indurre le controparti a mettere in discussione la vostra integrità. Vi troverete costantemente al di fuori della vostra zona di comfort, il che vi rende più esposti all’ignoranza, al dubbio, all’insicurezza e allo sfruttamento.
Noi siamo convinti che una chiave per una negoziazione interculturale di successo sia, in qualche misura, togliere la cultura dall’equazione. I negoziatori d’affari hanno spesso molto in comune con le loro controparti – forse ancora di più che con i loro genitori, i loro partner o i loro figli. Dopotutto, le nostre controparti internazionali potrebbero essere più vicine a noi per età, livello di istruzione, interessi professionali, contesto organizzativo o expertise funzionale. Per queste ragioni suggeriamo ai negoziatori che operano in contesti interculturali di concentrarsi specificamente sulle loro controparti, scoprendone le intenzioni, i rituali e le preferenze.
Un negoziatore britannico che rappresentava una piccola azienda familiare londinese nella trattativa con una executive giapponese esemplifica bene questo approccio. Invece di assumere che la controparte esibisse dei tratti culturali “tipicamente” giapponesi come la preferenza per la comunicazione indiretta, il formalismo o investimenti di lungo termine nella costruzione di relazioni, ne ha osservato il comportamento effettivo.
Ha notato fin da subito che questa persona era estremamente amichevole: scuoteva la testa, si rivolgeva in inglese con un lieve accento americano e aveva detto apertamente di apprezzare i processi decisionali rapidi e l’innovazione, avendo lavorato molti anni per una start-up tecnologica della Silicon Valley prima di fondare la sua azienda in Giappone. Era sincera, pronta a mettere in comune le sue idee e segnalava chiaramente il desiderio di collaborare. Di conseguenza, il negoziatore britannico ha adottato uno stile relazionale altrettanto aperto e collaborativo, il che ha aiutato entrambi a instaurare una solida relazione lavorativa.
REGOLA N. 2
Identificate le intenzioni della vostra controparte
Tutti i negoziati dovrebbero partire dalla domanda “La mia controparte vuole lavorare con me o contro di me?” Il ruolo che avrà la cultura nella trattativa viene determinato in larga misura dalla risposta che si darà a questa domanda.
Se la controparte è un negoziatore win-win, o meglio ancora orientato alla creazione di valore – ossia deciso a perseguire i suoi obiettivi senza fare uso del potere – le differenze culturali diventano problemi operativi da risolvere insieme. Ma se la controparte è un negoziatore win-lose, o peggio, un negoziatore che fa uso del potere – pronto a mettere in campo tutte le armi che ha a disposizione per portare a casa il massimo risultato utile – avrà sicuramente intenzioni antagoniste e probabilmente userà le differenze culturali come mezzo di sfruttamento. L’abbiamo visto nel caso di un dirigente singaporiano che negoziava con una controparte svedese e prolungava intenzionalmente le discussioni senza mai dare risposte chiare, facendo leva sulla scarsa tolleranza per l’ambiguità tipica degli svedesi. Il negoziatore svedese è caduto nella trappola e ha iniziato a fare concessioni su diversi punti solo per sbloccare la trattativa.
In un altro caso che abbiamo studiato, uno dei negoziatori, una donna che percepiva un leggero vantaggio in termini di potere, fissava intenzionalmente scadenze ravvicinate ed enfatizzava l’esigenza di risposte rapide. Il suo obiettivo era fare pressione sulla controparte vietnamita sapendo che costui, come era nella sua cultura, avrebbe preferito un processo decisionale consensuale e la prevenzione del conflitto. Ha poi giustificato le proprie mosse dicendo che nella sua cultura erano procedure standard e che siccome la trattativa si svolgeva nel suo Paese, la controparte vietnamita si sarebbe dovuta adeguare. Con queste tattiche basate sul potere, spingeva il negoziatore vietnamita a operare al di fuori della propria zona di comfort, commettendo degli errori e prendendo decisioni improprie; alla fine il vietnamita ha concluso un accordo sfavorevole.
Non c’è sensibilità culturale che impedisca ai negoziatori win-lose di tentare mosse basate sul potere – come bugie, minacce, abusi, manipolazioni e ultimatum – per ottenere ciò che vogliono, spesso a spese della controparte. I negoziatori win-win scelgono strategie collaborative, non basate sul potere, per raggiungere un accordo favorevole con le loro controparti. Si affidano a una comunicazione efficace, alla costruzione di un clima di fiducia, all’uso dell’intelligenza emotiva, a un processo decisionale razionale e alla creatività per aiutare ambo le parti a identificare rischi e opportunità, e lavorare assieme per il raggiungimento di risultati soddisfacenti. Questo approccio è più facile da implementare se anche la vostra controparte è un negoziatore win-win, ma è spesso il più idoneo per ottenere ciò che volete da una controparte win-lose. Invece di rispondere al fuoco con il fuoco, i negoziatori win-win cambiano le regole del gioco e usano l’acqua affinché non si bruci nessuno. Ciò detto, un approccio win-win non è privo di rischi, perché quando viene gestito male potreste apparire deboli, disperati o indecisi.
La prima cosa che dovrebbe fare un negoziatore interculturale è perciò tagliar via il rumore di fondo e guardare alle intenzioni. Questo atteggiamento vi aiuterà a prevedere e a interpretare il comportamento e le azioni della controparte, e a chiarificare il vostro comportamento e le vostre azioni. Il modo migliore per valutare le intenzioni dell’altro è esplicitare le vostre, perché così facendo si incoraggia quasi sempre la reciprocazione. L’esplicitazione delle vostre intenzioni può anche attenuare i timori della controparte e aprire la strada a un processo più collaborativo e a un risultato più soddisfacente.
Per tutta la durata della trattativa, abbiate cura di spiegare le vostre intenzioni e di sondare costantemente le vostre controparti sulle loro. Può essere d’aiuto porvi due tipi di domande;
Cosa segnalano le mosse della mia controparte? Quella era una mossa win-win o una mossa win-lose? È contraddittoria o compatibile con le mosse precedenti? Ha senso per me? Non potrei interpretarla erroneamente? Ci sono mosse della mia controparte che trovo inusuali o sorprendenti?
Cos’hanno segnalato le mie mosse? Quando dico qualcosa che considero positivo, la mia controparte sembra apprezzarlo? Quando tocco un argomento sensibile, l’altra persona sembra comprenderne la serietà? Quando sollevo un’obiezione complessa, dà l’impressione di capirla? Quando dico qualcosa di negativo, la reazione della controparte è in linea con il messaggio? Il suo linguaggio non verbale è compatibile con la discussione? Sta interpretando ed esplicitando correttamente ciò che ho detto o che ho fatto finora?
Vediamo come potreste agire in un caso specifico. Quando si stringono la mano prima di iniziare una trattativa, molti sono convinti di dover dare una stretta energica per segnalare il proprio impegno a lavorare assieme: in alcune culture, però, una stretta di mano energica si potrebbe interpretare come un tentativo di intimidire o di imporre il predominio.
Se vi presentate con una stretta di mano vigorosa e notate una reazione negativa, spiegate l’intenzione che sta dietro il vostro gesto: “Forse ha l’impressione che le abbia stretto la mano un po’ troppo forte. Nella mia cultura, molti pensano di dover stringere la mano vigorosamente per segnalare il proprio impegno alla collaborazione. Fino a questo momento pensavo che lo facessero tutti. Mi scuso se le mie azioni hanno trasmesso il messaggio sbagliato”.
Specularmente, se foste voi a ricevere una stretta di mano inaspettatamente forte, prima di reagire negativamente ricordatevi della possibilità di accrescere ulteriormente le incomprensioni interculturali. Adottate un principio di carità nell’interpretazione del comportamento e dite: “Questa è una stretta di mano molto energica. Credo che lei stia segnalando un vivo interesse per la trattativa e apprezzo il suo gesto”.
Leggere in positivo le parole e le azioni delle persone potrebbe sembrare ingenuo, ma nelle negoziazioni interculturali è una best practice – anche se avete di fronte una controparte win-lose. Se il suo gesto era effettivamente l’espressione di una buona intenzione, così dimostrate di averlo capito e apprezzato. Se la controparte aveva un’intenzione win-lose, dimostrate che la sua mossa non vi ha fatto né caldo né freddo, riducendo le probabilità che insista in quel comportamento predatorio. E anche se insiste, gli avete fatto capire fin da subito che non vi lascerete intimidire.
REGOLA N. 3
Non adattate dei rituali, co-createne di nuovi
Le negoziazioni interculturali vengono ulteriormente complicate dai rituali – le azioni, i comportamenti e persino le cerimonie tradizionali e a volte simboliche attraverso cui le persone inviano messaggi e trasmettono significato all’interno di un gruppo sociale o culturale. Se tutti i membri del gruppo accettano e adottano rituali simili, le interazioni sociali diventano più fluide, rapide, gradevoli e automatiche. In altre parole, i rituali sono scorciatoie culturalmente approvate per la comunicazione efficiente di messaggi importanti all’interno di un gruppo e facilitano il processo di costruzione delle relazioni.
Ma tra persone di culture diverse, le differenze tra i rituali potrebbero ampliare il gap comunicazionale e causare malintesi e conflitti. Sfortunatamente, le persone si esprimono o agiscono spesso senza chiedersi come chi non ha familiarità con quei rituali interpreterà le loro parole, i loro comportamenti e le loro mosse. Per i negoziatori, ciò può frustrare i tentativi di costruire un rapporto fiduciario e accresce le probabilità di scambiare per antagonistici dei comportamenti amichevoli.
Notate che le differenze tra i rituali non incidono su ciò che vogliono le parti, ma sul modo in cui preferiscono raggiungere i loro obiettivi. Alcune culture – e alcuni individui – tendono a essere rigidi sui tempi o sulle scadenze; altre – e altri – sono flessibili. Alcuni amano affrontare i problemi a viso aperto; altri preferiscono girarci intorno. Alcuni amano parlar chiaro; altri sono più indiretti e più cauti. Alcuni apprezzano l’indipendenza e la responsabilizzazione; altri preferiscono i processi decisionali collettivi e la costruzione del consenso.
Molti negoziatori tentano di mostrare rispetto adeguandosi ai rituali della controparte. È un approccio negoziale pericoloso – e lo diventa ancora di più se avete di fronte una controparte win-lose intenzionata a sfruttarvi. Come abbiamo visto prima nell’esempio del negoziatore tedesco, quando vi adattate ai rituali della vostra controparte, rinunciate al potere di stabilire cos’è o non è appropriato nella vostra negoziazione. Analogamente, obbligare le controparti ad adattarsi ai vostri rituali è una mossa win-lose; il problema cognitivo di negoziare al di fuori della loro zona di comfort tende inevitabilmente a comprometterne la performance.
Invece di adattarsi, i negoziatori interculturali dovrebbero creare assieme un nuovo set di rituali desiderati. Dovrebbero impegnarsi in conversazioni aperte per stabilire cosa si intende per relazione produttiva, decidere quanto tempo sono disposti a investire nella sua costruzione, e definire il processo di collaborazione.
Può essere complicato. I negoziatori dovrebbero esplicitare i propri rituali fin da subito, chiarire le intenzioni sottese e confrontarsi apertamente sulle difficoltà che si potrebbero creare adottando l’uno i rituali dell’altro. Per esempio, due team, uno svizzero e uno spagnolo, stavano avviando una trattativa di lungo termine che avrebbe richiesto incontri periodici. Consapevoli delle enormi differenze culturali che li dividevano, i due team hanno creato insieme un semplice documento condiviso, che hanno chiamato hoja de ruta (roadmap), scritto in spagnolo perché uno dei membri del team svizzero parlava bene quella lingua. Nel documento, i sottoscrittori hanno specificato dettagliatamente i cinque comportamenti positivi che si aspettavano gli uni dagli altri nel corso delle trattative, codificando le intenzioni collaborative di entrambe le parti. Poi hanno creato un rituale intorno a esso: all’inizio delle riunioni, ognuno dei partecipanti avrebbe descritto nei particolari un comportamento positivo messo in atto da un membro dell’altro team. Si discutevano anche scostamenti dai comportamenti desiderati o aggiornamenti da apportare al documento. Questo rituale consentiva a ciascun negoziatore di entrare in sintonia con l’altro team e di sentirsene apprezzato, pur riservandosi esplicitamente del tempo per valutare gli sforzi di costruzione del rapporto e discutere la direzione del negoziato. Ha contribuito a fissare un tono positivo e collaborativo, che ha gettato le basi di una comprensione reciproca – senza bisogno che i membri di ciascun team diventassero esperti delle pratiche culturali delle controparti.
In qualunque negoziato interculturale, è importante che i team tengano conversazioni continuative sui rituali e sui comportamenti condivisi. Saltare o abbandonare progressivamente queste conversazioni fa sì che di solito i negoziatori di ciascuna parte ricorrano automaticamente ai loro stili operativi preferiti e accresce le probabilità di incomprensioni e malintesi.
Se vi attira l’idea di adattarvi al rituale di un’altra cultura, allora fatelo pure e godetevi l’esperienza, ma state attenti alle implicazioni e al costo cognitivo che potrebbe avere questa scelta per la vostra performance negoziale. Altrimenti, negoziate nuovi rituali per la comunicazione e la costruzione di relazioni che soddisfino, anziché compromettere, le preferenze di quasi tutti i membri del team – e non obbligate nessuno ad adattarsi o a sentirsi in condizione di svantaggio. Per esempio, quando si incontrano dei negoziatori non statunitensi, a volte essi cercano di partire da rituali USA (data la loro prevalenza nel business globale) da utilizzare come base comune.
REGOLA N. 4
Sfruttate le differenze nelle preferenze, non nel potere
Come abbiamo visto, i negoziatori win-lose tentano di sfruttare il potere, usando spesso le differenze culturali come mezzo per migliorare la propria posizione o per celare un comportamento predatorio. Ma nelle negoziazioni win-win, ogni parte sfrutta delle preferenze, ossia le inclinazioni di ciascuna parte in tema di opzioni, oggetti, esperienze o risultati.
Nella letteratura negoziale, c’è il celebre caso didattico di due sorelle che si contendono l’ultima arancia rimasta in casa. La madre la prende, la affetta, e ne dà mezza a ognuna delle figlie. Poco dopo, vede la minore buttare via la buccia e mangiare la sua metà, mostrando una relativa insoddisfazione. Poi vede la figlia maggiore sbucciare la sua metà e buttare via il frutto, usando la buccia per cuocere solo metà torta all’arancia. Se la madre avesse conosciuto le preferenze delle figlie prima di tagliare a metà l’arancia, avrebbe potuto dare alla minore il frutto intero, e alla maggiore la buccia intera. La minore avrebbe anche potuto decidere di dividere il frutto con la sorella e aiutarla a preparare la torta, in cambio di una fetta del dolce una volta sfornato.
Nelle trattative d’affari, vogliono quasi tutti le stesse cose: concludere buoni affari, guadagnare, sentirsi apprezzati, e apparire dei bravi negoziatori. Le differenze non stanno tanto in ciò che vogliono i negoziatori quanto piuttosto nel peso relativo di quei desiderata. Per esempio, quasi tutti gli esperti di negoziazione interculturale osservano che i cittadini di molti paesi asiatici, che appartengono spesso a culture più collettiviste, apprezzano notevolmente l’esigenza di salvare la faccia e sono disposti a fare sforzi aggiuntivi per tutelare la propria reputazione. Non conosciamo nessuna cultura che sottovaluti il rispetto, ma in linea generale i negoziatori asiatici attribuiscono alla tutela della propria immagine un livello di preferenza più elevato rispetto ai loro omologhi di altre culture.
Occorre tener presente che mentre le intenzioni e i rituali culturali rendono più difficili i negoziati quando divergono, con le preferenze è esattamente l’opposto. Più differiscono le preferenze tra i negoziatori, più è facile per loro concludere accordi che creano valore per entrambe le parti. Se io apprezzo i soldi e tu il tempo, puoi pagarmi un sovrapprezzo per affrettare la conclusione della trattativa. Se io amo il rischio e tu la sicurezza, puoi acquistare da me una polizza assicurativa. Sfruttando le differenze nelle preferenze – che sono spesso più marcate nelle negoziazioni interculturali – i dealmaker potrebbero trovare più soluzioni in grado di accrescere il valore per ambo le parti.
Per tornare all’esempio di prima, se il negoziatore di un paese asiatico ci tiene a salvare la faccia in una trattativa, la controparte di un altro paese che ci tiene di meno potrebbe trasformare la differenza in uno scambio alla pari: “Mi rendo conto che lei ci tiene a salvare la faccia in questa trattativa. Io apprezzo la stabilità e la prevedibilità. Mi faccia capire come posso aiutarla, e mi spieghi come può aiutarmi, in modo che riusciamo a ottenere tutti e due quello che vogliamo”. Se pensate che questo approccio sia troppo diretto, potete offrire una gamma di opzioni – alcune che mettono al primo posto la tutela dell’immagine e alcune che non lo fanno – e osservare la reazione della controparte per valutarne le preferenze.
Per quanto cerchiate di rispettare le regole che abbiamo enunciato, degli errori culturali potrebbero frustrare ugualmente il vostro negoziato. Ma se avete segnalato onestamente e correttamente le vostre intenzioni, e interpretato caritatevolmente le intenzioni della controparte, la responsabilità non sarà vostra. E non sarà un problema di conflitto culturale. Saranno state le azioni e le finalità dell’altra parte ad affossare la trattativa. In questo caso, il problema derivava più dalle differenze nei caratteri e nelle ambizioni dei soggetti coinvolti che dalle loro differenze culturali.
HORACIO FALCÃO insegna Management practice all’INSEAD. THOMAS WIEGELMANN è un professore onorario all’University College London e membro dell’Harvard Alumni Real Estate Board.