Oggi, quando i dirigenti parlano di “gestione della conoscenza”, quasi subito la conversazione si sposta sulla sfida rappresentata dai big data e dagli strumenti per analizzarli. Non c’è da stupirsi: masse sterminate di dati esaustivi e complessi su clienti, operazioni e dipendenti sono ormai a disposizione di quasi tutti i manager, ma è difficile trasformarle in una conoscenza utile. Si tende a pensare che utilizzando gli esperti e gli strumenti giusti per analizzare questi megabyte, usciranno fuori brillanti intuizioni strategiche. I big data fanno gola, ma concentrarsi eccessivamente su di essi rischia di far dimenticare alle aziende qualcosa di ancora più importante, la gestione adeguata di tutto il loro patrimonio strategico cognitivo: competenze distintive, settori di competenza, proprietà intellettuale e un’ampia riserva di talenti. Il valore reale dei big data non si materializzerà mai senza una chiara comprensione degli elementi di conoscenza che determinano concretamente il successo di un’organizzazione. Eppure,...